3 Aprile 2014

La rivalutazione di partecipazioni in ambito internazionale

di Ennio VialVita Pozzi
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Come noto, la manovra finanziaria per il 2014 con l’articolo 1, comma 156, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha offerto l’ennesima possibilità ai contribuenti di rivalutare i terreni e le partecipazioni detenute al di fuori del regime di impresa per neutralizzare le eventuali plusvalenze latenti. L’obiettivo perseguito è noto: innalzando il valore fiscalmente riconosciuto di tali beni, infatti, in caso di vendita a terzi il costo storico da utilizzare per la determinazione delle plusvalenze di cui all’articolo 67 del Tuir è esattamente quello risultante dalla rivalutazione utilizzata.

In questa sede voglio affrontare il caso della rivalutazione delle partecipazioni detenute all’estero da parte di soggetti italiani e delle partecipazioni italiane detenute da soggetti esteri.

Al riguardo si deve evidenziare come il riferimento normativo originario sia costituito dall’art. 5 della L. 448/2001 in base al quale la rivalutazione ha ad oggetto le partecipazioni che, se alienate, determinano una plusvalenza o minusvalenza ai sensi dell’art. 67 del tuir.

Tale circostanza vale ad escludere che l’opzione sia concessa, ad esempio, alle società di capitali che incardineranno le plusvalenze da cessione di quote nell’art. 86 od 87 del tuir a seconda delle circostanza.

L’art. 67, tuttavia, riguarda anche gli enti non commerciali e i soggetti non residenti, anche se di natura societaria, a condizione che siano privi di stabile organizzazione in Italia.

Esaminiamo da principio il caso dei soggetti non residenti.

Una società di capitali non residente, si pensi ad una holding estera, può legittimamente rivalutare le partecipazioni detenute in società italiane in quanto, mancando la stabile organizzazione, la plusvalenza generabile ricade nell’art. 67 e non nell’art. 86 o 87 del tuir. La rivalutazione dovrà avvenire con le classiche modalità previste per i soggetti residenti, ossia con la predisposizione della perizia giurata ed il versamento dell’imposta sostitutiva.

Passiamo ad esaminare il caso del soggetto fiscalmente residente in Italia che detiene partecipazioni in società estere. Anche in questo caso la rivalutazione è certamente possibile tuttavia bisogna sempre accertarsi che la norma di riferimento sia costituita dall’art. 67 del tuir in luogo dell’art. 86 o 87.

Ciò porta immediatamente escludere dall’ambito dei soggetti legittimati le società di capitali (ma analoghe considerazioni valgono anche per le società di persone commerciali) in quanto la plusvalenza generata nell’ambito del reddito di impresa ricade sempre negli art. 86 e 87.

L’art. 87, in particolare, concede la pex anche in relazione alle società estere a condizione che non risultino paradisiache.

Una volta escluse le società commerciali, si deve valutare se il fatto che la partecipata sia all’estero rappresenti una qualche forma di condizione preclusiva alla rivalutazione. Ebbene, la risposta è assolutamente negativa, in quanto le plusvalenze derivanti dalla cessione delle stesse rientrano comunque nell’alveo dell’art 67 se realizzate da persone fisiche o dagli altri soggetti residuali.

Fatte queste considerazioni, tuttavia, è bene analizzare le disposizioni delle convenzioni contro le imposizioni di riferimento ai nostri casi concreti, ma non tanto per rinvenire preclusioni di sorta quanto piuttosto per giudicare se la plusvalenza è effettivamente tassabile in Italia. Qualora giungessimo alla conclusione che il capital gain è escluso da tassazione nel nostro Paese, la rivalutazione, ancorché lecita, diventa quanto mai inopportuna.

Ebbene, la maggior parte dei Trattati contro le doppie imposizioni stipulati dall’Italia riservano la potestà impositiva su tali redditi esclusivamente al paese di residenza del socio venditore e non a quello della società venduta.

Alla luce di queste considerazioni, se la rivalutazione di partecipazioni detenute all’estero da parte di soggetti residenti può risultare un’opzione valutabile, la rivalutazione delle quote detenute in Italia da soggetti non residenti perde sicuramente di appeal, trovando asilo solo nei residuali casi in cui il Trattato prevede una potestà impositiva dello Stato in cui si trova la partecipazione concorrente con quella dello stato estero.