24 Settembre 2014

La responsabilità del curatore per l’omesso versamento di imposte

di Luigi Ferrajoli
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Con l’
ordinanza n. 16373 depositata in data 17 luglio 2014, la Suprema Corte ha aperto uno spiraglio in merito alla possibilità di ritenere personalmente responsabile il
curatore fallimentare per i
debiti fiscali della società amministrata attraverso un’estensione, a fattispecie di questo tipo, dell’applicazione
dell’art. 36 del D.P.R. 602/73 e ha analizzato le modalità con cui tale responsabilità può essere fatta valere.
Nel caso in esame, al curatore fallimentare (già amministratore giudiziale) di una Srl unipersonale, veniva notificata una
cartella di pagamento a seguito
dell’omesso versamento di imposte da parte della medesima società.
Previa impugnazione dell’atto da parte del
professionista, la competente CTP respingeva il ricorso, mentre la CTR ne accoglieva l’appello annullando la pretesa impositiva.

La Corte di Cassazione, respingendo l’impugnazione dell’Amministrazione Finanziaria, ha approfondito ed analizzato la dibattuta questione: spesso l’Agenzia notifica attraverso l’agente della riscossione la cartella di pagamento relativa ai
debiti della società, non solo a quest’ultima, ma anche al
curatore quale suo rappresentante legale e in proprio, sostenendone una sua
responsabilità solidale.
Secondo i giudici di legittimità, in tale contesto può essere invocato, come poc’anzi accennato, l’art. 36 del D.P.R. 602/73, in forza del quale i
liquidatori – o gli
amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente qualora non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori – dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che
non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le
imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori
rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari.
Ritiene quindi la Suprema Corte che, nonostante tale disposizione abbia carattere specifico, la stessa enunci, tuttavia, un
principio di carattere generale secondo cui
ciascuno risponde di un evento nella misura in cui ha concorso a cagionarlo.
Pertanto, statuisce la Corte, “
presupposto essenziale affinché si possa parlare di un concorso a determinare il mancato pagamento di un’imposta è che tale mancato pagamento sia effetto di un comportamento
contra legem del curatore
e non della mera incapienza dell’attivo”.
Si evince in questo modo che, solo ove un
depauperamento dell’erario vi sia e sia
dovuto ad un utilizzo contra legem del patrimonio fallimentare si potrà poi porre il problema se la ipotizzata responsabilità del curatore venga meno a causa del controllo delle autorità giudiziarie competenti sulla condotta del curatore.
Invero, occorre che nell’
atto impositivo siano enunciate le circostanze che determinano il
cattivo utilizzo dell’attivo fallimentare (in sostanza, il soddisfacimento di crediti di ordine inferiori a quelli tributari) e che le predette circostanze siano successivamente provate in giudizio.
Nella caso di specie si era verificato, come in realtà avviene non di rado, che la
cartella non conteneva alcuna motivazione o enunciazione al riguardo.
Secondo i giudici di legittimità, se l’Amministrazione Finanziaria intende affermare la responsabilità solidale del curatore fallimentare per i debiti tributari del fallimento (maturati o meno nel corso della procedura fallimentare) la stessa “
deve indicare nell’atto di addebito le ragioni che determinano detta responsabilità che deve nascere da un cattivo utilizzo dell’attivo fallimentare” ponendo conseguentemente il curatore in condizione di esercitare le sue difese.
In tale contesto, in capo all’Ufficio sussiste quindi un
obbligo di motivazione dell’atto impositivo finalizzato non solo a far conoscere al professionista la
pretesa impositiva a suo carico, ma anche a consentirgli di valutare con un grado di determinazione ed intelligibilità
l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale idonea a permettere al medesimo un
esercizio di difesa non difficoltoso.
La Suprema Corte ha quindi concluso evidenziando che l’atto di addebito rivolto al curatore deve assumere la veste di un
avviso di accertamento e non di una mera cartella, in quanto la responsabilità del curatore nasce da
addebiti che debbono essere specificamente enunciati.