8 Gennaio 2016

La “vecchia” conciliazione giudiziale ha carattere novativo

di Luigi Ferrajoli
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L’istituto giuridico della conciliazione giudiziale prevede la definizione della pretesa tributaria attraverso il raggiungimento di un accordo tra il contribuente e l’Ente impositore.

La conciliazione, nella versione precedente alle modifiche previste dall’articolo 9, co.1, lett. s), D.Lgs. 156/2015, si applica a tutte le controversie soggette alla giurisdizione delle Commissioni Tributarie Provinciali e non oltre la prima udienza; può essere proposta dalle parti processuali nell’istanza di trattazione in pubblica udienza ovvero anche d’ufficio dallo stesso collegio giudicante, sia in udienza sia fuori udienza.

Se l’accordo viene raggiunto in udienza viene redatto un processo verbale nel quale sono indicati i termini della conciliazione e la liquidazione delle somme dovute (le imposte, le sanzioni e gli interessi dovuti); nel caso in cui l’accordo venga raggiunto fuori udienza è lo stesso Ufficio, prima della fissazione dell’udienza di trattazione, che provvede a depositare presso la segreteria competente la proposta di conciliazione con l’indicazione dei contenuti dell’accordo. In questo caso il Presidente, se ne ravvisa l’ammissibilità, estingue il giudizio con decreto ovvero, in caso contrario, fissa la data d’udienza in cui verrà trattata la controversia.

L’accordo conciliativo costituisce nuovo titolo esecutivo per la riscossione delle somme dovute.

Infatti, in caso d’intesa, il contribuente dovrà provvedere, entro venti giorni dalla redazione del processo verbale (ovvero dalla comunicazione del decreto presidenziale), al pagamento integrale della somma convenuta ovvero – se le parti hanno convenuto un pagamento rateale – a versare la prima rata; in difetto, il processo tributario non si estinguerà per cessazione della materia del contendere, ex art.46 D.Lgs. n.546/92 e l’Ufficio potrà procedere ad iscrivere a ruolo le somme dovute, oltre alle sanzioni.

Tale principio è stato ribadito recentemente dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 9019/15; nello specifico la Corte si è occupata di una vicenda in cui l’Agenzia delle Entrate aveva proposto ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa dalla CTR Sicilia, sezione Palermo, eccependo tra i vari motivi la violazione e la falsa applicazione delle norme disciplinanti l’istituto tributario della conciliazione.

La Commissione Tributaria Regionale, infatti, aveva confermato il provvedimento del giudice di primo grado che aveva dichiarato cessata la materia del contendere, in relazione al procedimento instaurato dal contribuente avverso un avviso di accertamento, ritenendo che nella fattispecie de qua si fosse perfezionata la conciliazione giudiziale ex art. 48 D.Lgs. n.546/92, sul presupposto dell’avvenuta sottoscrizione tra le parti dell’atto di conciliazione e della mancata successiva iscrizione a ruolo delle somme non versate dal contribuente all’Ufficio in forza dell’accordo summenzionato.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, riprendendo un principio giurisprudenziale già consolidato, ha accolto l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate.

Nello specifico la Suprema Corte ha statuito che: “la conciliazione giudiziale rateale, prevista dal D.Lgs. art 48 comma 3, n.546/92, si perfeziona solo con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di redazione del processo verbale, dell’importo della prima rata concordata e con la prestazione della garanzia prevista sull’importo delle rate successive; in mancanza, non si verifica l’estinzione del processo tributario per cessazione della materia del contendere, prevista dall’art. 46 D. Lgs. n.546/92“ (Cass. Civ. n.9219/11).

Infatti, secondo la Cassazione, l’istituto della conciliazione giudiziale ha carattere “novativo delle precedenti opposte posizioni soggette e comporta la sostituzione della pretesa fiscale originaria, ma unilaterale e contestata, con una certa e concordata” (Cass. Civ. n.14300/09).

Ne consegue che l’atto conciliativo, redatto secondo le modalità previste dall’art.48 D.Lgs. n.546/92, estingue la precedente obbligazione tributaria sostituendola con quella nuova e diventa titolo esecutivo per la riscossione delle somme da parte dell’Ufficio (Cass. Civ. n.24931/11).

Alla luce di questo consolidato orientamento, la Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha accolto l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle Entrate atteso che la sentenza impugnata non si è conformata ai principi previsti ex lege ed ha cassato con rinvio ad altra sezione della CTR della Sicilia per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese.