6 Ottobre 2014

Ma siamo sicuri che così le imprese ripartono?

di Sergio Pellegrino
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Nel corso degli ultimi anni molti dei provvedimenti emanati dai diversi Governi che si sono succeduti si sono dati
nomi impegnativi: abbiamo avuto così diversi
decreti crescita,
semplificazioni,
competitività, per arrivare fino ai
Salva Italia o agli
Sblocca Italia.
Penso sia sotto gli occhi di tutti il fatto che i
risultati raggiunti non sono stati in linea con le
promesse insite nella scelta di queste denominazioni, tant’è che il suggerimento che vorremmo dare all’attuale Governo, innamorato del
marketing più dei precedenti, è di lasciare il prossimo decreto senza un appellativo “buono” per i giornali … vuoi mai che non siano quelli a portare sfortuna.
Cercando di fare ordine nei decreti che si sono succeduti in questi mesi, mi colpisce il fatto che vi sono dei provvedimenti che si prefiggono di rilanciare la crescita togliendo
lacci e lacciuoli al sistema, ma che, nella migliore ipotesi, denotano una
grande dose di improvvisazione, oppure, a voler pensare male, rappresentano
fumo negli occhi di un’opinione pubblica sempre più stordita e rassegnata.
E se siamo da sempre abituati a convivere con il
caos che governa il
nostro sistema tributario e le scelte, troppo velocemente “reversibili” del legislatore, fa impressione vedere come anche il
diritto societario ormai sia lasciato alla mercé di modifiche improvvide e non sempre abbastanza “ragionate”.
Partiamo dalle cose inutili, almeno apparentemente, ma che non fanno gran danno.
È questo il caso, mi sembra, dell’intervento contenuto nel
c.d. decreto competitività (
pardon, per essere coerenti chiamiamolo correttamente D.L. 91/2014), che interviene sulle
procedure di iscrizione degli atti al Registro delle imprese, prevedendo che, quando l’iscrizione è richiesta sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, il conservatore del registro deve procedere all’iscrizione immediata dell’atto.
L’obiettivo dichiarato dalla norma è di
“facilitare e accelerare ulteriormente le procedure finalizzate all’avvio delle attività economiche”, come se i pochi giorni di attesa dell’iscrizione dell’atto al registro fossero decisivi in tal senso.
Si potrebbe obiettare che è comunque un miglioramento, ma poi, dalla
circolare del Mise del 19 settembre, emerge invece che così non è e si crea soltanto ulteriore confusione.
“Allo stato attuale, pertanto, la scrivente non può fare a meno di osservare che dare seguito immediatamente all’iscrizione delle istanze basate su atto pubblico o scrittura privata nei casi in cui l’impresa sia venuta meno all’obbligo di comunicazione della pec significherebbe mortificare in parte il carattere di essenzialità della pec in una fase nella quale si assiste, invece, ad un programma di sua piena valorizzazione. La scelta contraria, invece, ne rafforzerebbe la funzione nell’ambito dei rapporti fra imprese e Pubblica Amministrazione. In questo momento storico-economico (!) sembra opportuno prediligere ed incentivare ogni strumento di semplificazione nei rapporti fra imprese e P.A. anche attraverso l’imposizione di un onere (munirsi della pec) che non è da considerarsi un aggravio per l’imprenditore ma una corsia di comunicazione obbligatoria che non può non rivelarsi favorevole per il mondo imprenditoriale”.
Leggere su un documento del Ministero interessato (ma nessuno li aveva avvisati?) analisi di questo tipo da un lato è mortificante (perché si capisce che l’intervento non serve a nulla), dall’altro fa sorridere quando si scomoda il “
momento storico-economico” per avvalorare la “supremazia” della
pec.
Venendo alle cose “serie”, sembra che negli ultimi anni il rilancio dell’economia passi necessariamente attraverso
due direttrici:
la riduzione del capitale sociale minimo delle società e il “ridimensionamento” dei controlli nelle srl.
Fra 2012 e 2013 la disciplina delle srl è stata modificata per ben
5 volte in questo senso, fino a portarci ad avere
srl ordinarie “vecchio stampo” (con capitale sociale almeno pari a 10.000 euro e versato nella misura minima di 2.500 euro),
srl ordinarie “light” (con capitale a partire da 1 euro, ma … interamente versato) e
srl semplificate (che, se si riuscissero a fare, avrebbero almeno il vantaggio di non determinare oneri notarili in capo ai costituenti).
Con il D.L. 91/2014 il legislatore interviene anche sulla disciplina delle
spa, riducendo il
capitale sociale minimo a 50.000 euro.
La cosa avrebbe determinato il “rischio” di un
incremento del numero di srl obbligate a dotarsi di un organo di controllo, atteso il collegamento in tal senso esistente nell’articolo 2477 del Codice Civile proprio al capitale minimo delle spa: per questo motivo la disposizione in questione è stata
soppressa e la presenza di controllori nelle srl resa ancora più “episodica”.
L’
“ansia da eliminazione dei controlli” ha portato il legislatore a prevedere un’
immediata decorrenza degli effetti dell’abrogazione della norma e la previsione, inserita in sede di conversione del decreto, che “
la sopravvenuta insussistenza dell’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore costituisce giusta causa di revoca”.
Nessuno ha evidentemente pensato che per la
revoca di un sindaco o del collegio non basta, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 2400 del Codice Civile, una delibera assembleare, ma è necessario un decreto di approvazione del Tribunale di quella delibera e quindi una
procedura niente affatto agevole, a ribadire il dubbio evidenziato in precedenza: improvvisazione o fumo negli occhi?
Questo è però l’unico dubbio … l’assoluta certezza è che non saranno interventi di questo genere ad aiutare le imprese a ripartire.