21 Marzo 2018

L’errore non imputabile che giustifica la rimessione in termini

di Luigi Ferrajoli
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La parte che non abbia proposto immediato ricorso per cassazione, facendo affidamento sull’interpretazione dell’articolo 360, comma 3, c.p.c., che riteneva non immediatamente ed autonomamente impugnabile la sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 353 c.p.c., non ha diritto alla rimessione in termini nella pendenza del giudizio di merito riassunto dinanzi al primo giudice, al fine di impugnare autonomamente detta sentenza d’appello, a seguito del mutamento della giurisprudenza di legittimità, potendo la statuizione sulla questione di giurisdizione della pronuncia d’appello essere impugnata in cassazione nell’ipotesi in cui la decisione, eventualmente sfavorevole nel merito, del giudice di primo grado abbia trovato conferma in appello.

È quanto statuito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 21194 del 13.09.2017 nella quale è stato deciso un ricorso con il quale il contribuente aveva richiesto la rimessione in termini ex articolo 153, comma 2, c.p.c. al fine di proporre impugnazione avverso la sentenza notificata il 19 ottobre 2015, il cui termine per il ricorso era spirato in data il 18 dicembre 2015, per causa a sé non imputabile, in quanto la condotta processuale e la mancata impugnazione sarebbero dipese unicamente dall’affidamento creato dalla giurisprudenza allora prevalente e quindi la decadenza sarebbe dipesa da un imprevedibile mutamento di giurisprudenza che, se fosse stato applicato al caso di specie, “avrebbe comportato un effetto preclusivo del diritto di azione e di difesa della società“.

La Cassazione ha rigettato la richiesta di rimessione in termini non ritenendo sussistenti, nel caso di specie, i relativi presupposti.

Com’è noto, l’articolo 153, comma 2, c.p.c. prevede che “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma”.

Il legislatore ha quindi previsto che la parte rimasta inattiva possa essere rimessa in termini solo se il ritardo è stato conseguenza di una causa non imputabile alla parte stessa.

Poiché la norma non chiarisce cosa si debba intendere per causa non imputabile, è stata la giurisprudenza a delineare concretamente le ipotesi di applicabilità dell’articolo 153, comma 2, occupandosi, di volta in volta, delle diverse fattispecie.

Secondo le più recenti pronunce, l’errore del difensore non può essere invocato quale causa giustificatrice della richiesta di rimessione in termini; e neppure è stato ritenuto applicabile l’articolo 153 in caso di malattia o decesso del difensore che abbia impedito allo stesso di compiere l’attività per la quale gli era stato conferito il mandato.

Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il mutamento di orientamento giurisprudenziale, successivo allo scadere del termine previsto per il compimento dell’attività, può essere qualificato come causa non imputabile alla parte a patto che sussistano determinati requisiti.

Nella sentenza in commento si legge che “Il fenomeno di overruling rilevante alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, alla quale si intende qui dare continuità, è quello che si verifica quando il mutamento della precedente interpretazione della norma processuale da parte della cassazione porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, di modo che l’atto compiuto dalla parte od il comportamento da questa tenuto secondo l’orientamento precedente risultino irrituali per effetto ed in conseguenza diretta del mutamento dei canoni interpretativi. Se questo mutamento è poi connotato dall’imprevedibilità (per essere intervenuto in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso) si deve escludere – per le ragioni esposte, soprattutto, nel precedente a Sezioni Unite 11 luglio 2011, n. 15144, cui si fa rinvio – l’operatività della preclusione o della decadenza che derivino dall’overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella consolidata precedente interpretazione della regola”.

Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha rilevato che la mancata immediata proposizione dell’impugnazione causata dall’affidamento sul precedente orientamento giurisprudenziale non aveva, di per sè, privato la parte del diritto di azione e di difesa in giudizio, in quanto questo, alla stregua del precedente orientamento, si sarebbe potuto esercitare censurando l’accertamento della giurisdizione del giudice ordinario unitamente alla decisione di merito.

Pertanto, la fattispecie non poteva essere qualificata come decadenza per causa non imputabile alla parte, con conseguente inapplicabilità dell’istituto della rimessione in termini.

 

L’esecuzione delle sentenze e il ricorso per cassazione