19 Ottobre 2018

Le agevolazioni per il rientro in Italia di ricercatori

di Luca Mambrin
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Recentemente l’Agenzia delle entrate, nella risposta n. 33 dell’11.10.2018 ha fornito nuovi chiarimenti in merito all’applicazione dell’agevolazione prevista dall’articolo 44 D.L. 78/2010, così come modificato dalla L. 190/2014, per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero.

I docenti e i ricercatori che decidono di trasferire la propria residenza fiscale in Italia possono godere di una tassazione ridotta dei redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia per lo svolgimento dell’attività di docenza e ricerca. In particolare, questi redditi concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 10% e sono esclusi dal valore della produzione netta ai fini dell’Irap.

L’agevolazione si applica a decorrere dal periodo d’imposta in cui il docente o il ricercatore diviene fiscalmente residente nel territorio dello Stato e nei 3 successivi, quindi, per un totale di 4 anni. Se, in questo periodo, il docente o il ricercatore trasferisce la residenza all’estero, il beneficio fiscale viene meno a partire dal periodo d’imposta in cui non risulta più fiscalmente residente in Italia.

Gli incentivi previsti dalla normativa spettano, in particolare, ai docenti e ai ricercatori che svolgono in Italia la loro attività e che possiedono i seguenti requisiti:

  • essere in possesso di un titolo di studio universitario o equiparato: sono validi tutti i titoli accademici universitari o equiparati, mentre i titoli di studio conseguiti all’estero non sono automaticamente riconosciuti in Italia. Il contribuente dovrà richiedere la “dichiarazione di valore” alla competente autorità consolare, cioè un documento che attesta il valore del titolo di studio nel paese in cui è stato conseguito.
  • essere stati residenti all’estero in maniera non occasionale: non viene specificata la durata della permanenza all’estero ma la norma si limita a richiedere che si tratti di una permanenza stabile e non occasionale. Considerato che la durata dell’attività di ricerca o docenza all’estero deve essersi protratta per almeno due anni consecutivi, tale periodo può ritenersi il tempo minimo necessario per avere le agevolazioni.
  • aver svolto all’estero documentata attività di ricerca o docenza per almeno due anni continuativi, presso centri di ricerca pubblici o privati o università: l’attività di ricerca viene individuata nell’attività destinata alla ricerca di base, alla ricerca industriale, di sviluppo sperimentale e a studi di fattibilità, mentre l’attività di docenza può essere individuata nell’ attività di insegnamento svolta presso istituzioni universitarie, pubbliche e private. L’effettivo svolgimento dell’attività di ricerca o di docenza all’estero, che non necessariamente deve essere stata svolta nei due anni immediatamente precedenti il rientro, deve risultare da idonea documentazione rilasciata dagli stessi centri di ricerca o dalle università presso i quali l’attività è stata svolta.
  • svolgere attività di docenza e ricerca in Italia: non è rilevante la natura del datore di lavoro o del soggetto committente, che, per l’attività di ricerca, può essere un’università, pubblica o privata, o un centro di ricerca pubblico o privato o un’impresa o un ente che, in ragione della peculiarità del settore economico in cui opera, disponga di strutture organizzative finalizzate alla ricerca. Per quanto riguarda l’attività di docenza possono ritenersi agevolabili tutte le attività finalizzate all’insegnamento e quelle finalizzate alla formazione svolte presso università, scuole, uffici o aziende, pubblici o privati.
  • trasferire la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

In merito a tale ultimo requisito, con la risposta all’interpello n. 33 dell’11.10.2018, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che per l’applicazione dell’agevolazione in esame è necessario che sussista un collegamento tra il rientro in Italia e l’inizio dell’attività di docenza o ricerca nel territorio dello Stato. 

Nel caso esaminato dall’Agenzia, infatti, il ricercatore aveva svolto dal 2011 attività di ricerca in USA, in Olanda e in Gran Bretagna. Su autorizzazione dello stesso datore di lavoro, il ricercatore aveva continuato a svolgere attività di ricerca all’estero dalla data di assunzione avvenuta nell’ottobre 2015 (senza far seguire l’acquisizione della residenza fiscale in Italia) fino ad aprile 2016, da settembre 2016 ad aprile 2017 e da giugno a luglio 2017, svolgendo inoltre attività di ricerca in Italia presso la sede del proprio datore di lavoro per i rimanenti mesi degli anni 2016 e 2017 e definitivamente da settembre 2017.

Il ricercatore, inoltre, solo nel mese di settembre 2017 si iscriveva all’Anagrafe della popolazione di un Comune in Italia e nel 2018 ha acquisito la residenza fiscale in Italia.

Sulla base di tali elementi l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il ricercatore non può accedere al regime agevolativo previsto: il contribuente, infatti, alla stipula del contratto di lavoro a tempo determinato avvenuta nell’ottobre 2015, non ha fatto seguire l’acquisizione della residenza fiscale in Italia dal periodo d’imposta 2016 ed ha continuato a svolgere la propria attività all’estero fino a settembre 2017, ancorché con brevi intervalli in cui ha svolto l’attività in Italia.

Pertanto, conclude l’Agenzia “il rientro in Italia nel settembre 2017, coincidente con l’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente del Comune di …, intervenuta successivamente all’instaurarsi del rapporto di lavoro con ALFA per svolgere l’attività di ricerca in Italia, fa sì che non sia ravvisabile un nesso tra i due eventi e, quindi, non risulta soddisfatta la vis attrattiva della norma”.

 

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