31 Gennaio 2018

La proposta di legge per la tassazione indiretta del trust – III° parte

di Sergio Pellegrino
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Nel contributo pubblicato ieri su Euroconference News abbiamo analizzato quanto prevede la proposta di legge che mira ad introdurre una disciplina organica in materia di tassazione dei trust per i trust liberali.

Concludiamo la nostra analisi esaminando le previsioni introdotte per i trust non liberali: è in questo ambito, infatti, che si registrano le novità di maggior rilievo rispetto alla prassi sviluppata dall’Agenzia delle Entrate.

Se il trust non persegue una finalità liberale, come potrebbe essere nel caso di un trust funzionale alla gestione della crisi d’impresa o di un trust realizzato a fini di garanzia, l’imposta che si rende applicabile non è quella sulle successioni e donazioni, quanto piuttosto l’imposta di registro.

Nel momento in cui viene effettuata la disposizione dei beni in trust, sia l’imposta di registro che le eventuali ipocatastali sono dovute in misura fissa.

Al momento dello scioglimento del vincolo, il trasferimento dei beni ai beneficiari del trust non liberale è soggetto all’imposta di registro in misura proporzionale, tenendo conto dell’effettiva finalità del rapporto giuridico, così come risultante dall’atto istitutivo, e se vi sono beni immobili o diritti reali immobiliari trasferiti ai beneficiari sono dovute anche le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale.

Si tratta di una scelta di rottura rispetto all’approccio sin qui seguito da parte dell’Agenzia, che non opera alcun distinguo in relazione alla tassazione indiretta dei trust e prescinde dalla loro natura liberale o non liberale, ritenendo sempre e comunque applicabile l’imposta di successione e donazione considerando l’atto di disposizione di beni in trust in ogni caso come atto gratuito.

È evidente al riguardo la “forzatura” operata: l’imposta di successione e donazione presuppone l’arricchimento di qualcuno, fattispecie che evidentemente non si può verificare laddove il trust abbia natura non liberale.

In realtà l’importanza di operare una distinzione tra trust liberali e non liberali ai fini della tassazione indiretta era stata già sottolineata dalla Sezione Tributaria della Cassazione in una serie di pronunce di fine 2015, con riferimento però allo scenario esistente prima della re-introduzione nel 2006 dell’imposta di successioni e donazioni, quando l’imposta applicata dagli Uffici ai trust era quella di registro.

I giudici della Suprema Corte in quelle sentenze hanno ritenuto errata l’inclusione dell’atto istitutivo di un trust fra gli atti aventi contenuto patrimoniale, evidenziando come l’articolo 9 della tariffa rappresenti una clausola di chiusura finalizzata a regolare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle delle precedenti disposizioni, a condizione però che siano caratterizzate dalla onerosità, che invece non sussiste nel caso di un trust con intento liberale.

Se per i trust liberali la proposta di legge adotta una visione coerente con quella sin qui applicata dall’Agenzia, la portata innovativa del provvedimento è particolarmente rilevante per i trust non liberali, perché può determinare lo “sdoganamento” dell’utilizzo del trust in ambiti in cui potrebbe avere grande efficacia, oggi frustrata da un’interpretazione penalizzante e profondamente sbagliata dell’Agenzia (si pensi, in particolare, alla crisi d’impresa).

 

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