14 Novembre 2019

La sovrapposizione dell’enoturismo con le altre attività connesse

di Luigi Scappini
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Sicuramente il settore del vino rappresenta, nel contesto del settore primario, quello maggiormente conosciuto e quello nel quale è possibile attuare politiche di marketing volte a far conoscere il proprio prodotto al mercato nazionale e non solo.

In tale contesto si inserisce anche la previsione, introdotta con la Legge di Bilancio per il 2018, della possibilità di svolgere, in maniera regolamentata, l’attività di enoturismo che va ad ampliare la multiattività dell’azienda agricola.

Introdotta con molto entusiasmo ed enfasi, nella realtà, per come è stata modellata, lascia qualche dubbio in merito alla sua funzionalità rispetto alle realtà del settore vitivinicolo.

Si definisce enoturismo, ai sensi dell’articolo 1, comma 502, L. 205/2017, l’insieme di “tutte le attività di conoscenza del vino espletate nel luogo di produzione, le visite nei luoghi di coltura, di produzione o di esposizione degli strumenti utili alla coltivazione della vite, la degustazione e la commercializzazione delle produzioni viticole aziendali, anche in abbinamento ad alimenti, le iniziative a carattere didattico e ricreativo nell’ambito delle cantine.”.

In altri termini, l’enoturismo è visto come il complesso di attività con le quali avvicinare le persone al mondo della viticoltura con il fine, non ultimo, di commercializzare il proprio prodotto.

Letto così l’enoturismo non rappresenta una novità assoluta nel panorama vitivinicolo, inteso in riferimento a chi può definirsi a pieno titolo quale imprenditore agricolo ex articolo 2135 cod. civ..

Il problema è questo: molto probabilmente l’enoturismo, per come è stato pensato, è rivolto non soltanto al mondo “agricolo” e tale affermazione trova conferma nella circostanza per cui il Legislatore, con il decreto Mipaaft del 12 marzo 2019, ha “sottolineato” che l’attività, se svolta da imprenditori agricoli, si considera come connessa. Letta per differenza sta a significare che anche soggetti non imprenditori agricoli possono svolgere l’attività di enoturismo.

Ma allora, se come pare, la lettura della norma deve essere ampia, ci si domanda quale sia il motivo per il quale un viticultore dovrebbe avere interesse a proporre la formula dell’enoturismo quando nella realtà dei fatti ha già a disposizione gli strumenti giuridici per svolgere le medesime attività.

Nulla vieta, infatti, al nostro viticultore, di prevedere, all’interno della propria offerta aziendale, attività formative e informative rivolte alle produzioni vitivinicole del territorio e la conoscenza del vino, visite guidate ai vigneti di pertinenza dell’azienda e alle cantine o, ancora, iniziative di carattere didattico, culturale e ricreativo comprensive della vendemmia didattica.

Il tutto in un contesto di piena connessione con l’attività svolta ordinariamente in azienda, nel rispetto ovviamente, del principio della prevalenza perché, sebbene il decreto Mipaaft del 12 marzo 2019 si dimentichi di individuare le modalità di determinazione, essendo attività connesse, il comma 3 dell’articolo 2135 cod. civ. questo prevede.

Ne è una conferma, ad esempio, la stessa legge sull’agriturismo ove si prevede all’articolo 2, comma 2, lettera c), L. 96/2006, che è possibile procedere alla organizzazione di degustazione dei prodotti aziendali, ivi compresa la mescita del vino, in questo caso rispettando le regole di cui alla L. 268/1999 (la Legge sulle cd. Strade del vino).

Questo rende ancora più pleonastica la previsione per cui, tramite l’enoturismo, è possibile procedere alla degustazione e commercializzazione dei prodotti aziendali anche in abbinamento ad alimenti, essendo già possibile procedere alla degustazione in abbinamento con prodotti agroalimentari freddi preparati dall’azienda, anche attraverso manipolazione o trasformazione, pronti al consumo e strettamente correlati al territorio.

In realtà, leggendo attentamente tale ultima previsione, essa è maggiormente vincolante per il viticultore rispetto all’industriale, in quanto, per il primo, essendo l’attività connessa per espressa previsione normativa, di norma deve essere svolta, come sopra evidenziato, nel rispetto del principio della prevalenza, il che ne rende difficoltoso il rispetto.

Da ultimo, ma non meno importante, è doveroso precisare come la norma, nonostante faccia riferimento alla possibilità di procedere alla commercializzazione del prodotto, nel caso del viticultore, mantenga la vendita quale attività connessa di prodotto che, in quanto tale, trova piena copertura nel reddito agrario ai sensi dell’articolo 32 Tuir.

A bene vedere, tale previsione è un’apertura, o, per meglio dire, una concessione fatta a quelle imprese imbottigliatrici che, costituite in forma di società di persone, hanno, in assenza di un chiarimento in senso contrario, libero accesso alla disciplina fiscale di cui all’articolo 5 L. 413/1991 e quindi alla forfettizzazione del reddito.

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