1 Marzo 2021

La sanzione per infedele dichiarazione Iva assorbe l’omesso versamento

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

L’articolo 5 D.Lgs. 471/1997, che disciplina le sanzioni derivanti dalle “Violazioni relative alla dichiarazione dell’imposta sul valore aggiunto e ai rimborsi”, prevede, al comma 4, quelle applicabili nel caso di dichiarazione infedele, disponendo che: “Se dalla dichiarazione presentata risulta un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal novanta al centoottanta per cento della maggior imposta dovuta o della differenza di credito utilizzato”.

Il successivo articolo 13 del medesimo Decreto Legislativo sanziona invece le fattispecie di ritardato od omesso versamento, affermando, al comma 1, che “Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile”.

Le menzionate norme sanzionano, quindi, rispettivamente, la c.d. “dichiarazione infedele”, ossia l’esposizione in dichiarazione da parte del contribuente di un’imposta inferiore a quella dovuta, e l’omesso versamento, con riferimento sia ai casi di mancata effettuazione, alle scadenze previste, del pagamento degli importi indicati da quest’ultimo nella dichiarazione, sia a quelli in cui, a seguito della correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile.

Le disposizioni in esame possono talvolta essere poste in un rapporto di derivazione causale e ciò avviene in particolare quando l’omesso versamento non segue una dichiarazione “fedele”.

È infatti evidente che nel caso in cui il contribuente presenti una dichiarazione infedele – dalla quale emerga un minor debito verso l’Erario – e versi, dunque, un ammontare di Iva inferiore a quello che avrebbe dovuto corrispondere, l’omesso versamento d’imposta che ne scaturisce è una conseguenza diretta dell’infedeltà dichiarativa consistente nella mancata indicazione nella dichiarazione presentata dell’imposta realmente dovuta.

Ciononostante, la prassi seguita dall’Amministrazione Finanziaria è sempre stata quella di considerare le due sanzioni cumulabili in quanto riferite a due violazioni differenti ed autonome sotto il profilo sostanziale.

Sul punto, infatti, anche la Corte di Cassazione aveva affermato – in un caso simile, avente ad oggetto la cumulabilità delle sanzioni previste dagli articoli 6 (per omessa/infedele fatturazione) e 13 (per ritardato od omesso versamento) del D.Lgs. 471/1997 – che: “Il fatto di non aver fatturato e contabilizzato regolarmente alle scadenze periodiche non esclude […] l’applicabilità della sanzione per il ritardato pagamento, una volta che il contribuente abbia effettuato la dichiarazione di quanto dovuto e non versato per il passato” (cfr. Cass. n. 29299/2018).

Tuttavia, la Suprema Corte, con la più recente sentenza n. 27963 del 07.12.2020, ha capovolto il proprio orientamento giurisprudenziale, statuendo che: “laddove il mancato versamento dell’Iva sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione ben più grave di cui all’articolo 5 del d.lgs. n. 471 del 1997, che copre non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione. Ciò comporta che la sanzione meno favorevole prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 471 del 1997 assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta ed osta all’applicazione di quella prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997”.

Di conseguenza, secondo gli Ermellini, qualora l’omesso versamento sia una conseguenza diretta dell’infedeltà dichiarativa, le due sanzioni non sono cumulabili, in quanto, se l’omesso versamento è configurabile solamente con riferimento ad imposte risultanti dalla dichiarazione, la relativa sanzione non può di conseguenza essere irrogata per imposte non correttamente dichiarate.

Evidentemente, non essendo “ravvisabili due distinte violazioni autonomamente sanzionabili, ma un unico comportamento”, la sanzione applicabile a tale fattispecie non potrà che essere soltanto quella per dichiarazione infedele ex articolo 5, comma 4, D.Lgs. 471/1997, mancando i presupposti per la simultanea applicazione di quella prevista dall’articolo 13, comma 1, e dovendosi ritenere l’omesso versamento, in tal caso, assorbito ed incompatibile con l’infedele dichiarazione.