29 Agosto 2017

La nuova chiusura del fallimento – III° parte

di Andrea Rossi
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Stante la complessità interpretativa del nuovo articolo 118 L.F., il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili ha emesso un documento lo scorso mese di giugno in cui sono fornite delle preziose indicazioni circa gli obblighi di cancellazione dal Registro imprese delle società fallite in pendenza di giudizi, che sono stati approfonditi in un precedente contributo, mentre nel presente articolo saranno trattate le tematiche fiscali relativamente alle imposte indirette conseguenti all’applicazione del nuovo articolo 118 L.F..

Ferma restando la difficile convivenza fra le disposizioni fallimentari e quelle tributarie, stante il fatto che non esiste una disciplina armonizzata della fiscalità delle procedure concorsuali, la chiusura del fallimento con giudizi ancora pendenti può comportare delle fattispecie differenti laddove la cessione di un bene o prestazione di un servizio sia perfezionata successivamente alla citata chiusura del fallimento; pertanto, in funzione delle situazioni che si originano a seguito della chiusura di un fallimento con giudizi pendenti, potremmo avere le seguenti differenti situazioni:

  1. prestazioni di servizi rese ante chiusura del fallimento ma incassate successivamente alla chiusura: l’Amministrazione finanziaria, con la circolare del 28.1.1992, n. 3/446157, ha precisato che la dichiarazione di cessazione dell’attività, con conseguente chiusura della partita Iva, può essere presentata allorquando siano ultimate le operazioni rilevanti agli effetti dell’Iva; l’Agenzia delle Entrate (si veda la DRE Veneto del 25.3.2016), laddove il fallimento sia stato chiuso in pendenza di giudizi, ritiene invece necessario riaprire la partita Iva da parte del curatore qualora lo stesso debba effettuare operazioni rilevanti (nel caso di specie prestazioni di servizi) ai fini Iva che si rendessero necessarie, in particolare all’esito dei giudizi pendenti. Tale indicazione fornita dalla DRE del Veneto evidenzia ulteriormente la forte dicotomia che vi è tra la disciplina fallimentare, che ti impone la cancellazione della società dal Registro Imprese, e quella fiscale, che addirittura prevede la possibilità di riaprire la partita Iva in presenza di nuove operazioni rilevanti. Pertanto, in presenza di prestazioni di servizi realizzate ante cancellazione della società dal Registro Imprese e conseguente chiusura della posizione Iva, sulla base delle indicazioni fornite dalla citata DRE del Veneto (e supportate dalla sentenza di Cassazione del 21 aprile 2016, n. 8059), il curatore fallimentare dovrà riaprire la partita Iva: la data di riapertura della partita Iva potrà coincidere con l’incasso del corrispettivo derivante dalla prestazione di servizi, salvo anticiparla laddove vi siano associati dei costi da sostenere per prestazioni passive che darebbero luogo alla possibilità di detrarsi la relativa imposta (si pensi all’Iva sulle prestazioni dei professionisti interessati della vicenda);
  2. presenza di sole prestazioni passive sorte successivamente alla chiusura del fallimento: si tratta del credito Iva sorto a seguito del pagamento di spese funzionali a giudizi pendenti, quali le spese legali. In tale contesto il curatore fallimentare potrà riaprire la partita Iva solamente per recuperare l’imposta relativa a tali spese, in quanto spetta il diritto alla detrazione (Corte Giustizia UE, sentenza del 3 marzo 2005, causa C-32/03);
  3. cessioni di beni effettuate successivamente alla chiusura del fallimento; si può trattare di beni rinvenuti successivamente ovvero rientrati nel perimetro del fallimento a seguito dell’esito positivo di un contenzioso; in tal caso il curatore non dovrà più riaprire la partita Iva, assoggettando la cessione ad imposta proporzionale di registro, in ossequio alle indicazioni fornite dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenze n. 6198/1996 e n. 8145/1996), la quale ha affermato che la cessione di un bene, posta in essere da un imprenditore successivamente alla cessazione dell’attività d’impresa, esula dall’imposizione Iva ed è soggetta all’ordinaria tassazione proporzionale di registro, anche se si tratti di bene prodotto nell’ambito della pregressa attività o comunque da essa derivato.

Per quanto attiene invece all’assolvimento del pagamento delle ritenute, l’articolo 23 del D.P.R. 600/1973, individua nel curatore uno dei soggetti qualificati come sostituti di imposta, fino a quando ovviamente lo stesso rimane in carica; laddove intervenga la cancellazione della società dal Registro delle imprese ed il venir meno del codice fiscale, secondo lo scrivente il curatore difficilmente potrà ancora dar corso all’applicazione delle ritenute, con i relativi adempimenti, cosa invece fattibile laddove il curatore mantenga aperto il codice fiscale della società fallita.

Pertanto, stante le forti incongruenze tra normativa fiscale e fallimentare, ed in linea con la circolare dell’11 aprile 2017 della Sezione Fallimentare del Tribunale di Milano, in presenza di possibili adempimenti fiscali successivi alla eventuale chiusura del fallimento ai sensi dell’articolo 118, è opportuno valutare da parte del curatore di chiedere un’autorizzazione al Giudice Delegato di non procedere con la cancellazione della società dal Registro delle imprese, stante la pendenza di giudizi, così da poter assolvere agli obblighi fiscali secondo le regole ordinarie.

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