9 Luglio 2019

Lo stato d’insolvenza è desumibile da un unico inadempimento

di Luigi Ferrajoli
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Con l’ordinanza n. 15572 depositata in data 10 giugno 2019, la Suprema Corte ha affrontato il tema della dichiarazione dello stato di insolvenza, quale noto presupposto per la pronuncia di fallimento, e si è interrogata in ordine alla possibilità che essa possa essere emessa anche in caso di inadempimento di un’unica obbligazione da parte del debitore.

Nello specifico, il Tribunale di Salerno aveva dichiarato il fallimento di una società su ricorso di un istituto di credito.

La società fallita aveva, quindi, impugnato la relativa sentenza innanzi alla Corte d’appello di Salerno che aveva però rigettato il reclamo proposto, osservando – tra le altre circostanze – come lo stato d’insolvenza della società fosse desumibile sia dal mancato pagamento (in misura comunque ridotta rispetto a quella originariamente dovuta) del debito vantato dall’istituto di credito, sia dalla condotta della ricorrente che aveva dismesso il suo patrimonio rendendo vane le azioni esecutive dei creditori.

La società debitrice aveva quindi proposto ricorso avanti alla Corte di Cassazione denunciando, con un unico motivo di ricorso, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 5 e 7 L.F. nonché degli articoli 2727 e 2729 cod. civ., in ordine all’insussistenza dello stato d’insolvenza.

Al riguardo, la ricorrente aveva contestato la circostanza per cui l’inadempimento di una sola obbligazione nei confronti della banca non potesse costituire elemento univoco di giudizio per valutare l’insolvenza.

Investita della questione, la Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato.

In particolare, a mente del disposto normativo di cui all’articolo 5 L.F. secondo cui “lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”, conformemente con i giudici del reclamo, la Cassazione ha evidenziato come, nel caso di specie, la sussistenza dello stato d’insolvenza emergesse sia dal mancato pagamento del credito fatto valere dall’istituto di credito, sia dalla dismissione del patrimonio della stessa debitrice, con conseguente rilevante eccedenza del passivo sull’attivo.

Ciò è stato affermato in conformità ad un consolidato orientamento della Corte – cui il Supremo Collegio ha voluto dare continuità – secondo cui lo stato d’insolvenza dell’imprenditore commerciale quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, “si realizza in presenza di una situazione d’impotenza strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività” (cfr. Cassazione Civ., n. 29913/2018 e n. 26217/2005).

Secondo i giudici di legittimità, l’inadempimento anche di una sola obbligazione può quindi rilevare ai fini della dichiarazione di fallimento nel momento in cui il medesimo permetta di rivelare come non sia più possibile per l’impresa continuare a operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni (cit. Cassazione Civ., n. 29913/2018).

In ogni caso, anche se il dato di un assai marcato sbilanciamento tra l’attivo e il passivo patrimoniale accertati non fornisce, di per sé, la prova dell’insolvenza – potendo comunque essere superato dalla prospettiva di un favorevole andamento futuro degli affari, o da eventuali ricapitalizzazioni dell’impresa – “nondimeno (esso) deve essere attentamente valutato, non potendosene per converso radicalmente prescindere, perché l’eventuale eccedenza del passivo sull’attivo patrimoniale costituisce, pur sempre, nella maggior parte dei casi, uno dei tipici “fatti esteriori” che, a norma dell’articolo 5 L.F., si mostrano rivelatori dell’impotenza dell’imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni” (cit. Cassazione Civ. n. 26217/2005).

Alla luce di tali assunti, ritenendo quindi come anche l’omesso adempimento (seppur) di un’unica obbligazione potesse dar luogo allo stato d’insolvenza di cui all’articolo 5 L.F. e, quindi, fondare la dichiarazione di fallimento, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

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