4 Luglio 2025

L’affitto e la cessione di azienda nell’ambito del Codice della Crisi di Impresa quale operazione strumentale alla soluzione della crisi

di Paola Barisone
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La circolazione dell’azienda nell’ambito del Codice della Crisi di Impresa consente di garantire, qualora sussistano le condizioni, la continuità aziendale anche in via indiretta e pertanto la salvaguardia totale o parziale dei posti di lavoro e il valore di avviamento aziendale e/o in alternativa la massimizzazione dei benefici per la massa dei creditori mediante l’incremento dei flussi di cassa grazie ai canoni di locazione nel caso di affitto di azienda o anche l’alienazione di un asset aziendale ancora funzionante.

 

Premessa

Nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi di impresa, la concessione in affitto o la cessione dell’impresa sta assumendo un ruolo sempre più rilevante in quanto consente, da un lato, la prosecuzione delle attività imprenditoriali conservando i livelli occupazionali e i valori di avviamento aziendali, mentre dall’altro incrementa i flussi di cassa grazie ai canoni di locazione nel caso di affitto di azienda e all’incasso del corrispettivo nel caso di cessione potenziando le esigenze dei creditori sociali volte alla migliore soddisfazione del loro credito.

Allorché l’imprenditore si trovi in stato di crisi diventa importante analizzare le ragioni della crisi stessa, per verificare la possibilità di un turnaround.

La ristrutturazione può difatti implicare una circolazione dell’azienda o di rami d’azienda, nel contesto di operazioni societarie straordinarie quali conferimento o scissione aziendale o di contratti di trasferimento dell’azienda, a titolo temporaneo (affitto) o definitivo (cessione).

Le due operazioni di affitto e di cessione di azienda possono anche sussistere entrambe nell’ambito del processo di risanamento in quanto frequentemente l’affitto di azienda con previsione di una opzione di acquisto è precedente all’apertura della procedura di crisi.

L’affitto d’azienda in questo caso dev’essere stipulato in funzione della presentazione della domanda di composizione negoziata o del ricorso a uno strumento di regolazione della crisi.

Il presupposto è che l’affitto di azienda con opzione di acquisto sia realmente funzionale all’ammissione a uno strumento di regolazione della crisi e che non costituisca un modo surrettizio (e pertanto abusivo) per procrastinare la continuazione dell’attività di impresa, sperando che la crisi si risolva da sola.

Diventa pertanto essenziale valutare, preliminarmente, se l’azienda, a seguito della ristrutturazione del debito, è funzionalmente in grado di proseguire nell’attività di impresa, generando flussi di cassa positivi, non solo finalizzati al soddisfacimento dei creditori sociali ma, in generale, anche alla creazione di valore aziendale tramite la permanenza sul mercato anche in via indiretta.

Pertanto, occorre considerare le diverse prospettive che nella prassi possono sussistere:

  1. affitto di azienda stipulato in data anteriore all’accesso a una procedura di ristrutturazione;
  2. affitto o cessione di azienda nell’ambito della composizione negoziata della crisi di impresa:
  3. cessione di azienda anche preceduta dalla stipula di un contratto di affitto di azienda nel contesto di un concordato preventivo, o di un piano di ristrutturazione soggetto a omologazione;
  4. cessione di azienda nell’ambito della liquidazione giudiziale con possibili criticità connesse alla sussistenza di un precedente contratto di affitto di azienda e conseguente scelta del curatore tra subentro e scioglimento nel contratto medesimo e possibili conseguenze dal punto di vista giuridico.

Occorre altresì precisare che il trasferimento di un’impresa in attività costituisce sicuramente uno strumento più idoneo a meglio preservare il valore dell’azienda rispetto all’ipotesi di liquidazione atomistica dei singoli assets con conseguente annullamento di qualsiasi residuo valore di avviamento e di know how del sito produttivo.

Occorre infine distinguere tra la disciplina del trasferimento di azienda (o di ramo d’azienda) da impresa in crisi e da procedura concorsuale liquidatoria.

Tale distinzione appare necessaria in quanto l’art. 2560, comma 2, c.c., in tema di responsabilità dell’acquirente dell’azienda verso i terzi per i debiti dell’alienante che risultino dalle scritture contabili obbligatorie, è un tratto rilevante della disciplina codicistica della circolazione dell’azienda di diritto comune al di fuori di una procedura concorsuale.

Nel presente contributo esamineremo le ipotesi di circolazione dell’azienda nell’ambito del Codice della Crisi di Impresa.

 

L’affitto di azienda nel Codice della Crisi di Impresa

Il nuovo Codice della Crisi e dell’Impresa richiama e disciplina l’affitto d’azienda sia nella procedura di concordato che nella liquidazione giudiziale, mentre nell’ambito della composizione negoziata, la stipula di un contratto di affitto di azienda può essere qualificato quale atto di straordinaria amministrazione sui cui l’esperto nominato può eseguire il controllo previsto dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 21, CCII, riferendosi il comma 4 dell’art. 22 del CCII esclusivamente all’ipotesi di cessione di azienda.

Nel concordato preventivo la norma di riferimento è il comma 2 dell’art. 84 del CCII che in ragione della continuità aziendale indiretta precisa che la gestione dell’azienda da parte del terzo può venire in forza di affitto anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso e tale funzionalità deve essere indicata espressamente nel corpo del contratto unitamente alle ragioni della scelta.

Sempre nell’ambito del concordato preventivo, il comma 1 dell’art. 91 del CCII estende a tale istituto la disciplina delle offerte concorrenti stabilite nell’ipotesi in cui nel piano di concordato vi sia un’offerta irrevocabile di acquisto e/o di affitto di azienda.

Mentre il comma 5 dell’art. 94 CCII, dispone invece che, dopo la presentazione della domanda di accesso e fino quindi all’omologa del concordato, l’affitto d’azienda, come l’alienazione della medesima, si realizzi con l’esperimento di procedure competitive previa stima e adeguata pubblicità.

Nella liquidazione giudiziale, nell’ipotesi di affitto di azienda preesistente all’avvio della procedura, la norma di riferimento è l’art. 184 del CCII, il quale statuisce che l’apertura della liquidazione giudiziale non comporta l’automatico scioglimento del contratto ma solo la possibilità per il curatore di recedervi corrispondendo quindi alla controparte un equo indennizzo.

Sempre nell’ambito della liquidazione giudiziale, la norma di cui all’art. 212 del CCII rubricato “affitto dell’azienda e quindi o di suoi rami”, disciplina nel contesto dell’esercizio provvisorio, il contratto di affitto di azienda stipulato dal curatore e ne fornisce una regolamentazione completa e dettagliata stabilendo la condizione di scelta dell’affittuario e individuando alcune clausole di salvaguardia.

Nel caso di liquidazione giudiziale, il rischio di impresa trova pertanto un giusto bilanciamento nelle clausole di salvaguardia di cui all’art. 212 CCII o nel diritto di recesso di cui all’art. 184 CCII da parte del curatore al fine di garantire un equilibro tra i vantaggi della continuità aziendale sia pure in via indiretta da una parte e gli obblighi contrattuali dall’altra.

L’affitto è comunque una fattispecie che necessita di adattamenti a seconda del contesto della crisi con cui si viene a confrontare perché si tratta di un contratto che può essere stipulato indipendentemente e anteriormente a qual si voglia tipo di procedura concorsuale ora in funzione della disciplina concorsuale ora quale strumento di soluzione della crisi ovvero come rapporto pendente durante la liquidazione e infine anche atto di liquidazione giudiziale.

In tale contesto l‘art. 212 fornisce la regolamentazione più completa e dettagliata del contratto di affitto nell’ambito del Codice della Crisi in quanto oltre a stabilire la condizione di scelta dell’affittuario individua alcune clausole che chiamiamo di salvaguardia che devono essere inserite nel contratto stipulato dal curatore.

Il curatore difatti nell’esercitare la scelta tra recedere o meno dall’affitto dovrà tenere in considerazione la presenza nel contratto delle condizioni imposte dall’art. 212 CCII.

Tale circostanza non vuol significare che il curatore non possa autorizzare la prosecuzione di un affitto che non abbia il contenuto minimo previsto dalla normativa, ma qualora il curatore intenda comunque subentrare sarà tenuto, per il principio generale dell’art. 1372, c.c. a rispettare integralmente i termini e le modalità del contratto.

Di conseguenza l’attenzione dovrà essere rivolta all’inserimento di quelle clausole di salvaguardia previste dal comma 3 dell’art. 212 CCII e seguenti che costituiscono il contenuto minimo del contratto stipulato dal curatore nelle forme disciplinate dall’art. 2556 c.c., e che deve prevedere:

  • il diritto del curatore di procedere all’ispezione della azienda al fine di garantire la conservazione dell’integrità del complesso aziendale;
  • la prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell’affittuario derivanti dal contratto e dalla legge. Nel caso di affitto anteriore, la prestazione di garanzia da parte dell’affittuario costituisce uno degli aspetti più rilevanti da tenere in considerazione per andare ad assicurare la continuità aziendale, il riferimento non è tuttavia a una costituzione generalizzata della garanzia quanto piuttosto all’obbligo di pagamento del canone e delle ulteriori somme che sono state stabilite convenzionalmente quali ad esempio penali e indennità, ma anche eventuali obblighi di fare concordati tra le parti quali una buona manutenzione degli impianti e in generale dei beni aziendali e una corretta conduzione dell’azienda. Le garanzie potranno essere tipiche ovverosia realizzate mediante la stipula di fidejussioni, impegni e garanzie ma anche garanzie atipiche (legate alla struttura dell’impresa o alla permanenza di personale qualificato);
  • il diritto di recesso del curatore dal contratto, che può essere esercitato, sentito il comitato dei creditori, con la corresponsione all’affittuario di un giusto indennizzo da corrispondere in prededuzione. Il diritto di recesso del curatore, a differenza del più generale recesso convenzionale disciplinato dall’ 1373, c.c., non può essere vincolato a un termine in quanto deve perdurare per tutta la durata del rapporto anche se si potrebbe stabilire ad esempio un preavviso per gli effetti di esercizio del diritto;
  • la redazione di un inventario iniziale da allegare al contratto di affitto di azienda e di un inventario finale al momento della retrocessione o della fine del contratto, possibilmente con la previsione di clausole di aggiornamento con redazione di inventari intermedi. Occorre difatti che vi sia una precisa definizione dei cespiti che compongono il complesso aziendale in quanto in caso di retrocessione dell’azienda, grazie alla presenza di un inventario iniziale e dei suoi aggiornamenti si potranno evitare eventuali situazioni di conflitto riferite in particolare alle differenze di consistenze dei beni;
  • una durata del contratto di affitto che deve essere compatibile con le esigenze della liquidazione dei beni. In un contratto di affitto anteriore la durata dovrà difatti essere commisurata alle tempistiche dello strumento di regolazione della crisi prescelto. Essendo tra le altre cose la durata un elemento essenziale del contratto, non sarà ad esempio ipotizzabile un affitto a tempo indeterminato anche qualora fosse stabilita la facoltà per il curatore di invocarne in ipotesi la cessazione degli effetti decorso un determinato periodo di tempo;
  • i criteri di determinazione del canone di affitto di azienda da parte di un esperto attraverso una relazione di stima da richiamare nel corpo di contratto, o quantomeno, in assenza di relazione di stima, l’indicazione delle modalità di quantificazione del canone medesimo;
  • la previsione di una puntuale disciplina delle riparazioni miglioramenti e addizioni. Riguardo alle riparazioni sarà opportuno definire nel contratto che cosa si intenda per riparazione ordinaria, per riparazioni straordinarie, nonché per miglioramenti e addizioni disciplinando altresì le sorti di eventuali addizioni e miglioramenti apportati dal terzo affittuario stabilendo così se comportino o meno degli obblighi a carico della procedura ad esempio con la previsione della possibilità per il curatore di ritenerli solo nell’ipotesi in cui siano produttivi di un effettivo aumento di valore;
  • il diritto di prelazione a favore dell’affittuario che può essere concesso convenzionalmente, previa autorizzazione del giudice delegato e previo parere favorevole del comitato dei creditori. In tale caso, esaurito il procedimento di determinazione del prezzo di cessione dell’azienda o del singolo ramo, il curatore, entro 10 giorni, provvede a eseguire la comunicazione all’affittuario, il quale può esercitare il diritto di prelazione entro 5 giorni dal ricevimento della comunicazione;
  • il diritto di prelazione rappresenta un incentivo per l’affittuario a continuare la gestione dell’azienda, offrendo la possibilità di divenire proprietario dell’attività che sta gestendo, favorendo, in questo modo, la continuità aziendale e la salvaguardia degli interessi dei creditori e dei lavoratori;
  • la retrocessione alla liquidazione giudiziale di aziende, o rami di aziende, con esonero dalla responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli 2112 e 2560, c.c..

Riguardo alla disciplina dei debiti per l’ipotesi di retrocessione dell’azienda al termine dell’affitto, in caso di affitto di azienda anteriore alla liquidazione giudiziale, l’art. 184 al comma 2 estende in caso di recesso del curatore o per scadenza del contratto la deroga stabilita dall’art. 212 comma 6 quindi l’esonero da responsabilità della procedura per i debiti maturati fino alla retrocessione.

Si ritiene infine che, anche nel caso di stipula di contratto di affitto di azienda anteriore all’apertura di una procedura di concordato preventivo in continuità indiretta sarebbe auspicabile non prescindere da un inserimento pattizio di clausole di salvaguardia simili o corrispondenti a quelle stabilite dall’art. 212 CCII.

 

La cessione di azienda nell’ambito del Codice della Crisi di Impresa

La cessione di azienda nel CCII è un istituto fondamentale per la gestione della crisi d’impresa, che permette di trovare soluzioni per la prosecuzione dell’attività, la soddisfazione dei creditori e la tutela dei lavoratori, con la possibilità di derogare a determinate regole in base a specifiche condizioni e con il coinvolgimento del Tribunale e degli enti sindacali.

La cessione di azienda nel Codice della Crisi d’Impresa (CCII) è disciplinata in modo specifico, nella composizione negoziata, nella liquidazione giudiziale e nel concordato preventivo.

La cessione del compendio aziendale permette difatti la prosecuzione dell’attività, con la possibilità di derogare all’art. 2112 c.c. (tutela dei lavoratori) attraverso accordi sindacali e con l’autorizzazione del Tribunale.

La circolazione dell’azienda nell’ambito della composizione negoziata

Nell’ambito della composizione negoziata della crisi di impresa, la cessione dell’azienda o di uno o più dei suoi rami può avvenire in qualunque momento, purché – ai fini del beneficio per l’acquirente dell’esenzione dalla responsabilità solidale di cui agli artt. 2560, c.c. e 14, comma 5-bis, del D.Lgs. n. 472/1997 – sia autorizzata dal Tribunale a norma dell’art. 22, comma 1, lett. d), del CCII.

La disposizione in esame deve essere funzionale al piano di risanamento e contempla l’attivazione di una procedura competitiva per limitare il rischio di scelte potenzialmente dannose per i creditori, anche grazie al parere espresso dall’esperto.

In relazione alla funzionalità della cessione rispetto al piano di risanamento giova segnalare il decreto del 11 marzo 2025 del Tribunale di Perugia che ha autorizzato la cessione di un ramo d’azienda anche in assenza di funzionalità rispetto al piano di risanamento, in quanto la cessione a un prezzo ribassato, pur se non sufficiente a garantire il risanamento, avrebbe comunque consentito la prosecuzione dell’attività di impresa, evitando la disgregazione dei valori aziendali e preservando i livelli occupazionali.

Nel valutare la sussistenza dei presupposti per autorizzare il trasferimento, il Tribunale in assenza di altri soggetti interessati, nonostante la pubblicità espletata prima dello svolgimento della gara, a seguito del parere espresso dall’esperto, ha ritenuto che la prevedibile disgregazione dei valori aziendali per effetto dell’impossibilità di perseguire l’attività in presenza di una situazione di crisi generata in insolvenza, non avrebbero potuto che essere arginate attraverso una serie di iniziative in discontinuità rispetto alla conduzione dell’impresa in via diretta tra cui proprio la cessione dell’azienda idonea a preservare – oltre che la continuità di impresa, anche se non funzionale a un percorso di risanamento – il controvalore della cessione in caso di scenari alternativi di natura liquidatoria.

 

La circolazione dell’azienda nell’ambito delle procedure concorsuali

Riguardo alla circolazione dell’azienda nell’ambito delle procedure concorsuali si richiama lo studio n. 41/2024 pubblicato dal Consiglio del Notariato ove viene eseguita una disamina delle innovazioni apportate dalla riforma rispetto alla precedente Legge fallimentare, evidenziando l’evoluzione giuridica del concetto di liquidazione aziendale, concentrandosi poi sulla portata degli artt. 214 e 216 del CCII in tema di liquidazione giudiziale.

Si ricorda che il comma 3 dell’art. 214 CCII introduce una novità di rilievo, stabilendo che: «salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento.».

La norma si pone come incentivo alla partecipazione degli acquirenti nelle procedure concorsuali, elidendo il rischio di gravami finanziari preesistenti.

Si ricorda che nell’ambito delle procedure concorsuali, la normativa sul trasferimento parziale dei lavoratori e la deroga all’art. 2112 c.c. che, generalmente, tutela i diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda, può essere negoziata tramite l’istituto dell’esame congiunto, strumento grazie al quale si negoziano le condizioni di trasferimento dei lavoratori.

Difatti, prima del trasferimento dell’azienda, è prevista una procedura di informazione e consultazione con i sindacati (esame congiunto), per garantire che i lavoratori siano adeguatamente informati e possano esercitare i propri diritti.

In particolare, l’esame congiunto nell’ambito delle procedure concorsuali consente ai sindacati di esprimere il proprio parere sulla cessione e di negoziare le condizioni di lavoro dei dipendenti in vista del trasferimento.

L’esame congiunto è una procedura di dialogo e negoziazione che può portare a un accordo sindacale, che può prevedere delle deroghe alla disciplina dell’art. 2112.

Per tale motivo, l’esame congiunto è particolarmente rilevante nelle procedure concorsuali, dove il trasferimento di azienda è un’operazione che può avere un impatto significativo sui lavoratori.

Il comma 4 dell’art. 214 CCII va letto congiuntamente sia con il comma 3 dello stesso art. 214, nella parte in cui esclude la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute, sorti prima del trasferimento, sia con l’ultimo comma, sempre dell’art. 214, nella parte in cui prevede che il pagamento del prezzo possa essere effettuato mediante accollo di debiti da parte dell’acquirente solo se non viene alterata la graduazione dei crediti.

Pertanto, è possibile prevedere nell’avviso di vendita telematica dell’azienda la possibilità di accollo del debito per TFR del personale dipendente ammesso allo stato passivo e oggetto di trasferimento con la cessione dell’azienda e/o l’accollo del mutuo ipotecario che grava sull’immobile facente parte del compendio aziendale oggetto di trasferimento ammesso anch’esso allo stato passivo.

La previsione nell’avviso di vendita telematica dell’azienda della possibilità di accollo di debiti ammessi allo stato passivo consente di rendere maggiormente appetibile il complesso aziendale oggetto di trasferimento.

Il comma 5 dell’art. 214 CCII dispone che la cessione dei crediti relativi alle aziende cedute, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel Registro Imprese. Tuttavia, il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede al cedente, mentre il comma 6 dispone che i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestate o comunque esistenti a favore del cedente, conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario.

L’art. 216 CCII, illustra, i principi di vendita aziendale, anche in relazione alla monetizzazione dei diritti del debitore e le procedure di vendita analizzando le diverse forme di vendita e le regole per garantire la trasparenza nelle procedure di liquidazione.

In particolare, il comma 2 dell’art. 216 CCII dispone che le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore o dal delegato alle vendite tramite procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base delle stime effettuate, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati.

Le vendite ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 216 CCII sono effettuate con modalità telematiche tramite il portale delle vendite pubbliche, salvo che tali modalità siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura garantendo adeguate forme di pubblicità idonee ad assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati.

La circolazione dell’azienda nel concordato preventivo

Nel concordato preventivo, la cessione dell’azienda deve essere gestita in modo da garantire la continuità dell’attività e la soddisfazione dei creditori, con l’applicazione delle norme previste per la liquidazione giudiziale, laddove compatibili, e con la possibilità di derogare alle norme sul trasferimento d’azienda in caso di accordo sindacale.

Nel concordato, la cessione dell’azienda è una forma di liquidazione dei beni dell’impresa, grazie al ricavato della vendita destinato a soddisfare i creditori.

Nel concordato con continuità aziendale, la cessione dell’azienda può essere prevista sia per la continuità indiretta tipica, ove il prezzo di cessione viene pagato in rate attraverso i flussi di cassa generati dalla nuova società acquirente, che continua l’attività dell’azienda ceduta e la garanzia del pagamento del prezzo di cessione può essere prevista con l’inserimento di una condizione risolutiva o della riserva di proprietà, sia per la continuità indiretta atipica, ove il prezzo di cessione può essere pagato in anticipo o garantito, ma la società acquirente può comunque beneficiare delle disposizioni sulla continuità aziendale per quanto riguarda i contratti in corso.

Le norme di riferimento sono l’art. 114 CCII che, riguardo al concordato liquidatorio, richiama le disposizioni sulla liquidazione giudiziale, laddove compatibili, per le vendite nel concordato preventivo, inclusa la cessione d’azienda; e l’art. 114-bis CCII introdotto dal terzo correttivo al Codice della Crisi il quale dispone che quando il piano del concordato in continuità prevede la liquidazione di una parte del patrimonio o la cessione dell’azienda e l’offerente non sia già individuato, nella sentenza di omologazione il Tribunale può nominare uno o più liquidatori e un comitato di 3 o 5 creditori per assistere alla liquidazione e il liquidatore, anche avvalendosi di soggetti specializzati, compie le operazioni di liquidazione assicurandone l’efficienza e la celerità nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza. Qualora il piano prevede l’offerta da parte di un soggetto individuato, il Tribunale dispone che dell’offerta sia data idonea pubblicità al fine di acquisire offerte ai sensi dell’art. 91, CCII (offerte concorrenti).

 

La circolazione dell’azienda tramite conferimento in una newco

Si ricorda che il Legislatore ha voluto dotare la procedura concorsuale di un nuovo strumento gestionale attraverso un veicolo societario, anche di nuova costituzione, che consenta di ovviare ad alcuni inconvenienti tipici dell’esercizio provvisorio o dell’affitto d’azienda, in quanto le conseguenze della gestione vengono ristrette nel limitato ambito della newCo, partecipata dalla procedura concorsuale, escludendosi in questo modo, che l’assunzione di nuovi debiti connessi alla gestione aziendale possa pregiudicare gli interessi della massa dei creditori. In questo caso l’amministrazione della società “veicolo” può essere affidata a un organo amministrativo designato dagli organi della procedura concorsuale, lasciando, quindi, nell’ambito della stessa procedura fallimentare, gli strumenti di comando che possono spingersi, attraverso interventi autoritativi, fino all’interruzione della gestione.

La norma di cui all’art. 216, comma 7, dispone che il curatore può procedere alla liquidazione anche mediante il conferimento in una o più società, eventualmente di nuova costituzione, dell’azienda o di rami della stessa, ovvero di beni o crediti, con i relativi rapporti contrattuali in corso, esclusa la responsabilità dell’alienante ai sensi dell’art. 2560, c.c.

Il conferimento del complesso aziendale in una società di nuova costituzione può essere, in alcune situazioni, più agevole e più rapido rispetto, ad esempio, a un contratto d’affitto d’azienda.

L’istituto disciplinato, come già indicato, nel comma 7 dell’art. 214 CCII (la creazione di una nuova società o newCo) ha lo scopo di consentire, al curatore, secondo l’impianto normativo del Codice della Crisi, di monetizzare al meglio le componenti, ancora attive della società insolvente.

In concreto la nuova società consente di neutralizzare ogni peso economico o giuridico legato al precedente soggetto giuridico, mantenendo intatte le componenti qualificanti della precedente azienda (come ad esempio fornitori, clienti e gli stessi dipendenti).

Per consentire una migliore spendibilità delle componenti ancora attive dell’azienda in crisi il Legislatore, anche in questo caso, esclude l’applicabilità dell’art. 2560 c.c., disponendo la non responsabilità della procedura per i debiti anteriori alla dichiarazione di insolvenza.

L’art. 214 comma 7 CCII conclude con l’indicazione che: «Le azioni o le quote della società che riceve il conferimento possono essere attribuite, nel rispetto delle cause di prelazione, a singoli creditori che vi consentano. Sono salve le diverse disposizioni previste in leggi speciali.».

Questa parte conclusiva della norma evidenzia il particolare interesse del Legislatore su questo nuovo istituto liquidativo, in quanto non solo ritiene che spostando tutti gli elementi interessanti della società decotta, in una nuova società veicolo, si possa meglio raggiungere il mercato, ma addirittura che proprio grazie all’interesse generale nei confronti della nuova società, gli stessi creditori, senza violazione delle cause di prelazione, possano chiedere di essere pagati con quote o azioni della società stessa.

Si segnala che l’articolo è tratto da “Bilancio, vigilanza e controlli”.