6 Ottobre 2018

La settimana finanziaria

di Mediobanca S.p.A.
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IL PUNTO DELLA SETTIMANA: permane l’incertezza sull’esito delle trattative per la Brexit

  • Lo scenario che appare più probabile è quello di un accordo che consenta il passaggio al periodo di transizione
  • L’Hard Brexit è sicuramente lo scenario più costoso in termini di ricadute economiche per i paesi coinvolti 

Il rifiuto da parte dell’UE del piano di Checkers, proposto dal primo ministro May, riduce il tempo disponibile per chiudere un accordo sulle future relazioni tra UK e UE. Lo scenario più probabile resta quello di un accordo (approvato prima dal Parlamento UK e poi da quello EU) che il 29/03/2019 consenta il passaggio al “periodo di transizione”, che da gennaio 2021 porterebbe UK fuori dall’UE. Tuttavia, il compromesso è ancora lontano, contestualmente si stanno configurando altri tre scenari di rischio: “Hard Brexit” (HB); “Estensione del periodo di transizione”; “UK resta in EU”, ovvero il caso in cui nuove elezioni, con potenziale vittoria del laburista Corbyn, inducano un nuovo referendum per permettere a UK di rimanere in EU.Il partito conservatore britannico è spaccato sulle proposte del primo ministro: i cosiddetti «hard Brexiters» vogliono un accordo di libero scambio con l’UE, che elimini qualunque sudditanza alle normative europee, senza timore per gli elevati costi conseguenti all’abbandono dell’UE senza accordo. I cosiddetti «soft Brexiters» vogliono, invece, un accordo che limiti i costi economici e, quindi, sono disposti ad accettare un grado più elevato di integrazione con l’EU, ma contrastano la proposta di Chequers, che a loro avviso costringe UK ad abbandonare l’EU, continuando a rispettarne paradossalmente le regole. Probabilmente, il Primo Ministro avrà bisogno del sostegno del partito di opposizione laburista, per far passare l’accordo alla camera dei comuni.  Il sostegno potrebbe essere difficile da ottenere, perché i laburisti ritengono che il piano di Checkers non fornirà gli “stessi identici benefici” del Mercato Unico e dell’Unione Doganale e per questo hanno richiesto tre condizioni aggiuntive: protezione dei posti di lavoro, mantenimento dell’unione doganale e nessuna frontiera in Irlanda del Nord. L’opposizione preferirebbe un secondo referendum o un’elezione generale.  Theresa May proporrà le modifiche all’accordo di Chequers, per risolvere la tematica del confine irlandese, inserendo probabilmente una nuova proposta doganale. Il Primo Ministro, pur di chiudere un accordo, sembra disposto ad accettare le norme doganali dell’UE sulle merci, anche dopo la fine del periodo di transizione. Implicitamente, la proposta ridurrebbe la possibilità di UK di stipulare accordi di libero scambio con gli altri paesi e includerebbe l’accettazione della richiesta di controlli sulle merci che entrano nell’Irlanda del Nord.In caso di HB, derivante da un mancato accordo, gli scambi commerciali britannici con tutti i paesi sarebbero disciplinati dalle regole del WTO, non sarebbero regolamentati il confine irlandese e lo status dei cittadini europei residenti in UK, e il paese uscirebbe automaticamente da tutte le Agenzie Europee. Questo è sicuramente lo scenario più costoso in termini di conseguenze economiche per i paesi coinvolti: negli anni l’integrazione dei paesi europei con UK si è rafforzata, riflettendo guadagni derivanti dalla partecipazione al Mercato Unico di tutti i 27 paesi aderenti e la rimozione delle barriere sia tariffarie che non. La riduzione delle barriere commerciali ha aumentato gli scambi commerciali, avvantaggiando i consumatori attraverso prezzi più bassi e l’accesso a beni e servizi migliori e le imprese attraverso la creazione di reti di produzione altamente integrate. A causa della profondità dell’integrazione EU-UK, la Brexit si tradurrà in una perdita di crescita e occupazione per entrambe le parti. Un recente studio del FMI mostra che in caso di HB, si verificherebbe una marcata perdita di crescita potenziale (compresa tra 0,5% e 1,5%), nel caso invece in cui si raggiungesse un accordo in grado di preservare alcune interrelazioni e interconnessioni tra le economie coinvolte, il costo economico sarebbe minore. In secondo luogo, vi è una significativa eterogeneità di costi per le economie coinvolte: le economie aperte come l’Irlanda, i Paesi Bassi e il Belgio saranno le più esposte agli shock derivanti dalla HB. L’Irlanda è l’unico paese dell’UE che rischia di riportare una predita di PIL paragonabile a quella UK.L’estensione del periodo di transizione richiede, invece, una richiesta formale da parte di UK ed un’approvazione unanime del Consiglio Europeo. Si potrebbe scivolare in questo scenario in caso di stallo all’interno del Parlamento UK, in quanto l’eventuale accordo raggiunto richiede poi un voto di ratifica sia dal Parlamento Europeo sia dal Parlamento UK, che risulta come detto risulta diviso sul tema.Marginale, a nostro avviso, è la probabilità che UK resti in EU, come conclusione di un iter che passerebbe attraverso nuove elezioni e in caso di vittoria dei labouristi un secondo referendum.     

SETTIMANA TRASCORSA

EUROPA: il manifatturiero nell’Area Euro è cresciuto al ritmo più debole degli ultimi due anni

A settembre la seconda stima del PMI manifatturiero di settembre rivede al ribasso l’indice di un decimo a 53,2 dal 54,6 di agosto. Le preoccupazioni geopolitiche e quelle legate al protezionismo commerciale globale sono identificate come i principali fattori alla base del deterioramento della fiducia. L’indice PMI relativo ai servizi a settembre è rimasto invariato rispetto alla stima preliminare (54,7) ed è leggermente calato rispetto dal dato precedente (54,4), lasciando l’indice composito al minimo di quattro mesi a 54,1 (stima preliminare 54,2, valore precedente 54,5). A sorpresa, il tasso di disoccupazione è calato a 8,1% da un precedente 8,2%, in larga misura dovuti al calo della disoccupazione in Italia.  In Germania, gli ordini all’industria in agosto si sono attestati a + 2,0% m/m, al di sopra delle attese (consenso: 0,6%, valore precedente 0,9%) dopo due mesi di cali sostenuti. Si rileva che il rialzo è dovuto alla componente estera: gli ordini domestici sono in calo di -2,9% m/m, mentre quelli esteri rimbalzano di +5,8% m/m, dopo ampie contrazioni a luglio e giugno. Nel Regno Unito l’indice PMI dei servizi si è attestato a 53.9 (consenso 54,0 e precedente 54,3), sulla scia della creazione di posti di lavoro al massimo di sette mesi e il forte aumento dei costi di produzione guidati dal prezzi del carburante. Con i servizi che rappresentano l’80% dell’economia UK, Markit prevede una crescita del PIL del terzo trimestre di circa lo 0.4%.

USA: L’employment report conferma un mercato del lavoro prossimo al pieno impiego, senza segni di surriscaldamento

L’indice ISM manifatturiero settembre si è attestato a 59.8 (consenso: 60.3, valore precedente: 61.3), confermando la solidità del settore. La scomposizione per componenti è positiva: in aumento le componenti di produzione (63.9 da 63.3), occupazione (58,8 da 58.5), ordini esteri (56 da 55.2), e correzioni di nuovi ordini (a 61.8 da 65.1, sempre su un livello elevato) e prezzi pagati (a 66.9 da 72.1). Nell’ultimo anno i livelli dell’ISM si sono mantenuti intorno ai massimi dal 2004 (il picco della serie si era visto nel 1983). Le misure protezionistiche implementate da Trump sono ancora citate in modo prominente nei commenti degli intervistati, che riportano che i dazi incidono sulla redditività e sulle opportunità di esportazione. Questo mese la buona performance del settore manifatturiero si è riflessa anche nell’indice PMI manifatturiero di settembre che si è attestato a 55.6 (consenso 55.6, valore precedente 54.7). L’indice ISM non manifatturiero a settembre l’ISM è arrivato a 61.6 (consenso: 58,0, valore precedente 58.5). Anche nel caso dell’indice non manifatturiero la composizione è positiva, con aumenti diffusi: l’indice di occupazione è salito bruscamente a 62.4 da 56.7, mentre la produzione è salita a 65.2 da 60.7, gli ordini a 61.6 da 60.4. Le principali preoccupazioni degli intervistati riguardano l’esaurimento di capacità produttiva e l’incertezza sul commercio internazionale.

 

 

I nuovi sussidi di disoccupazione nella settimana conclusa il 29 settembre correggono a 207 mila da 215 mila della settimana precedente restando all’interno dell’intervallo ristretto degli ultimi due mesi, sui minimi da fine anni ’60 e confermando il continuo miglioramento del mercato del lavoro. Positivo anche il report sul mercato del lavoro di settembre, anche se a settembre ci sono diverse dati che si allontanano dall’andamento medio dell’ultimo anno, influenzati dagli effetti negativi dell’uragano Florence. Gli occupati non agricoli sono previsti in rialzo di 134 mila, dopo 270 mila di agosto, rivisto da 201. Il tasso di disoccupazione cala a 3.7% da 3,9%. Il tasso di partecipazione è stabile a 62,7%. I salari orari confermano l’accelerazione recente, con +2.8% a/a (+0.3% m/m). Le imprese riportano ora difficoltà a reperire manodopera specializzata, ma anche non specializzata. Di conseguenza, si diffondono aumenti salariali anche per posizioni meno qualificate e più numerose sul totale degli occupati, rilevanti per il trend dei salari orari.

ASIA: l’indice PMI conferma la debolezza dell’economia cinese

In Cina l’indice PMI manifatturiero a settembre è sceso a 50,8 (consenso 51,2 consenso, valore precedente 51,3 di agosto), guidato dalla componente degli ordini all’esportazione, nuovamente in contrazione. Anche la crescita dei nuovi ordini e della produzione è rallentata. Il PMI manifatturiero di Caixin ha mostrato un risultato simile, scendendo a 50,0 dal 50,6 di agosto (consenso: 50,5). I nuovi ordini di esportazione si sono contratti al tasso più rapido da febbraio 2016. In Giappone, l’indagine della BoJ Tankan ha mostrato che la fiducia tra i grandi produttori è sceso a +19, (consenso: +22, valore precedente di giugno +21), segnando la terza decelerazione trimestrale. I maggiori costi energetici e delle materie prime hanno pesato sula fiducia, insieme alle frizioni commerciali globali. I piani di investimento in conto capitale tra le grandi aziende sono leggermente cambiati rispetto a giugno (sebbene leggermente più deboli rispetto al consenso). I salari nominali sono saliti dello 0,9% a/a in agosto (consenso: 1,3%, valore precedente: 1,6%), guardando alla scomposizione si vede che la crescita più lenta degli utili degli straordinari e il forte calo dei pagamenti speciali hanno compensato la ripresa dei salari programmati. Infatti, i salari programmati part-time hanno accelerato al ritmo più veloce da giugno dell’anno scorso. I salari reali aggregati sono scesi dello 0,6% (consenso 0,0%) segnando il primo calo da aprile. Il PMI dei servizi è sceso a 50,2 a settembre dal 51,5 del mese precedente, segnando il livello più basso in due anni. Poiché il PMI manifatturiero è rimasto invariato, l’indice composito è sceso a 50,7 da 52,0.

PERFORMANCE DEI MERCATI
MERCATI AZIONARI

Settimana negativa per il FTSEMIB, che ha trascinato al ribasso le altre borse europee sulla scia delle preoccupazioni inerenti la pubblicazione del documento economico-finanziario per i prossimi 3 anni presentato dal Governo italiano. Wall Street chiude invece una settimana di andamenti altalenanti; da un lato, è sostenuta dal rinnovo del trattato Nafta, dall’altro pesano i ribassi dei titoli tecnologici e le parole del presidente della Fed, J. Powell, che ha dichiarato che l’attuale regime dei tassi di interesse resta accomodante, ma che la politica monetaria si sta muovendo verso una posizione neutrale. In Asia, le borse cinesi continentali sono rimaste chiuse per festività tutta la settimana; il Giappone contiene le perdite grazie alla forza del dollaro, mentre Hong Kong è in rosso, appesantita dal tema dazi e dai dati sul manifatturiero cinese.

 

 

 VIEW STRATEGICA

I fondamentali macroeconomici sono solidi, le condizioni finanziarei ancora accomodanti e lLa crescita degli utili favorevole. Restiamo positivi sul comporta azionario, anche se tatticamente, alla luce dell’accentuarsi di fattori di rischio, legati alle minacce di protezionismo US e all’aumento dell’incertezza politica in Europa, riteniamo opportuno ridurre marginalmente l’esposizione azionaria a favore di attivi denominati in USD.

MERCATI DEI TITOLI DI STATO

La pubblicazione della Nota di Aggiornamento al DEF (NADEF) e la connessa relazione al Parlamento, rilasciate ieri sera dal Governo Italiano sono rimaste al centro dell’attenzione dei mercati obbligazionari nell’Area Euro, alimentando un marcato atteggiamento di risk-off. Nel tentativo di eliminare le perplessità dei mercati e accogliere i suggerimenti critici provenienti dalle Istituzioni Europee il rapporto deficit/PIL programmatico sarebbe 2.4% nel 2019 per scendere poi al 2.1% nel 2020 e 1.8% nel 2021. La crescita programmatica sarebbe relativamente alta rispetto alle previsioni di consenso (che vede invece la crescita dell’Italia attorno all’1% nei prossimi due anni) e pari all’1.5% per il 2019, all’1.6% per il 2020 e 1.4% per il 202. Questa crescita dovrebbe essere supportata dall’entrata in vigore delle riforma, che consentirebbe un aumento dell’occupazione e della capacità di spesa, nonché un aumento degli investimenti. Il rapporto debito/Pil dovrebbe seguire la traiettoria del 130.9% nel 2019, 130% nel 2020 e 126.5% nel 2021. Un altro forte dubbio riguarda le coperture in quanto i numeri della manovra del governo (21.5 miliardi per le nuove misure +12.4 miliardi per sterilizzare l’aumento dell’Iva) non riescono, a nostro avviso, ad essere totalmente coperti da un deficit/Pil al 2.4%.  Le preoccupazioni e l’incertezza politica hanno riportato il differenziale di rendimento BTP–BUND a 10 anni ai massimi dal 2014. Elemento positivo da sottolineare che a differenza di quanto era avvenuto a fine maggio, quando il sell-off era stato trainato dal 2 anni, questa volta il movimento sembra più concentrato sulla parte centrale della struttura a termine dei tassi (5 anni), segno che il mercato sia più preoccupato dalla sostenibilità dell’indebitamento italiano che da un rischio di ridenominazione. Dall’altro lato dell’Atlantico, il sell-off sui mercati obbligazionari ha portato il rendimento dei decennali US sopra al 3.2% (massimo dal 2011) sulla scia dei dati macroeconomici, che continuano a mandare segnali di solidità del ciclo economico. Questo scenario è stato confermato anche dalle parole del Presidente Powell, che ha affermato che l’economia è in “un insieme di circostanze economiche notevolmente positive” e “non c’è ragione per pensare che questo ciclo non possa continuare ancora per molto tempo, effettivamente per un tempo indefinito”. A suo avviso non è in vista una recessione né l’anno prossimo né nel 2020. Sull’inflazione, Powell ha ribadito che è probabile un rialzo dell’inflazione a fronte di un ulteriore riduzione della disoccupazione. Il Presidente della Fed ha indicato che il sentiero attuale mira a raggiungere un livello dei tassi che non freni né spinga la crescita, ma per ora ritiene i tassi ancora accomodanti, anche se, alla fine, i tassi potranno “andare al di là della neutralità”.

 VIEW STRATEGICA

Ci aspettiamo una maggior pressione al rialzo sui tassi di interesse globali. Da un lato la Fed continuerà con una stretta monetaria graduale, dall’altro il QE su scala globale dovrebbe toccare i livelli massimi durante il 2018: gli acquisti di titoli da parte della BoJ e della BCE compenseranno in parte la stretta monetaria della Fed e continueranno a pesare sul term premium globale. Queste dinamiche dovrebbero limitare, ma non escludere, l’ascesa dei tassi di interesse a lungo termine. Inoltre negli Stati Uniti la riforma fiscale aumenterà il deficit US, causando un aumento del segmento a lungo termine della struttura a termine. Riteniamo prematuro modificare la view strategica negativa sul comparto governativo italiano alla luce dell’incertezza sul futuro operato dell’esecutivo ed in particolare senza elementi chiari sulla Nota di aggiornamento al DEF. Le imminenti scadenze politiche potrebbero continuare a creare opportunità tattiche, in particolare sulla parte a breve 

TASSI DI CAMBIO

La congiuntura economica è favorevole al dollaro: l’economia americana è solida, i rendimenti dei titoli di stato US stanno aumentando, mentre nell’Area Euro si continua a prezzare il primo rialzo del costo del denaro non prima di fine 2019. Questa settimana l’incertezza legata alla pubblicazione della Nota di Aggiornamento al DEF ha pesato sulla valuta comune ed avvantaggiato il dollaro.

La sterlina è stata sostenuta da una nuova positività rispetto agli accordi per la Brexit. Secondo un rapporto Reuters, i negoziatori europei per la Brexit hanno riferito un esito favorevole degli accordi sui confini commerciali con l’Unione Europea.

VIEW STRATEGICA

Riteniamo che le dinamiche commerciali e la rimodulazione delle attese future da parte della Fed guideranno il rafforzamento del dollaro fino alla fine dell’anno. La normalizzazione della politica monetaria si sta muovendo a ritmi diversi tra le banche centrali e i mercati hanno rimodulato le aspettative di politica monetaria. La Fed procede il suo percorso di rialzo del costo del denaro muovendosi verso la neutralità, mentre la BCE manterrà i tassi invariati fino all’estate 2019, terminando gli acquisti netti da dicembre dell’anno in corso e la Banca del Giappone ha lasciato la sua politica invariata ma ha rivisto al ribasso le stime sull’inflazione. Si è, dunque, ampliata la divergenza delle politiche monetarie. 

MATERIE PRIME

Il prezzo del petrolio resta vicino ai massimi degli ultimi quattro anni, registrato mercoledì, archiviando la quarta settimana consecutiva in rialzo, guidato dalle attese di possibili tensioni conseguenti all’inizio delle sanzioni statunitensi nei confronti dell’Iran, nonostante l’annuncio della disponibilità di Russia e Arabia Saudita nell’aumentare la propria produzione.

 

 

 VIEW STRATEGICA

Ciclo economico solido e tensioni politiche nei paesi produttori suggeriscono un ulteriore consolidamento del recente trend positivo per il prezzo del petrolio.

 

LA PROSSIMA SETTIMANA: quali dati?

  • Europa: saranno pubblicati i dati di produzione industriale di agosto per l’intera Area, mentre saranno pubblicate le stime definitive dell’inflazione in Germani e Francia.
  • Stati Uniti: I dati in uscita negli Stati Uniti riguarderanno i prezzi di settembre. Inoltre, continuerà il flusso di discorsi dalla Fed, con un’agenda fitta di interventi da parte di presidenti regionali.
  • Asia: in Cina saranno pubblicati i dati sulle riserve valutarie e sulla bilancia commerciale.

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