16 Febbraio 2019

Motivazione light negli accertamenti doganali

di Angelo Ginex
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In tema di accertamento di dazi doganali preferenziali, l’obbligo di motivazione degli avvisi di rettifica è da ritenersi assolto con la mera indicazione dell’invalidazione, da parte dell’autorità emittente, del certificato EUR1, attestante l’origine delle merci, a ciò essendo irrilevanti le ragioni che hanno condotto al suo annullamento. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 2148 del 25.01.2019.

La vicenda trae origine dalla notifica di plurimi avvisi di rettifica, afferenti a Iva e dazi doganali, emessi a seguito di un controllo da parte dell’Amministrazione doganale del Paese esportatore e all’annullamento di certificati EUR1, con conseguente contestazione dell’indebito beneficio di esenzione daziaria prevista dal previgente Accordo europeo concluso tra i Paesi contraenti.

Detti atti impositivi venivano impugnati presso i competenti giudici di prime cure, i quali accoglievano le doglianze del contribuente e, per l’effetto, li annullavano.

Sennonché, a seguito di impugnazione della sentenza da parte dell’Amministrazione finanziaria, i giudici del gravame, accogliendo i suoi motivi di doglianza, reputavano adempiuto l’obbligo di motivazione degli avvisi di accertamento, nella specie soddisfatto mediante un mero riferimento alla comunicazione dell’Autorità doganale del Paese esportatore, la quale evidenziava che dalle indagini svolte le merci consegnate non potevano considerarsi prodotti originari.

Detto ultimo provvedimento era, dunque, oggetto di ricorso per cassazione per diversi vizi essenzialmente riconducibili all’erronea applicazione degli articoli 11, comma 5-bis, D.Lgs. 374/1990, 7 L. 212/2000 e 3 L. 241/1990 e per omessa motivazione ex articolo 360, n. 5, c.p.c., evidenziandosi l’insussistenza della causa che ha condotto le autorità doganali estere ad invalidare i certificati EUR1, peraltro fondamentale per il corretto esercizio del diritto di difesa e determinante per la dimostrazione della genuinità dell’origine preferenziale delle merci.

In particolare, stando alle doglianze del ricorrente, il giudice di seconde cure avrebbe errato nel ritenere irrilevante ai fini dell’obbligo motivazionale la mancata allegazione all’avviso di rettifica della nota dell’Autorità doganale estera con cui è stata comunicata l’invalidazione dei certificati de quibus.

I Supremi giudici, respingendo il ricorso del contribuente, hanno preliminarmente riunito i procedimenti afferenti agli avvisi di rettifica e alle sanzioni ivi collegate, le quali erano state anch’esse oggetto di impugnazione in autonomo procedimento, ribadendo che la riunione può essere altresì disposta anche in sede di legittimità, al fine di evitare eventuali contrasti decisionali (Cfr. Cass., SS.UU., sent. 1521/2013).

Nel merito, invece, essi hanno riaffermato l’inidoneità del certificato EUR1 a provare l’effettiva origine della merce importata da un Paese terzo che lo ha emesso.

Più precisamente, valorizzando precedenti giurisprudenziali consolidati, essi hanno ribadito che detto certificato di origine delle merci, pur rivestendo la condicio sine qua non per la fruizione dello specifico regime doganale previsto per i beni di origine preferenziale, non costituisce una presunzione legale assoluta dell’origine effettiva dei cespiti dal Paese esportatore, attesa la totale assenza di controlli da parte di quest’ultimo e la possibilità per il Paese importatore di contestare la provenienza dei beni e non applicare il regime doganale premiale, prescindendo dalla regolarità formale del certificato (Cass., sent. 24439/2013; Cass., sent. 6637/2013).

Da ciò consegue che l’annullamento dei certificati EUR1 da parte del Paese terzo produce contestualmente il venir meno dei benefici doganali.

Corollario di questi assunti, del resto, è che in un sistema di cooperazione amministrativa, quale quello del regime preferenziale disciplinato dall’articolo 64 Regolamento UE 952/2013, la prova dell’inesattezza dei certificati EUR1 può essere integrata anche solo dall’esito dell’indagine condotta dallo Stato esportatore (Cfr. Corte Giustizia, C-12/92 Huygen; Cass., sent. 14036/2012).

In definitiva, dunque, essendo unici titoli legittimanti la fruizione del regime doganale premiale, allorché l’Amministrazione doganale contesti al contribuente maggiori dazi, a seguito dell’annullamento dei certificati di origine delle merci, l’obbligo di motivazione si intenderà assolto dando unicamente conto della loro invalidazione da parte dell’Autorità emittente.

Restano, invece, superflue le circostanze e le motivazioni che hanno condotto alla loro cancellazione.

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