17 Marzo 2016

La nozione di credito Iva non spettante

di Davide De Giorgi
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Con il D.Lgs. n. 158 del 24 settembre 2015, il Legislatore ha riscritto in più parti il D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, modificando parzialmente i principi e criteri direttivi dell’assetto sanzionatorio tributario, penale ed amministrativo. Tra le modifiche in vigore dal 22 ottobre 2015 c’è anche quella riferita alle sanzioni irrogate a seguito di indebita compensazione ex art. 10-quater del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000.

La disposizione in vigore prevede la reclusione da sei mesi a due anni per chiunque non versi le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.

A tal proposito è opportuno richiamare l’attenzione su quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 3367 del 26 gennaio 2015 sulla nozione di credito non spettante, ancorché la pronuncia sia pregressa rispetto all’entrata in vigore delle modifiche al sistema sanzionatorio.

In questa circostanza il contribuente, nel presentare la dichiarazione Iva, portava in detrazione anche l’eccedenza Iva maturata nel medesimo anno di imposta e che, pertanto, sarebbe stata detraibile, ex art. 30, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, solamente nell’anno successivo a quello di maturazione.

Nel caso de qua il contribuente veniva condannato, ai sensi dell’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74, per avere omesso di versare all’Erario imposte e contributi previdenziali per un importo oltre soglia attraverso la compensazione operata con l’eccedenza Iva che sarebbe stata però utilizzabile solo l’anno successivo.

La Corte di Cassazione ritiene che, mentre il concetto di credito inesistente sia di facile ed intuibile identificazione (essendo chiaramente tale il credito del quale non sussistono gli elementi costitutivi e giustificativi), la nozione di credito non spettante non può essere ricondotta al concetto di mera non spettanza soggettiva (essendo evidente che il portare, eventualmente, in detrazione un credito tributario, pur astrattamente esistente ma riferito ad altro soggetto, integra gli estremi della compensazione con un credito inesistente o, meglio, inesistente relativamente alla posizione del soggetto che operi la compensazione).

La nozione di credito non spettante, non può essere ricondotta neppure, ricordano i Giudici, alla pendenza di una condizione al cui avveramento sia subordinata l’esistenza del credito. Infatti, anche in questo caso, laddove si tratti di condizione sospensiva, fintanto che essa sia pendente, il credito ancora non è sorto (esso è, pertanto, inesistente), mentre, se si trattasse di condizione risolutiva, una volta verificatasi quest’ultima, il credito stesso sarebbe definitivamente venuto meno.

A parere dei Giudici di Piazza Cavour, “deve ritenersi che sia credito tributario non spettante ex art. 10-quater del D.Lgs. n. 74 del 2000, quel credito che, pur certo nella sua esistenza ed ammontare sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario”.

La pronuncia è anche l’occasione buona per richiamare l’attenzione sulla natura eminentemente personale dell’adempimento degli obblighi fiscali.

Più in particolare “(…) il contribuente, il quale è tenuto, tanto più laddove svolga in maniera professionale un’attività commerciale, ad uno specifico obbligo di diligenza nella compilazione degli atti tributari, non può, in assenza di una specifica delega conferita all’interno della stessa impresa commerciale a personale idoneo, essere liberato dalla eventuale responsabilità, anche penale, derivante dallo scorretto adempimento degli obblighi tributari, allegando l’avvenuto affidamento dell’incarico di cura degli affari in questione ad uno studio professionale privato.

Infine, in relazione all’elemento soggettivo del reato ex art. 10-quater del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, i Giudici rammentano che questo è caratterizzato dal dolo generico consistente nella mera consapevolezza di utilizzare in compensazione crediti tributari non spettanti o inesistenti.