26 Giugno 2020

L’invito a comparire non è un “surrogato” del contraddittorio endoprocedimentale

di Angelo Ginex
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Come noto, il D.L. 34/2019 ha introdotto il nuovo articolo 5-ter D.Lgs. 218/1997, il quale prevede l’obbligo di invito a comparire per l’avvio del procedimento di accertamento con adesione a partire dagli avvisi emessi dal prossimo 1° luglio.

Sul tema, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con circolare AdE 17/E/2020, fornendo alcuni chiarimenti circa l’ambito applicativo dell’istituto, le ipotesi di esclusione, l’obbligo di “motivazione rafforzata” e la proroga dei termini di decadenza.

Innanzitutto, si è precisato che l’invito di cui al citato articolo 5-ter è applicabile esclusivamente per la definizione degli accertamenti in materia di imposte sui redditi e relative addizionali, contributi previdenziali, ritenute, imposte sostitutive, Irap, Ivie, Ivafe e Iva.

La mancata attivazione di tale fase comporta l’invalidità dell’atto impositivo, «qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato», salvo i casi di particolare urgenza o di fondato pericolo per la riscossione, nonché di partecipazione già prevista.

L’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che il contribuente è chiamato ad offrire la c.d. prova di resistenza, tesa ad evidenziare gli elementi o le circostanze che avrebbero potuto indurre l’Amministrazione finanziaria a valutare diversamente le risultanze dell’attività istruttoria (cfr., SS.UU. sent. n. 24823/2015).

Restano esclusi dal campo di applicazione della disposizione in esame i «casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo». Tale previsione tiene conto del fatto che in simili ipotesi il contribuente già beneficia della specifica garanzia di cui all’articolo 12, comma 7, L. 212/2000. Ciononostante, la circolare esorta gli Uffici ad attivare il confronto anche in tali casi, onde pervenire ad una quanto più corretta determinazione della pretesa tributaria.

Inoltre, l’applicazione di tale istituto è esclusa nei casi degli avvisi di accertamento o di rettifica parziale di cui agli articoli 41-bis D.P.R. 600/1973 e 54, commi 3 e 4, D.P.R. 633/1972.

Si è osservato che per l’Iva, a differenza delle imposte dirette, l’esclusione dell’invito è prevista solo con riferimento agli avvisi di rettifica basati su elementi “certi e diretti” e che, anche ai fini delle imposte dirette, occorre attivare tale fase di confronto quando la determinazione della pretesa si basa su elementi presuntivi (es. resterebbero esclusi dall’invito gli accertamenti parziali “automatizzati”).

Quanto alla deroga dall’obbligo di invito a comparire, l’Agenzia delle Entrate ha osservato che costituisce motivo di particolare urgenza, a titolo esemplificativo, il pericolo derivante da reiterate violazioni che comportino l’obbligo di denuncia per reati tributari (cfr. Cass. sent. n. 1289/2020) o la circostanza imprevedibile e sopravvenuta che impone una stretta tempistica per gli adempimenti dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. sent. n. 15547/2015).

In caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente.

Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato l’importanza dell’obbligo di “motivazione rafforzata”, precisando che «non è sufficiente che gli uffici si limitino a valutare gli elementi forniti dal contribuente, ma dovranno essere argomentate in motivazione le ragioni del relativo mancato accoglimento».

Detto in altri termini, l’Ufficio è tenuto ad assolvere l’obbligo motivazionale in considerazione delle giustificazioni e dei chiarimenti offerti dal contribuente, argomentando in modo specifico sulla loro fondatezza o meno, in modo da rendere comprensibile l’iter seguito nella determinazione della pretesa tributaria.

Ciò detto, nella citata circolare, l’Agenzia delle Entrate, rimarcando la volontà di «assicurare ai contribuenti adeguati momenti di confronto preventivi rispetto alla fase di determinazione della eventuale pretesa impositiva», ha sostenuto che il citato articolo 5-ter rappresenterebbe «un importante tassello nel percorso intrapreso dall’Amministrazione finanziaria teso a garantire l’effettiva partecipazione del contribuente al procedimento di accertamento».

Al fine di sgombrare il campo da qualsiasi equivoco, occorre rilevare che tale istituto, contrariamente a quanto affermato da taluni commentatori, non può essere considerato un “surrogato” del contraddittorio endoprocedimentale, di cui tanto e a lungo si è evidenziata la necessità.

Infatti, la collocazione sistematica del citato articolo 5-ter rende evidente come tale fase di confronto intervenga comunque in un momento in cui l’atto impositivo è già preparato e confezionato, per cui il contribuente ha la sola possibilità di scegliere se aderire o meno ad una rettifica operata in via del tutto autonoma da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Al contrario, il vero e proprio contraddittorio endoprocedimentale, alla luce dei principi sanciti dalla giurisprudenza eurounitaria, è quello che segue alla proposta di rettifica emessa all’esito della fase istruttoria in senso stretto (cfr. CGUE sent. 22.10.2013, causa Sabau, C-276/12) e che consente al contribuente di conoscere le violazioni contestate (cfr. CEDU sent. 2.06.2020, causa Gospodaria Taraneasca v. Moldavia) e di esaminare le prove in possesso dell’Ufficio (cfr. CGUE sent. 16.10.2019, causa Glencore, C-189/18).

In virtù di ciò, quindi, appare evidente come l’istituto contemplato dal citato articolo 5-ter non possa essere considerato tale, poiché non consente al contribuente di partecipare, in condizioni di parità, alla formazione della pretesa tributaria, trovandosi quest’ultimo – come detto – dinanzi ad una rettifica già confezionata dall’Agenzia delle Entrate, in assenza di qualsivoglia forma di confronto con il contribuente, prevista solo in un momento successivo.