4 Dicembre 2018

La perdita della qualifica di ruralità dei fabbricati

di Luigi Scappini
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27857 del 31.10.2018 affronta il tema della perdita della qualifica di ruralità degli immobili, la quale comporta non poche ricadute da un punto di vista sia di imposizione diretta sia indiretta.

Preliminarmente è necessario precisare che la ruralità dei fabbricati non è determinata soltanto dall’accatastamento degli immobili nelle categorie A/6 e D/10, bensì da requisiti specifici, previsti dall’articolo 9, commi 3 e 3-bis, D.L. 557/1993, che rappresentano il prerequisito ai fini dell’accatastamento nelle categorie di cui sopra, elemento imprescindibile ai fini dell’esenzione Ici, ed ora Imu, dei fabbricati.

Nella realtà, attualmente, unica categoria catastale operante è quella prevista per i fabbricati strumentali agricoli e quindi la D/10, mentre, per quanto concerne i fabbricati abitativi, non si procede più all’accatastamento in A/6, categoria ormai vetusta (basti pensare che essa non è più contemplata nella procedura DOCFA). La pratica operativa porta all’accatastamento dei fabbricati in una della categorie da A1 ad A/7 e la annotazione di ruralità dell’immobile.

Come anticipato, è l’articolo 9 D.L. 557/1993 a individuare quali sono i requisiti richiesti affinché un’immobile possa essere considerato rurale.

Ai sensi del comma 3 si considerano tali gli immobili abitativi, anche se non insistenti sui terreni cui l’immobile è asservito, a condizione però che siano ubicati nello stesso Comune o in Comuni confinanti, che rispettano le seguenti condizioni:

  • devono essere utilizzati quale abitazione alternativamente dal titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno per esigenze connesse all’attività agricola svolta; dall’affittuario del terreno cui l’immobile è asservito; dai familiari conviventi a carico di tali soggetti; da pensionatiagricoli”; da uno dei soci o amministratori delle società agricole;
  • i soggetti devono essere imprenditori agricoli regolarmente iscritti nella sezione speciale del Registro delle Imprese;
  • il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere superficie non inferiore a 1 ettaro, ridotto a 3mila mq nel caso di esercizio di coltivazioni intensive;
  • il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo.

L’allora Agenzia del territorio, con circolare 7/T/2007 ha precisato che, nel caso di terreno affittato a terzi, il requisito deve essere verificato in capo all’affittuario. Resta inteso che la conduzione del terreno da parte di soggetti terzi deve essere dimostrata con contratto di affitto o di comodato.

Nel caso in cui il pensionato continui a esercitare direttamente l’attività agricola sul fondo asservito, il requisito della prevalenza deve invece essere verificato non tenendo conto del reddito da pensione percepito. Se il pensionato non esercita più attività agricola e non concede a terzi il terreno per lo sfruttamento, l’abitazione non può mai essere considerata quale rurale abitativa (contra: CTR Lazio, sentenza n. 180/2006).

Non possono mai essere considerati quali rurali i fabbricati censiti nelle categorie A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville), e quelli che posseggono le caratteristiche di lusso di cui al D.M. 02.08.1969.

Il successivo comma 3-bis, definisce i fabbricati rurali strumentali individuandoli genericamente in quelle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 cod. civ..

Sono tali, ad esempio, le serre, i fabbricati utilizzati per la conservazione dei prodotti e la custodia delle attrezzature agricole, le stalle, gli immobili utilizzati per le attività connesse di prodotto, quelli adibiti ad agriturismo, gli uffici dell’azienda agricola.

La Corte di Cassazione, con la richiamata sentenza n. 27857/2018 interviene proprio su questo aspetto affermando che “Qualora l’acquirente di un immobile rurale non eserciti un’attività agricola il bene perde le caratteristiche di ruralità nel momento in cui viene stipulata la vendita, per la mancanza delle condizioni soggettive dell’acquirente e, ai fini dell’imposta di registro, non può tenersi conto dell’originario carattere rurale del fabbricato. Ai fini dell’imposta di successione, difatti, i fabbricati rurali, come individuati ai sensi dell’articolo 9, commi 3 e 3-bis del D.L. 557/1993, devono essere dichiarati con indicazione della relativa rendita catastale; tuttavia, il valore imponibile da esporre è pari a zero”.

In ragione di quanto detto è evidente che, nel momento in cui la titolarità dell’immobile passa in capo a un soggetto non esercente attività agricola ex articolo 2135 cod. civ., lo stesso perde i requisiti richiesti per poter essere qualificato come rurale con obbligo di azionare una procedura Docfa.

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