18 Gennaio 2016

Legittimo il sequestro in caso di operazioni soggettivamente inesistenti

di Luigi Ferrajoli
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La Cassazione è tornata ad occuparsi del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta, delitto previsto e punito dall’art.2 del D.Lgs. n.74/00.

In particolare, la Sezione Terza Penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 46857 depositata in data 26.11.2015, si è pronunciata con riferimento alla misura cautelare reale applicata su beni immobili, mobili registrati, somme depositate sul conto corrente, polizze assicurative ed altre disponibilità finanziarie a seguito di ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, in base ad un’ipotesi accusatoria di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti da parte di una società.

Innanzitutto, il Giudice di legittimità ha affermato che il sequestro in esame può ben essere disposto non solo per il prezzo, ma anche per il profitto del reato e che tale principio resta valido anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 190/12 all’art.322-ter c.p. che attualmente prevede che “Nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti previsti dagli articoli da 314 a 320, anche se commessi dai soggetti indicati nell’articolo 322-bis, primo comma, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”.

Inoltre, la Cassazione, riportandosi a quanto statuito dalle Sezioni Unite con il provvedimento n. 25932 del 2008, ha evidenziato che l’impugnazione in sede di legittimità avverso le misure cautelari reali è ammessa soltanto per violazione di legge, ossia nelle ipotesi di errores in iudicando o in procedendo, ovvero qualora i vizi di motivazione del provvedimento siano tali da potersi ritenere del tutto mancanti o privi dei requisiti minimi di coerenza e ragionevolezza (secondo la Cassazione, nel caso di specie la motivazione del provvedimento impugnato non è mancante né apparente, in quanto il decreto di sequestro preventivo e l’ordinanza del Tribunale della libertà si integrano vicendevolmente).

Il passaggio più importante che si legge nella motivazione della sentenza in oggetto appare tuttavia quello in cui si afferma che il sequestro finalizzato alla confisca del prezzo, prodotto o profitto del reato è legittimo anche nell’ipotesi di utilizzazione nella dichiarazione fiscale di fatture per operazioni solo soggettivamente inesistenti.

La Suprema Corte, infatti, ha ripercorso i seguenti punti: a) l’inesistenza soggettiva delle operazioni rientra nella previsione della fattispecie incriminatrice; b) qualora la fattura venga emessa da soggetto diverso da colui che ha effettuato la cessione o la prestazione, viene a mancare il presupposto della detrazione dell’IVA; c) l’art.7 del D.P.R. n.633/72, in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, impone il versamento dell’imposta (per l’intero ammontare indicato in fattura) e ne impedisce la detrazione; d) “Il versamento dell’IVA ad un soggetto che non sia la genuina controparte” apre la strada ad un indebito recupero dell’impostacon effetto dirompente nel complessivo sistema dell’IVA”.

Secondo la Suprema Corte, inoltre, il rapporto tributario tra il cedente/prestatore di servizi e l’Erario deve essere tenuto distinto da quello tra il cessionario/cedente e l’Amministrazione finanziaria.

I principi in esame, per la Cassazione, si applicano sia alle ipotesi di false fatturazioni per operazioni oggettivamente inesistenti, sia a quelle relative ad operazioni solo soggettivamente inesistenti e dunque si attagliano anche alle c.d. “frodi carosello”, ossia ai casi in cui “la merce acquistata dal contribuente che esercita il diritto alla detrazione IVA proviene in realtà da soggetto diverso da quello fittiziamente interposto che ha emesso la fattura, incassando l’IVA in rivalsa ed omettendo poi di versarla all’Erario”.

Ciò detto, la Cassazione tuttavia non dimentica di segnalare le impostazioni assunte dalla Corte di Giustizia, che mitigano la rigorosità dell’assunto indicato. Secondo la giurisprudenza della Corte europea, infatti, in ossequio ai principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, la possibilità di detrarre l’IVA non può essere negata al committente/cessionario in buona fede che dimostri di non avere avuto, né potuto avere con le ragionevoli precauzioni, “la consapevolezza di partecipare, con il proprio acquisto, ad illecito fiscale”.

Nel caso in esame, viceversa, la Suprema Corte ha ritenuto che vi fosse tale consapevolezza e pertanto ha rigettato il ricorso.