11 Luglio 2018

Le leggi dello sport e il gioco dell’oca

di Guido Martinelli
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Con l’articolo 4, comma 1, del c.d. “decreto dignità” (al momento non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale) il Governo ha abrogato l’articolo 1, commi da 353 a 361, L.  205/2017, ossia tutta la disciplina della società sportiva dilettantistica lucrativa e dell’inquadramento come collaborazione coordinata e continuativa delle prestazioni sportive dilettantistiche.

Rimane salvo (casualmente?), per le attività sportive dilettantistiche solo il nuovo limite di compensi annui per dette attività (diecimila euro) al di sotto del quale non trova applicazione alcuna forma di ritenuta fiscale.

Pertanto, salvo improbabili modifiche in sede di conversione, come in un immaginario gioco dell’oca siamo tornati alla casella di partenza.

La società lucrativa di fatto non è mai nata (in quanto il Coni non aveva ancora approvato le modalità di riconoscimento ai fini sportivi, presupposto per il loro ingresso nell’ordinamento delle federazioni e degli enti di promozione sportiva e conseguente applicazione delle agevolazioni collegate).

Chi l’avesse nel frattempo costituita la potrà far operare come società commerciale a tutti gli effetti (ossia senza applicazione di alcuna forma di “aiuto” fiscale) salvo eliminare “alla prima occasione” gli inserimenti in statuto che erano stati introdotti per conformarsi alla disciplina prevista dalla L. 205/2017.

Per la società sportiva lucrativa il problema appare quindi limitato ai maggiori costi di costituzione che erano stati sostenuti contando sulla previsione legislativa e sull’imminente via libera da parte del Coni; la vicenda appare, per il resto, immune da conseguenze per chi già operava e opera come associazione o società sportiva senza scopo di lucro.

Altrettanto non possiamo però dire per la disciplina dei compensi sportivi.

Siamo, infatti, tornati alla situazione che era stata stigmatizzata correttamente dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 602/2014): “Quale premessa di ordine metodologico occorre partire dalla nozione di attività sportiva dilettantistica. Nel nostro ordinamento non figura una definizione giuridica univoca di tale attività e, più in generale, di sport dilettantistico, la cui nozione si ricava per esclusione rispetto al concetto di attività sportiva professionistica che prevede l’esercizio di attività sportive in via continuativa e remunerata a titolo professionale, normativamente disciplinata dalla L. 91/1981 sul professionismo sportivo. In parallelo va aggiunto che la figura del lavoratore sportivo dilettante non forma oggetto di una disciplina giuridica compiuta, né nell’ordinamento sportivo, né in quello nazionale. Manca, infatti, uno specifico inquadramento sotto il profilo del diritto del lavoro mentre si rinviene la regolazione di taluni aspetti specifici, soprattutto nel settore del diritto tributario”.

Mancato inquadramento al quale aveva cercato di porre rimedio la riforma, ora cancellata, qualificando, sotto il profilo lavoristico, le prestazioni sportive quali collaborazioni coordinate e continuative.

Ecco allora che, nonostante gli importanti spunti in senso favorevole forniti da alcune sentenze di merito e da specifici documenti di prassi amministrativa (vedi tra tutti la circolare 1/2016 Ispettorato Nazionale del Lavoro) continua a rimanere potenzialmente irrisolto il problema chiave delle prestazioni sportive: nel caso in cui la causa del rapporto non sia nell’ambito associativo ma trovi collocazione tra le prestazioni di lavoro, potrà trovare applicazione la disciplina di cui al combinato disposto dell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir e dell’articolo 69, comma 2, Tuir?

Il limite, in tal senso, continua ad essere la previsione dell’articolo 38, comma 2, Cost. laddove prevede che: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Quindi permane uno stato di incertezza sull’inquadramento dei collaboratori che potrà continuare a dare adito a contenziosi di esito incerto

Va detto che uno dei motivi principali a sostegno degli “avversari” del provvedimento era costituito dagli obblighi (comunicazione al centro per l’impiego, cedolino paga e iscrizione nel libro unico del lavoro) che derivavano, in capo al committente, dall’inquadramento delle prestazioni come collaborazioni coordinate e continuative.

Se questo è vero è altrettanto vero che la comunicazione mette o, meglio, avrebbe potuto comunque mettere al riparo la sportiva da eventuali sanzioni per “lavoro nero” nel caso in cui in sede di accertamento il verificatore ritenesse sussistere un rapporto qualificabile come subordinato.

Importante ricordare che l’articolo 4, comma 2, del decreto in esame trasferisce i fondi che erano stati stanziati per le agevolazioni per le lucrative alla creazione di un tesoretto, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da destinare “a interventi in favore delle società sportive dilettantistiche”.

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I nuovi adempimenti e le nuove regole per lo sport italiano