30 Settembre 2013

L’efficacia dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale in caso di fallimento del coniuge

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 19209 dell’08/08/2013, ha posto ulteriori paletti in materia di efficacia dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale in caso di fallimento di uno dei coniugi costituenti.

La Cassazione ha precisato che, qualora non venga documentata la specifica ed univoca destinazione del bene confluito nel fondo patrimoniale all’adempimento di un dovere morale nei confronti della famiglia, l’atto di costituzione risulta inefficace a fronte della domanda di revoca ex art. 64 Legge Fallimentare.

Nella fattispecie in esame, un Curatore fallimentare aveva agito nei confronti dei due soci illimitatamente responsabili di una società chiedendo che fosse dichiarato inefficace ex art. 64 L.F. l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, nel quale era stata conferita l’unità immobiliare, di proprietà di uno dei soci, adibita a residenza della famiglia. Il ricorrente aveva inoltre chiesto la revoca ex art. 2901 del Codice Civile evidenziando la natura gratuita dell’atto ed il pregiudizio arrecato alla massa dei creditori.

Il Tribunale aveva accolto la domanda ex art. 64 L.F. e tale pronuncia era stata confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Venezia.

I due soci hanno proposto ricorso per Cassazione, eccependo in primo luogo la violazione e falsa applicazione dell’art. 64 L.F. evidenziando che, poiché il diritto di abitazione costituisce un’esigenza famigliare insopprimibile come confermato anche da quanto previsto dall’art. 47, comma 2, L.F., non poteva essere legittimamente liquidata l’abitazione famigliare del fallito, quantomeno sino a che non era stata liquidata anche l’attività relativa all’impresa decotta.

Secondo i ricorrenti, quando il fondo patrimoniale è destinato a garantire l’abitazione del fallito, conserva la propria efficacia anche a fronte di una domanda di revoca, salvo che il Curatore non documenti che l’attivo ricavabile dalla dismissione e liquidazione dell’attività di impresa non sia sufficiente a coprire le passività.

Inoltre i ricorrenti hanno denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 64 L.F., rilevando che garantire l’abitazione famigliare rientra nei doveri morali del coniuge, tanto più che nel caso di specie la liberalità risultava proporzionata rispetto al patrimonio del debitore.

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso, ricordando che l’art. 47 L.F. dispone al comma 2 che: “La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività”.

Secondo la Suprema Corte, la norma in esame si pone su un piano concettualmente diverso dall’art. 64 L.F. e dalla domanda del creditore volta a far valere l’inefficacia dell’atto a titolo gratuito: tra le due norme non vi è alcun conflitto od interferenza e pertanto non sussisteva il vizio denunciato dai ricorrenti.

La Cassazione ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, richiamando il contenuto delle sentenze n. 18065 dell’08/09/2004 e n. 2327 del 02/02/2006, secondo le quali il negozio costitutivo del fondo patrimoniale, anche quando proviene da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito; a tale circostanza non possono essere opposti i doveri di solidarietà familiare che nascono dal matrimonio, dato che l’obbligo dei coniugi di contribuire ai bisogni della famiglia non comporta certo l’obbligo di costituire i propri beni in fondo patrimoniale.

Secondo i Giudici di legittimità, tale istituto di protezione del patrimonio ha infatti natura e scopi diversi ed ulteriori, consistenti non nel soddisfare i bisogni della famiglia, ma nel vincolare alcuni beni al soddisfacimento, anche solo eventuale, di tali bisogni, sottraendoli alla garanzia generica di tutti i creditori.

Da tale considerazione, secondo la Suprema Corte, consegue che, in caso di fallimento di uno dei coniugi, il negozio costitutivo di fondo patrimoniale è suscettibile di revocatoria fallimentare a norma dell’art. 64 L.F., dovendosi escludere che tale costituzione possa considerarsi di per sé come atto compiuto in adempimento di un dovere morale nei confronti dei componenti della famiglia.

Affinché ricada in una delle esenzioni previste dalla seconda parte del predetto art. 64 L.F., occorre infatti dimostrare l’esistenza in concreto di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente quel dovere mediante l’atto in questione; in difetto di tale ulteriore requisito, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è da considerarsi revocabile.