10 Gennaio 2020

Le scritture contabili inattendibili legittimano il ricorso all’induttivo

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, l’ordinamento tributario prevede – a favore dell’Amministrazione finanziaria – particolari poteri che, nell’ambito di una qualsiasi attività ispettiva, consentono di ricostruire il maggior reddito imponibile occultato dal soggetto passivo d’imposta.

In merito, l’ambito giuridico di riferimento in subiecta materia può essere così riassunto:

  • l’articolo 38 D.P.R. 600/1973 (rubricato rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche), prevede che l’ufficio delle imposte può rettificare le dichiarazioni presentate dalle persone fisiche quando il reddito complessivo dichiarato dal soggetto passivo risulta inferiore a quello effettivo, ossia non sussistono o non spettano, in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le detrazioni d’imposta indicate nella medesima dichiarazione;
  • l’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973 (accertamento analitico-induttivo), consente all’ufficio delle imposte di procedere alla rettifica del reddito d’impresa delle persone fisiche se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili o da altre verifiche ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa, nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio. In merito, l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano “gravi, precise e concordanti”;
  • l’articolo 39, comma 2, lett. d), D.P.R. 600/1973 (accertamento “induttivo puro”) prevede la possibilità, per l’ufficio delle imposte, di determinare il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili e di avvalersi anche di presunzioni semplicissime, prive dei requisiti di “gravità, precisione e concordanza” che, come sopra accennato, caratterizzano le presunzioni semplici.

In buona sostanza, la constatazione di maggiori redditi sottratti a tassazione può essere effettuata sulla base delle seguenti direttrici:

  • accertamento analitico-induttivo: partendo dai dati e dalle notizie rinvenibili dallo scrutinio delle scritture contabili l’Amministrazione finanziaria, sulla base di “presunzioni semplici”, ricostruisce l’esistenza di attività non dichiarate (e. ricavi in nero), ovvero l’inesistenza di passività dichiarate (i.e. costi non deducibili), così determinando induttivamente il reddito;
  • accertamento induttivo “puro”: in tale seconda ipotesi l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili e di avvalersi anche di “presunzioni semplicissime” (generalmente nelle ipotesi di evasore totale, ovvero di un soggetto totalmente sconosciuto al Fisco, che non presenta le prescritte dichiarazioni dei redditi).

Delineato l’assetto normativo di riferimento giova ricordare che, in tema di accertamento induttivo, la Suprema Corte di cassazione, sezione 5^ civile, con la recente ordinanza n. 28693/2019 del 07.11.2019, ha ritenuto corretto procedere alla ricostruzione induttiva del reddito derivante dalla totale inattendibilità delle scritture contabili.

Esaminando, nel dettaglio, la vicenda risolta in apicibus, il giudice d’appello ha rilevato che l’accertamento era stato compiuto con metodo analitico-induttivo e che esso non era stato fondato sullo scostamento tra reddito dichiarato e reddito risultante dallo studio di settore, in relazione all’attività di ristorazione svolta dalla società accertata, bensì sull’inattendibilità delle scritture istituite dal soggetto verificato.

In particolare, l’apparato contabile presentava importanti criticità:

  • mancata registrazione, nell’anno di riferimento, di acquisti di pasta;
  • mancanza di alcuni numeri nei blocchetti delle ricevute fiscali;
  • registrazione di finanziamenti dei soci, sebbene negli ultimi anni essi non avessero manifestato capacità contributiva;
  • incongruenze nella registrazione delle fatture d’acquisto dell’acqua minerale.

Partendo da questi dati, complessivamente considerati, il giudice del gravame ha condiviso la ricostruzione dei maggiori ricavi compiuta dall’ufficio, ricalcolandone induttivamente l’ammontare.

La Suprema Corte di cassazione ha confermato la tesi prospettata dal giudice di merito il quale, illustrando compiutamente il proprio convincimento, ha affermato che l’accertamento non poggia sulla discordanza tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’apposito studio di settore, secondo quanto consentito dall’articolo 62-sexies, del D.L. n. 331/1993, bensì sul giudizio d’inattendibilità delle scritture contabili, desunto da varie inesattezze delle registrazioni – che il giudice d’appello menziona analiticamente – conformemente a quanto previsto dall’articolo 39, primo comma, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973”.

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