6 Marzo 2018

La responsabilità amministrativa degli enti nei reati tributari

di Marco Bargagli
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Il D.Lgs. 231/2001 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico la disciplina in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (società, enti o associazioni anche prive di personalità giuridica).

In particolare, per espressa disposizione normativa, l’ente è responsabile per particolari reati (c.d. reati presupposto) commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso ente (es. amministratori, dirigenti e dipendenti che agiscono nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica).

Quindi, possiamo concludere che la responsabilità dell’Ente si aggiunge a quella delle persone fisiche, passando dal tradizionale approcciosocietas delinquere non potest” alla nuova prospettiva “societas deliquere potest”.

Come noto, nella lista dei reati presupposto tassativamente indicati dalla norma che fanno scattare la responsabilità amministrativa dell’ente (cfr. articoli 24 e ss. D.Lgs. 231/2001), non rientrano i reati penali tributari.

Tuttavia, sulla base dell’elaborazione giurisprudenziale, anche eventuali delitti di derivazione fiscale, commessi in forma associativa, potrebbero comportare pesanti conseguenze ai fini dell’applicazione della normativa in rassegna.

Anzitutto la Corte di cassazione, sezione 3^ penale, con sentenza n. 46162 del 23.12.2015, ha confermato che le disposizioni in tema di responsabilità amministrativa delle società e degli enti si applicano anche nelle ipotesi di associazione per delinquere ex articolo 416 del codice penale, a mente del quale quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che promuovono o costituiscono od organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a sette anni.

A parere degli ermellini, infatti, a norma dell’articolo 5 D.Lgs. 231/2001 l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio e nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato e, quando non è possibile eseguire la confisca, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.

In via preliminare, il supremo giudice ha inoltre sancito che tra i reati indicati nel citato D.Lgs. 231/2001, in ordine ai quali è configurabile l’illecito amministrativo dell’ente, sono ricompresi i reati di tipo associativo ex articolo 416 c.p. mentre, in linea di principio, non sono indicati i reati fiscali di cui al D.Lgs. 74/2000.

Nel caso risolto in sede di legittimità, il Tribunale di Napoli, con ordinanza emessa in data 28 luglio 2014 aveva confermato il decreto di sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto beni mobili, beni immobili e conti correnti.

Ciò posto, i giudici di piazza Cavour hanno chiarito che il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente è stato correttamente applicato in relazione al reato di associazione a delinquere ed altrettanto correttamente il Tribunale ha ritenuto, richiamando la prevalente giurisprudenza di legittimità, che il profitto conseguito andasse individuato in quello derivante dai reati di frode fiscale rientranti nel programma associativo dell’organizzazione criminale transnazionale.

Sempre in la suprema Corte di cassazione, sezione 3^ penale, con sentenza n. 24841 emessa in data 27 marzo 2013, dopo alcune pronunce emesse in senso contrario sulla base del principio di tassatività, ha confermato la responsabilità amministrativa dell’ente anche per i reati tributari commessi in forma associativa.

In tale ultima circostanza, con ordinanza del 17 aprile 2012 il Tribunale di Milano, sezione del riesame, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del medesimo tribunale nei confronti di una società di capitali indagata per l’illecito di cui all’articolo 24-ter D.Lgs. 231/2001, in relazione al delitto di associazione per delinquere ex articolo 416 c.p. finalizzato al reati di evasione fiscale (ex articoli 2 e 8 D.Lgs. 74/2000) commesso dalle persone fisiche che all’interno dell’ente avevano rivestito un ruolo apicale.

Gli ermellini hanno chiarito che la società è stata oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in quanto indagata, ai sensi dell’articolo 24-ter D.Lgs. 231/2001 per l’illecito di cui all’articolo 416 c.p., ossia l’associazione per delinquere finalizzata al compimento di reati penali-tributari.

Quindi, il Tribunale ha correttamente ritenuto che il sequestro disposto possa trovare legittimazione nei delitti di tipo associativo sopra indicati, prescindendo dai reati-fine.

In definitiva, il profitto del reato di associazione per delinquere, sequestrabile ai fini della successiva confisca per equivalente, è costituito dal complesso dei vantaggi direttamente conseguenti dall’insieme dei reati-fine, dai quali è del tutto autonomo e la cui esecuzione è agevolata dall’esistenza di una stabile struttura organizzata e dal comune progetto delinquenziale (Corte di Cassazione, Sez. 3, sentenza n. 5869 del 27.01.2011).

Tale approccio interpretativo è stato confermato anche dalla prassi operativa ed in particolare nel Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (cfr. volume I – parte II – capitolo 3, “L’attività investigativa”, pag. 260 e ss.), ove viene posto in evidenza che, con l’entrata in vigore dell’articolo 25-ter, comma 2, D.Lgs. 231/2001, introdotto ad opera dell’articolo 2, comma 29, L. 94/2009, è stato catalogato tra i reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti anche il reato di associazione per delinquere.

Da ciò consegue che, ricorrendone le condizioni, un’entità giuridica potrà essere chiamata a rispondere delle sanzioni prescritte dalla disciplina in rassegna (anche in punto di aggressione cautelare dei beni sociali), “laddove i vertici aziendali (o persone loro sottoposte) pongano in essere, nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica, un’associazione per delinquere, anche transazionale, finalizzata alla commissione di delitti tributari”.

 

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