12 Maggio 2014

Nelle esportazioni conta chi effettua il trasporto all’estero dei beni

di Marco Peirolo
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Il soggetto che provvede al trasporto/spedizione dei beni al di fuori del territorio comunitario determina il regime IVA della cessione.

Nelle esportazioni (dirette) di cui alla lett. a) dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972, l’invio dei beni all’estero deve avvenire “a cura o a nome del cedente”, a differenza delle esportazioni (indirette) di cui alla successiva lett. b), che beneficiano della non imponibilità se i beni sono trasportati/spediti fuori dall’Unione “a cura del cessionario non residente o per suo conto”.

Riguardo a quest’ultima tipologia di esportazione, è necessario che l’acquirente estero provveda a ritirare, direttamente o tramite terzi, i beni presso il cedente, curando la successiva esportazione degli stessi (C.M. 13 febbraio 1997, n. 35/E, § 4).

Se, come sovente accade, il trasferimento all’estero viene affidato ad un trasportatore/vettore, lo schema dell’esportazione in esame presuppone che il relativo contratto non sia stipulato in nome del cedente.

Diversamente, la cessione posta in essere rimane non imponibile, ma ai sensi della lett. a) dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972. In questa ipotesi, infatti, l’esportazione, anche se realizzata con clausola “franco fabbrica”, cioè con consegna dei beni in Italia al cliente non residente, viene (ri)qualificata come esportazione diretta (C.T. Reg. Milano, 7 giugno 2005, n. 98).

Ai fini della prova dell’esportazione, ciò significa che la presunzione di immissione in consumo dei beni in Italia può essere superata non già con l’esemplare della fattura munita del timbro apposto dalla dogana di uscita (che – come confermato dalla circolare Assonime 17 marzo 2014, n. 10 – continua ad essere il mezzo di prova per le esportazioni indirette), bensì – a seguito dell’introduzione, in ambito doganale, del sistema informatico di controllo delle esportazioni ECS (Export Control System) – con il messaggio “risultati di uscita” che la dogana di uscita invia alla dogana di esportazione (che costituisce, invece, il mezzo di prova per le esportazioni dirette).

Come evidenziato in un precedente intervento (Non imponibili IVA i beni sottoposti a controlli tecnici prima di essere esportati), una particolare tipologia di esportazione diretta è quella che avviene in triangolazione, caratterizzata da una doppia cessione a fronte di un unico trasporto/spedizione della merce, che dall’Italia giunge al Paese extra-UE di destinazione.

In quanto esportazione diretta, la lett. a) dell’art. 8 del D.P.R. n. 633/1972 subordina la non imponibilità della prima cessione (interna al territorio nazionale) alla condizione che i beni siano inviati al di fuori della UE “a cura a nome del cedente”, anche se su incarico del cessionario italiano.

In pratica, secondo l’Amministrazione finanziaria, il rapporto tra gli operatori nazionali non dà luogo all’addebito dell’imposta se il contratto di trasporto/spedizione è stipulato dal primo cedente o dal cessionario italiano, ma su mandato e in nome del primo cedente (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 13 maggio 2010, n. 35).

Dato che questa indicazione è diretta ad evitare che il promotore della triangolazione, cioè il soggetto intermedio, acquisisca la disponibilità dei beni prima del loro invio all’estero, è stato anche precisato che il vettore deve ritirare la merce presso il primo cedente.

Sul punto, è opportuno rammentare il diverso orientamento della giurisprudenza comunitaria e nazionale.

La Corte di Giustizia, infatti, ha più volte affermato che, ai fini della non imponibilità della cessione interna, è irrilevante quale sia il soggetto che ha disponibilità dei beni durante il trasporto a destinazione del cliente finale (causa C-587/10 del 27 settembre 2012; causa C-430/09 del 16 dicembre 2010; causa C-245/04 del 6 aprile 2006).

La stessa impostazione sostanzialista è accolta dalla Corte di Cassazione, per la quale “un’operazione triangolare (…), per essere considerata come cessione all’esportazione, esente dall’IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, lett. a), non presuppone necessariamente che vi sia la prova che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto piuttosto che, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista del trasporto a cessionario residente all’estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti” (sent. 25 marzo 2011, n. 6898; sent. 13 marzo 2009, n. 6114; sent. 10 dicembre 2010, n. 24964; sent. 4 aprile 2000, n. 4098).

Peraltro, il medesimo approccio è stato seguito dai giudici di legittimità in tema di esportazioni “franco valuta” (Cass., 20 dicembre 2012, n. 23588) per essere poi recepito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 94 del 13 dicembre 2013. È stato, infatti, precisato che la cessione perfezionata quando i beni sono già all’estero può essere fatturata in regime di non imponibilità a condizione che l’invio dei beni all’estero sia stato concepito dalle parti in vista della loro vendita.

Sarebbe pertanto auspicabile che l’Amministrazione finanziaria fornisse un’interpretazione più “liberista” della locuzione “a cura o a nome del cedente”, fermo restando che la definitiva conferma del beneficio della non imponibilità presuppone che l’avvenuta esportazione sia appositamente dimostrata da entrambi gli operatori nazionali.