21 Dicembre 2018

Le spese di rappresentanza e il requisito dell’inerenza

di Luca Mambrin
Scarica in PDF

In merito al trattamento fiscale ai fini delle imposte dirette da riservare alle spese di rappresentanza l’articolo 108, comma 2, Tuir stabilisce che tali oneri sono deducibili nel periodo di imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza stabiliti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse.

L’articolo 1 D.M. 19.11.2008 stabilisce quindi i requisiti necessari affinché una spesa di rappresentanza possa essere considerata inerente e quindi deducibile dal reddito d’impresa. In particolare si considerano “inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore”.

Gratuità della spesa

La caratteristica essenziale delle spese di rappresentanza è costituita dalla mancanza di un corrispettivo o di una specifica controprestazione da parte dei destinatari dei beni e servizi erogati.

Il destinatario infatti non è tenuto ad alcun obbligo di “dare” o “fare” qualcosa, non paga alcun corrispettivo a fronte di un’utilità che riceve dall’impresa che ha sostenuto i costi. La stessa circolare AdE 34/E/2009 conferma le indicazioni già elaborate in documenti di prassi precedenti che, con riferimento ai criteri distintivi delle spese di pubblicità rispetto a quelle di rappresentanza, aveva enunciato il principio di carattere generale in base al quale la caratteristica delle spese di rappresentanza è la “gratuità” dell’erogazione di un bene o un servizio nei confronti di clienti o potenziali clienti mentre le spese di pubblicità sono caratterizzate dalla circostanza che il loro sostenimento è frutto di un contratto a prestazioni corrispettive, la cui causa va ricercata nell’obbligo della controparte di pubblicizzare/propagandare, a fronte della percezione di un corrispettivo, il marchio e/o il prodotto dell’impresa al fine di stimolarne la domanda.

Finalità promozionali o di pubbliche relazioni

Affinché una spesa sostenuta per erogare gratuitamente beni e servizi possa essere definita di rappresentanza, è necessario che sussista, in alternativa:

  • una finalità promozionale;
  • una finalità di pubbliche relazioni.

La stessa circolare AdE 34/E/2009 ha precisato che le “finalità promozionali” richieste dalla norma consistono nella divulgazione sul mercato dell’attività svolta, dei beni e servizi prodotti, a beneficio sia degli attuali clienti, che di quelli potenziali mentre nel concetto di finalità di “pubbliche relazioni” devono essere ricomprese tutte le iniziative volte a diffondere e/o consolidare l’immagine dell’impresa, ad accrescerne l’apprezzamento presso il pubblico, senza una diretta correlazione con i ricavi.

Possono quindi essere qualificate come spese di rappresentanza non solo le erogazioni gratuite a favore di clienti, ma anche quelle a favore di altri soggetti con i quali l’impresa ha un interesse a intrattenere pubbliche relazioni, come ad esempio i rappresentanti delle amministrazioni statali, degli enti locali, o con organizzazioni private quali le associazioni di categoria, sindacali.

Ragionevolezza e coerenza

Il rispetto del requisito di inerenza richiesto per le spese di rappresentanza implica che il sostenimento delle stesse:

  • risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo di generare, anche potenzialmente, benefici economici per l’impresa ovvero;
  • sia coerente con pratiche commerciali di settore nel quale opera.

Una spesa di rappresentanza deve, quindi, risultare ragionevole, in quanto idonea a generare ricavi ed adeguata rispetto all’obiettivo atteso in termini di ritorno economico, oppure, in alternativa, deve essere coerente con le pratiche commerciali di settore.

Come chiarito nella circolare AdE 34/E/2009 in caso di assenza di pratiche commerciali di settore ovvero di incoerenza della spesa con le stesse, ai fini della deducibilità della spesa di rappresentanza è necessario dimostrarne la ragionevolezza, valutando l’idoneità della stessa a generare ricavi.

La relazione illustrativa al decreto, al riguardo, chiarisce che “… proprio il riscontro di tali elementi funzionali (le finalità promozionali o di pubbliche relazioni, la ragionevolezza ovvero la coerenza con gli usi e le pratiche di settore) garantisce il collegamento delle spese in questione con l’attività d’impresa e la loro distinguibilità rispetto ad altre fattispecie in cui l’erogazione gratuita di reddito, soprattutto in funzione del beneficiario, risponde evidentemente ad altre finalità (erogazione ai soci o a loro familiari, autoconsumo, liberalità a dipendenti o collaboratori) e alle quali la disciplina fiscale del reddito d’impresa riserva opportuni altri trattamenti”.

Soddisfatti i requisiti previsti, le spese di rappresentanza sono deducibili dal reddito nei limiti di quanto disposto dall’articolo 108, comma 2, Tuir il quale prevede che la deduzione sia commisurata all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari:

  • all’1,5% dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni;
  • allo 0,6%dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni;
  • allo 0,4%dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni.

Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50.

Forfettari e semplificati: le regole in vigore nel 2019