23 Dicembre 2014

Lussemburgo fuori dalle black list italiane

di Ennio VialVita Pozzi
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Lo scorso 16 dicembre il ministro Padoan ha firmato un decreto con il quale sono state espunte dalla black list italiana di cui al D.M. 21.11.2001 le holding del 29 lussemburghesi.

Si tratta di un provvedimento che comporta una serie di conseguenze di notevole rilievo che incide sugli adempimenti che i contribuenti italiani dovranno porre in essere in futuro. La genesi dell’intervento discende dal fatto che le holding del 29 rappresentano un istituto societario abrogato dalla legge lussemburghese del 22.12.2006, e tale regime ha cessato di produrre i suoi effetti dal 31.12.2010.

Ricordiamo che le holding del 29 erano della società che potevano svolgere l’attività di holding o di sfruttamento di beni immateriali senza pagamento di alcuna imposta sui redditi. Le stesse risultavano spesso collocate al vertice di alcune catene societarie dove i soci non erano palesati. Si tratta, tuttavia, di strutture antiquate appartenenti al passato, difficilmente in linea con la disciplina antiriciclaggio italiana che impone l’individuazione dei titolari effettivi.

La modifica, apparentemente, si pone come meramente formale, in quanto si limita a prendere atto del fatto che le holding del 29 non esistono più e quindi il reddito delle stesse non può essere tassato per trasparenza in capo ai soci italiani ai sensi dell’art. 167 e 168 del Tuir.

Le conseguenze sono tuttavia rilevanti in materia di comunicazioni delle operazioni black list e per gli adempimenti del monitoraggio fiscale da parte delle persone fisiche e degli altri soggetti tenuti all’adempimento (ad esempio i trust residenti assimilati ad enti non commerciali).

Per quanto concerne il primo aspetto, è appena il caso di ricordare che è necessario indicare le operazioni attive e passive poste in essere con soggetti collocati nei paradisi fiscali individuati dall’unione delle liste contenute nei decreti 04.05.1999 e 21.11.2001. La C.M n. 53/E/2010 ebbe modo di precisare che il Lussemburgo, pur essendo incluso solamente nel decreto del 21.11.2001, e solamente per le holding del 29, è considerato paradisiaco per il semplice fatto di essere menzionato.

Ciò comportava un adempimento che presentava anche profili di incompatibilità col diritto comunitario, particolarmente gravoso, o quanto meno fastidioso, per i soggetti che acquisivano o vendevano beni o servizi con il Granducato.

Le conseguenze di maggiore interesse, tuttavia, riguardano il quadro RW perché l’analoga unione delle liste del 04.05.1999 del 21.11.2001 viene valutata altresì per individuare i paesi esteri che determinano un inasprimento delle sanzioni qualora il contribuente ometta di dichiarare gli investimenti in tali paesi. Si tratta in particolare delle seguenti misure:

  • raddoppio della sanzione ordinaria che dal 3/15% al 6/30% (art. 5 comma 2 del D.L. n. 167/1990);
  • presunzione di costituzione di reddito imponibile degli investimenti non dichiarati in tali paesi (art. 12, comma 2 del D.L. n. 78/2009);
  • raddoppio delle sanzioni per infedele od omessa dichiarazione nelle ipotesi di cui al punto precedente (sempre art. 12, comma 2);
  • raddoppio del periodo di accertamento; ciò vale anche per la presunzione di reddito (art. 12, comma 2–bis);
  • raddoppio del periodo di accertamento anche per l’omessa compilazione del quadro RW (art. 12, comma 2-ter).

In relazione al raddoppio delle sanzioni, la C.M. n. 38/E/2013 ebbe modo di chiarire, in perfetta linea con l’indicazione della C.M. n. 53/E/2010, che il Lussemburgo, per il semplice fatto di essere stato menzionato in una di queste liste, e precisamente in quella del 21.11.2001, doveva essere necessariamente considerato un paese paradisiaco.

Sotto questo profilo si creava una sperequazione anomala in materia; infatti, il Lussemburgo era considerato black list ai fini delle sanzioni, ma non era considerato paradisiaco ai fini dell’applicazione del look through. Come noto, per i paesi “non collaborativi”, e tra questi non rientra il Lussemburgo, si applica un approccio “look through” finalizzato all’evidenziazione, nel Modulo RW, del valore degli investimenti detenuti dalla società estera in luogo del valore della partecipazione.

Sulla questione si innestano, inoltre, due ulteriori considerazioni. Da un lato l’innalzamento della soglia di esenzione relativa al monitoraggio fiscale, che passa da 10 mila a 15 mila euro con effetto dal 1° gennaio 2015 ad opera dell’art. 2 comma 1 della L. n. 186/2014, che ha modificato l’art. 4 comma 3, del D.L. n. 167/1990. Si ricorda che la soglia opera esclusivamente per i depositi ed i conti correnti.

Inoltre, è interessante ricordare la recentissima sentenza della Cass. n. 26848 del 18.12.2014 divulgata dalla stampa specializzata, secondo cui le violazioni relative al modulo RW si devono considerare collegate al tributo e quindi per le medesime dovrebbe trovare applicazione il termine ordinario di decadenza.

I giudici sostengono che la presunzione di fruttuosità delle somme e degli altri strumenti finanziari trasferiti o costituiti all’estero e, quindi, di redditività fiscale degli stessi, determini il collegamento funzionale tra la sanzione irrogata per le violazioni da RW e l’imponibilità dei redditi presuntivamente tratti da queste disponibilità. La conseguenza è che, mentre secondo l’art. 20 del D. Lgs. 472/97 le sanzioni per infedele compilazione del modulo RW presentato il 30.09.2010 (per il 2009) devono essere irrogate entro il 31.12.2015, secondo i principi della sentenza la decadenza del periodo di accertamento deve essere anticipata al 31.12.2014.