9 Giugno 2015

La residenza delle persone fisiche

di Sergio Pellegrino
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Nel momento in cui approcciamo le problematiche dichiarative delle persone fisiche è fondamentale innanzitutto verificare se sussiste o meno la residenza fiscale nel territorio dello Stato del cliente del quale stiamo esaminando la situazione.

Il soggetto residente deve infatti dichiarare in Italia, sulla base del principio della c.d. tassazione mondiale, i redditi ovunque prodotti, mentre quello non residente si limiterà a dichiarare nel nostro Paese i redditi che si considerano prodotti nel territorio dello Stato ai sensi di quanto previsto dall’articolo 23 del Tuir.

Il concetto di residenza della persona fisica è individuato dall’articolo 2 del Tuir, che fissa tre criteri tra loro alternativi: è sufficiente che ne sia verificato uno per la maggior parte del periodo di imposta per considerare il soggetto in questione fiscalmente residente in Italia.

Il primo criterio è quello relativo alla residenza anagrafica.

Se il soggetto risulta iscritto all’anagrafe della popolazione residente per almeno 184 giorni nel periodo d’imposta, è pacifico che sia anche fiscalmente residente in Italia: laddove abbia spostato la propria residenza nella seconda parte dell’anno, ciò comunque non toglie che egli si debba considerare fiscalmente residente in relazione a quel periodo d’imposta.

Nella risoluzione 471 del 2008 l’Agenzia delle Entrate ha analizzato il caso di un cittadino svedese che aveva lavorato in Italia fino al 10 luglio 2007, cancellandosi quindi dall’anagrafe della popolazione residente e tornando in Svezia a partire dal 12 luglio, percependo da quel momento redditi di lavoro dipendente in Svezia. Nell’interpello il soggetto in questione, che l’Amministrazione finanziaria svedese considerava fiscalmente residente in Svezia a partire dal 13 luglio di quell’anno, indicava come riteneva corretto essere tassato in Italia per i redditi percepiti nel nostro Paese fino al momento del trasferimento in patria.

L’Agenzia delle Entrate è invece arrivata alla conclusione che il soggetto dovesse dichiarare in Italia anche il reddito percepito in Svezia nella seconda parte dell’anno, avendo riconosciuto un credito d’imposta per le imposte pagate nel suo Paese: questo alla luce del fatto che si doveva considerare fiscalmente residente nel territorio dello Stato per l’intero periodo 2007, avendo avuto la residenza anagrafica in Italia per la maggior parte dell’anno.

Questa “regola” trova un’eccezione nel momento in cui l’altro Paese sia la Svizzera o la Germania: in questi casi la convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia con questi Stati prevede un frazionamento della tassazione laddove la residenza si sposti in corso d’anno.

Al di là della residenza anagrafica, che è il primo criterio, un soggetto potrebbe essere considerato fiscalmente residente in Italia sulla base degli altri presupposti individuati dall’articolo 2, ossia la residenza civilistica ovvero il domicilio civilistico.

Il concetto di residenza da un punto di vista civilistico fa riferimento al luogo dove il soggetto ha la propria dimora abituale, che naturalmente non è facile poi da un punto di vista operativo andare effettivamente ad accertare.

Il domicilio civilistico invece è la sede principale degli interessi e delle attività di un soggetto.

La risoluzione 351 del 2008 affronta la problematica della residenza fiscale sulla base della sussistenza del domicilio civilistico alla luce di un interpello presentato da Fabio Capello, che all’epoca era diventato allenatore della nazionale inglese e quindi si era trasferito in Inghilterra.

Sulla base del fatto che la famiglia era rimasta in Italia, nonostante nell’interpello fosse precisato che la moglie era economicamente indipendente, così come la figlia, che aveva tra l’altro un domicilio distinto, l’Agenzia ha ritenuto che in Italia rimanevano i legami personali e di conseguenza il centro degli interessi vitali dell’allenatore, arrivando alla conclusione che la residenza fiscale fosse quindi nel nostro Paese.

Diverse sul punto appaiono invece le conclusioni recentemente raggiunte dalla Cassazione nella sentenza 6501, depositata lo scorso 31 marzo.

Nel caso di specie i giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che le relazioni familiari non debbano assumere una rilevanza preponderante nella verifica della sussistenza della residenza fiscale di un soggetto: se questi dimostra che la sede centrale della propria attività è effettivamente all’estero, non sono sufficienti legami personali mantenuti nel nostro Paese per renderlo fiscalmente residente in Italia.

Il principio affermato dalla sentenza è sicuramente condivisibile, ma la questione rimane comunque controversa, essendoci anche numerose pronunce di legittimità, altrettanto recenti, che invece valorizzano l’aspetto dei rapporti personali.