19 Ottobre 2020

Le spese di marketing locale restano a carico del distributore

di Fabio Landuzzi
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La scheda di FISCOPRATICO

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza n. 1023/2020 ha riconosciuto la correttezza del comportamento tenuto da un’impresa italiana, con riferimento alla disciplina in materia di prezzo di trasferimento di cui all’articolo 110, comma 7, Tuir, circa il mancato addebito alla propria capogruppo estera delle spese sostenute dalla medesima per l’esecuzione di iniziative di marketing e di pubblicità dei prodotti dalla stessa compravenduti, e contraddistinti dal marchio del Gruppo, sul territorio italiano.

Il rilievo eccepito dai verificatori che, va sottolineato, non verteva su di un presunto difetto di inerenza delle spese sostenute dall’impresa italiana, poggiava sulla tesi che le iniziative commerciali intraprese dalla stessa impresa distributrice, poiché sostanzialmente dirette a promuovere la vendita in Italia di beni contraddistinti dal marchio di proprietà della capogruppo estera, avrebbero dovuto essere oggetto di addebito a carico di quest’ultima con l’applicazione anche di un congruo mark up, poiché si sarebbero sostanziati di servizi tesi a recare vantaggio diretto alla società (capogruppo) che era la titolare del brand che contraddistingueva i prodotti promozionati.

Le spese in oggetto riguardavano, in particolare, iniziative pubblicitarie su media locali quali canali radio e riviste specializzate, sviluppo del sito internet, organizzazione di eventi per la promozione dei prodotti, organizzazione di convention con agenti e clienti italiani, sponsorizzazione di squadre, sia professionali che dilettantistiche, partecipanti a campionati nazionali.

In tutte queste iniziative venivamo pubblicizzati i prodotti distribuiti in Italia dall’impresa, i quali erano contraddistinti dal marchio del gruppo il quale aveva certamente una sua spiccata visibilità nel format comunicativo commerciale, ma nello stesso tempo ogni iniziativa era permeata da una evidente conformazione alle esigenze del mercato locale, dall’adattamento al profilo dei potenziali clienti nazionali, e, seppure le iniziative fossero sempre necessariamente coordinate e condivise con la capogruppo, le stesse erano organizzate e approntate su iniziativa autonoma del distributore stesso.

E che il distributore italiano ne avesse tratto beneficio ne è prova, come coglie la CTP di Milano, anche l’incremento del volume dei ricavi delle vendite che lo stesso aveva realizzato in un ampio e precedente lasso temporale, pur operando in un mercato altamente competitivo e con pochi margini di crescita.

Di rilievo vi sono poi due passaggi della sentenza in commento che è interessante evidenziare.

Dapprima, viene sottolineato come sia da un lato innegabile, ma dall’altro non rilevante, il fatto che le iniziative pubblicitarie intraprese dal distributore italiano rinviassero e richiamassero il marchio del gruppo, posto che si trattava del brand che contraddistingue i prodotti propagandati.

Infatti, l’impresa italiana non sosteneva alcun costo per l’utilizzo del marchio, né in termini di royalties e né di addebiti per la diffusione e/o la valorizzazione del marchio della capogruppo; quindi, la tesi propugnata dall’Ufficio viene ricondotta ad una mera presunzione non provata, dato che i fatti addotti dall’impresa avevano in concreto dimostrato come non vi fosse alcun diretto vantaggio concreto in termini monetari per il gruppo, mentre i benefici delle iniziative promozionali promosse a livello locale erano direttamente ascritti al distributore stesso.

La seconda osservazione che si coglie nella parte motiva della sentenza è che l’operato dell’impresa italiana nel caso di specie è stato giudicato coerente con la stessa logica tipica del distributore, con il suo profilo funzionale, in cui è prioritaria “l’esigenza di preservare ed aumentare la quota di mercato”; questa logica, sottolinea il Collegio giudicante, “ricalca le stesse Linee Guida dell’Ocse che ammettono politiche tese anche a sostenere costi più elevati o maggiori sforzi di marketing con l’obiettivo di penetrare in un nuovo mercato oppure di aumentare o difendere la propria quota di mercato.

Un passaggio quindi senza dubbio apprezzabile ed utile a dare rilevanza, nella prospettiva del transfer pricing, alle logiche economiche e commerciali di mercato che muovono le imprese, nel perseguire obiettivi di medio lungo periodo, come è il caso dell’incremento della quota di mercato.