25 Gennaio 2021

L’abuso del diritto tra norma, prassi e giurisprudenza – II° parte

di Andrea RamoniLuigi A. M. Rossi
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La scheda di FISCOPRATICO

Nella prima parte del presente contributo abbiamo visto come il comma 2, lett. a), dell’articolo 10-bis L. 212/2000 individui nella sostanza economica un requisito essenziale per evitare che si ricada in operazioni abusive (pur in presenza degli altri due presupposti).

È allora utile osservare come la circolare 1/2018 della Guardia di Finanza descriva, in negativo, alcune circostanze di fatto, al ricorrere delle quali si delineerebbe un’ipotesi di abuso del diritto:

  1. operazioni cosiddette “circolari”, ovvero attuate secondo uno schema che non determina, oltre al risparmio fiscale, modificazioni sostanziali, sul piano giuridico ed economico, rispetto alla situazione iniziale;
  2. operazioni cosiddette “lineari”, ovvero attuate con una sequenza di negozi giuridici che, pur modificando gli assetti economici, sono caratterizzate da una “incoerenza” giuridica, “in quanto declinate attraverso l’adozione di forme diverse e indirette rispetto a quelle di altri negozi che avrebbero consentito, in maniera diretta, la soddisfazione del medesimo interesse extrafiscale”.

Tra gli altri elementi sintomatici di assenza di sostanza economica, la Guardia di Finanza ritiene anche si debba aver cura di verificare i valori ai quali determinati negozi giuridici vengono conclusi: in caso di significativa discrepanza con quelli di mercato, si ricadrebbe in ipotesi di abuso (si ricorda, sempre in presenza degli altri due presupposti richiesti dalla normativa).

Analoga sorte viene riservata alle operazioni anomale, ovvero alle “costruzioni ingiustificabili in una logica di normalità imprenditoriale, in quanto non apportano null’altro, se non il risparmio fiscale” (cfr. Vol. III, pag.294).

Con riferimento alla assenza di sostanza economica, l’esempio che si ritrova nella circolare 1/2018 (Vol. III, p. 294) è quello di un soggetto economico che effettua un apporto di denaro in una holding intermedia di nuova costituzione, che utilizza tali disponibilità per l’acquisto dallo stesso socio della partecipazione in un’altra società: “la sequenza negoziale attuata potrebbe essere ritenuta priva di sostanza economica in quanto orientata a soddisfare un obiettivo raggiungibile in modo diretto attraverso il conferimento in natura, da parte del socio, di una partecipazione in una holding di nuova costituzione”.

Quanto alle valide ragioni extrafiscali (non marginali, secondo quanto previsto dell’articolo 10-bis, comma 3, L. 212/2000), la circolare 1/2018 rimanda alla lettura della relazione illustrativa al D.Lgs. 128/2015, a seguito del quale l’abuso del diritto ha trovato collocazione nello Statuto dei diritti del contribuente.

Vengono dunque considerate tali, le ragioni senza le “quali l’operazione non sarebbe stata portata a compimento dall’impresa o dal professionista. In altre parole, deve sussistere un impatto gestionale ed organizzativo non trascurabile.

Sotto tale profilo, la Guardia di Finanza pone l’enfasi sui principi espressi dalla Corte di Cassazione in materia di riorganizzazione aziendale (sentenza n. 438/2015, ordinanza n. 9610/2017), richiamando la fattispecie (ritenuta integrante un’ipotesi abusiva) in cui il contribuente aveva “costituito una società [immobiliare] al fine di costruire e rivendere immobili, ma, essendo – a suo dire – rimasti gli appartamenti costruiti invenduti, egli li abbia poi acquistati in proprio, con successiva chiusura della società”.

In ogni caso, la novella contenuta nel comma 9 dell’articolo 10-bis L. 212/2000 comporta che l’onere della prova sia equamente ripartito tra Amministrazione finanziaria e contribuente: nel contraddittorio preventivo, “l’amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi di cui ai commi 1 e 2. Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle ragioni extrafiscali di cui al comma 3”.

A norma del comma 6, infatti, “senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto”.

Si tratta, dunque, di una fase endoprocedimentale che riveste carattere di obbligatorietà, che il Legislatore del 2015 ha inteso prevedere ad hoc, in difetto della quale l’atto emanato deve considerarsi nullo. Atto che deve in ogni caso essere “apposito”, ovvero riguardare esclusivamente la contestazione dell’ipotesi considerata abusiva, posto che l’ulteriore attività accertativa è comunque fatta salva dalla norma.

È bene precisare che occorre guardare alla contestazione che viene mossa sotto il profilo sostanziale, a nulla rilevando la qualificazione giuridica formalmente posta in calce all’avviso di accertamento.

Pertanto, quandanche il contribuente fosse destinatario di un accertamento parziale emesso ex articolo 41-bis D.P.R. 600/1973 (attitudine, pare, oramai prevalente da parte dell’Amministrazione finanziaria), qualsiasi rilievo – anche implicito, sulla natura indebita del vantaggio fiscale conseguito, ovvero sulla abusività della condotta contestata – comporta l’attivazione, a pena di nullità, della procedura istruttoria di cui all’articolo 10-bis L. 212/2000 (cfr. CTP Genova, sentenza n. 746/6/2017).

La richiesta di chiarimenti, che la norma prevede, deve essere circostanziata ed avere ad oggetto la natura considerata elusiva dall’Ufficio: l’invio di inviti a comparire o questionari, che abbiano ad oggetto richieste più ampie o generiche, non dovrebbero potersi considerare rispettosi del precetto. Si consideri, inoltre, che tra la consegna dei documenti e l’emissione dell’eventuale avviso di accertamento deve decorrere un termine di almeno 60 giorni.

In chiusura, sia consentita una riflessione.

Concetto di tutt’altra natura è quello che richiama fenomeni di evasione fiscale, tipicizzata dalla violazione di precetti normativi, in ambito tributario, e realizzata attraverso atti e comportamenti nascosti o simulati; circostanza diametralmente opposta alle ipotesi di abuso del diritto, con le quali si assiste al loro mero aggiramento per il tramite di comportamenti palesi (da cui discende un indebito vantaggio fiscale).

Vi deve dunque essere un atto contrario alla legge, finalizzato all’occultamento di componenti positivi di reddito ovvero alla deduzione di costi invece non ammessa dalle norme in materia (ad esempio, per violazione di principi di inerenza e competenza di cui all’articolo 109 Tuir, per utilizzo di operazioni oggettivamente inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, e così via).

Se da una parte quindi, con l’elusione/abuso del diritto, il contribuente formalizza una serie di negozi leciti, per raggiungere esclusivamente vantaggi fiscali indebiti, con l’evasione vengono violate invece le norme fiscali.

La stessa Guardia di Finanza ha precisato che “l’abuso del diritto in ambito tributario non è, dunque, mai configurabile in presenza di un risparmio d’imposta illecito, ossia derivante dalla violazione di una disposizione tributaria, giacché è proprio l’esistenza di una specifica disposizione violata a segnare il confine fra condotta abusiva e comportamento evasivo” (cfr. Vol. III, pag.291).