9 Dicembre 2017

L’impatto della lavorazione nella cessione in triangolazione

di Marco Peirolo
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Le operazioni di venditaa catena” che coinvolgono operatori di più Stati UE diversi devono essere attentamente esaminate al fine di applicare correttamente il regime impositivo a ciascuna transazione.

Si consideri il caso della società italiana che riceve dal cliente dello Stato UE 1 il semilavorato da utilizzare per la realizzazione del prodotto finito, successivamente venduto dal cliente dello Stato UE 1 al suo cliente dello Stato UE 2.

Ipotizzando che, al momento della consegna, il prodotto finito sia trasportato dall’Italia direttamente nello Stato UE 2, occorre innanzi tutto determinare la natura dell’operazione posta in essere tra la società nazionale e il suo cliente dello Stato UE 1.

L’Amministrazione finanziaria, con la C.M. 145/E/1998 (§ 3), ha chiarito che, in presenza di una movimentazione di beni di scarso valore economico inviati dal cessionario/committente perché il cedente/prestatore li utilizzi nella fase di adattamento, assiemaggio, assemblaggio o montaggio per la realizzazione del prodotto finito fornito al cessionario/committente, “la classificazione giuridica dell’operazione non può essere modificata, risultando evidente, con riferimento all’oggetto della stessa, una prevalenza della materia ceduta sull’opera prestata dal cedente”.

Si consideri, per esempio, che il valore del prodotto finito sia costituito:

  • per il 15% dal valore del semilavorato forniti dal committente;
  • per il 60% dal valore dei materiali forniti dal terzista;
  • per il 25% dall’attività di lavorazione svolta dal terzista.

In questa ipotesi, stando alle indicazioni della citata prassi amministrativa, l’operazione posta in essere dal terzista italiano dà luogo ad una cessione, da fatturare, pertanto, in regime di non imponibilità se il prodotto finito è destinato ad essere inviato all’estero. Questa conclusione, peraltro, è giustificata non solo dalla prevalenza dei beni di proprietà del terzista rispetto a quelli di proprietà del committente (60% contro 15%), ma anche dal maggior valore dei beni complessivamente impiegati nella lavorazione rispetto al valore della lavorazione stessa (75% contro 25%).

Con la successiva risoluzione 272/2007, l’Agenzia delle Entrate ha adottato un diverso approccio.

Si ipotizzi che il valore del prodotto finito sia costituito:

  • per il 25% dal valore del semilavorato fornito dal committente;
  • per il 30% dal valore dei materiali forniti dal terzista;
  • per il 45% dall’attività di lavorazione svolta dal terzista.

Anche in questo caso, l’operazione dovrebbe qualificarsi come una cessione, tenuto conto che i beni di proprietà del terzista prevalgono su quelli del committente (30% contro 25%) e, in ogni caso, i beni complessivamente utilizzati nel processo di lavorazione prevalgono sulla lavorazione stessa (55% contro 45%). L’Agenzia delle Entrate, invece, pur richiamando la C.M. 145/E/1998, ha ritenuto che, essendo l’apporto di valore da parte del terzista pari al 75% (30% di materiali, più 45% di lavorazione) del valore totale del prodotto finito, la lavorazione costituisce, in termini percentuali, l’operazione di maggior rilievo economico effettuata dal terzista.

Ritornando al caso di partenza, assumendo che il costo sostenuto dalla società italiana per l’acquisto dei materiali superi il costo relativo alla manodopera, è possibile classificare l’operazione come una cessione nei confronti del cliente dello Stato UE 1, da fatturare in regime di non imponibilità di cui all’articolo 41, comma 1, lett. a), del D.L. 331/1993 a prescindere dalla resa (DAP o EXW). In altri termini, indipendentemente dalla circostanza che il trasporto nello Stato UE 2 sia organizzato dalla società nazionale o dal suo cliente dello Stato UE 1, l’operazione beneficia della non imponibilità.

Nel caso, invece, in cui l’operazione posta in essere dalla società italiana non fosse qualificabile come cessione, ma come prestazione, da fatturare ai sensi dell’articolo 21, comma 6-bis, lett. a), del D.P.R. 633/1972, vale a dire con la dicitura “inversione contabile”, ex articolo 7-ter dello stesso D.P.R. 633/1972, il cliente dello Stato UE 1 dovrebbe identificarsi ai fini IVA in Italia per regolarizzare l’acquisto intracomunitario “per assimilazione” del semilavorato in conto lavoro, che, al termine della prestazione, non rientra nel territorio di origine, in quanto trasportato nello Stato UE 2.

Tale obbligo di regolarizzazione, previsto dall’articolo 17, par. 3, della Direttiva n. 2006/112/CE, risulta peraltro propedeutico all’applicazione del trattamento di non imponibilità relativo alla successiva cessione del prodotto finito a destinazione dello Stato UE 2, che considerandosi effettuata in Italia, ex articolo 7-bis, comma 1, del D.P.R. 633/1972, esige che l’operatore dello Stato UE 1 sia ivi identificato per poter adempiere agli obblighi “formali” collegati alla fatturazione, dichiarazione, ecc..

 

I regimi speciali IVA