8 Luglio 2016

L’Amministrazione deve fornire le prove dell’abuso del diritto

di Luigi Ferrajoli
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Con il D.Lgs. n.128/15 il legislatore ha riformato l’istituto dell’abuso del diritto, inserendo nella L. n. 212/00 l’art.10-bis, rubricato appunto “Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale” e abrogando l’art.37-bis del d.P.R. n.600/73.

Come già riconosciuto dalla Corte di Cassazione a breve distanza dall’entrata in vigore dell’art.10-bis (cfr. Cass. civ. sent. n. 40272 del 07.10.2015), con tale norma è avvenuta l’unificazione tra la nozione di abuso del diritto e quella di elusione fiscale; secondo la nuova definizione dell’istituto, configurano “abuso del diritto” le operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali e indipendentemente dalle intenzioni del contribuente, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. La previsione normativa individua, quindi, i tre presupposti per l’esistenza dell’abuso:

  1. l’assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate;
  2. la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;
  3. la circostanza che il vantaggio è l’effetto essenziale dell’operazione.

L’articolo 10-bis ha, inoltre, previsto un preciso riparto dell’onere probatorio tra Amministrazione finanziaria e contribuente: secondo il comma 9, la prima ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, che non è non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi sopra indicati, mentre il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali che giustifichino le operazioni poste in essere.

La Corte di Cassazione, nella recente sentenza n. 10458 del 20.05.2016, è tornata ad occuparsi della problematica delle contestazioni di fattispecie abusive/elusive chiarendo come l’onere probatorio posto in capo all’Amministrazione finanziaria debba essere assolto in modo rigoroso dalla medesima anche in relazione a fatti avvenuti in vigenza della precedente normativa.

Secondo la Suprema Corte, infatti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare sia il disegno elusivo, sia le modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per ottenere il risparmio di imposta.

Nella vicenda in esame l’Agenzia delle entrate aveva proposto ricorso avverso la sentenza di appello che aveva escluso che l’acquisto da parte di una società della partecipazione delle quote di una società terza, proprietaria di un terreno al quale la contribuente era interessata (in luogo dell’acquisto del solo terreno), l’acquisto del terreno medesimo dalla partecipata al costo storico e la successiva svalutazione della partecipazione costituissero operazione elusiva.

Con il ricorso per cassazione, l’Ufficio contestava tra l’altro la violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. n.600/73 (vigente all’epoca dei fatti) e dei principi comunitari in materia di abuso del diritto, censurando la sentenza impugnata poiché aveva ritenuto legittima la deduzione della perdita subita dalla contribuente per effetto della svalutazione della partecipazione totalitaria assunta in una società proprietaria di un terreno necessario per l’espletamento della propria attività di impresa ed omettendo di considerare le seguenti circostanze:

  1. l’acquisto della partecipazione delle quote della società proprietaria del terreno in luogo dell’acquisto del solo terreno avrebbe costituito operazione astrattamente idonea a realizzare un risparmio fiscale perché consentiva di dedurre il costo dell’eventuale svalutazione delle quote acquistate a fronte dell’impossibilità di ammortizzare il costo del terreno;
  2. la svalutazione della partecipazione, contabilizzata in base all’effettivo valore del patrimonio della partecipata, si sarebbe determinata per effetto della cessione del terreno operata dalla stessa partecipata alla partecipante al prezzo storico anziché a quello di mercato in contrasto con le ordinarie regole di razionalità economica.

La Suprema Corte, tuttavia, ha respinto il ricorso richiamando un principio consolidato secondo cui “… incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale” (cfr. Cass. sent. nn. 4603/2014 e 21390/2012).

Secondo la Corte, l’Agenzia delle entrate aveva individuato correttamente i presupposti per l’individuazione della fattispecie di abuso del diritto, tuttavia i giudici di seconde cure non avevano ritenuto tali presupposti sussistenti nel caso di specie, attraverso un accertamento in fatto che non poteva essere oggetto di una nuova valutazione in sede di giudizio di legittimità.

La sentenza evidenzia un mutamento di orientamento della Cassazione in tema di individuazione delle fattispecie elusive, che ha portato ad un maggior rigore nella verifica dell’adempimento dell’onere probatorio da parte dell’Amministrazione finanziaria.