22 Dicembre 2017

La nozione di abuso del diritto – I° parte

di EVOLUTION
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Il Governo con il D.Lgs. 128/2015 (approvato in attuazione della delega contenuta nella Legge 23/2014) ha proceduto alla revisione delle vigenti disposizioni antielusive (ex articolo 37-bis del D.P.R. 600/1973) e con il nuovo articolo 10-bis della L. 212/2000 ha introdotto una clausola generale in materia di abuso del diritto.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Accertamento”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo rappresenta la prima parte di un articolo più ampio nel quale si analizza la nozione di abuso del diritto.

Si configura un «abuso del diritto» qualora il contribuente ponga in essere una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto delle norme, conducano sostanzialmente alla realizzazione di indebiti vantaggi fiscali, identificabili (anche non immediati), realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

La disposizione prevede, quindi, tre presupposti perché si configuri la fattispecie dell’abuso del diritto:

  1. l’assenza di sostanza economica delle operazioni poste in essere;
  2. la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;
  3. la circostanza che detto vantaggio sia l’effetto essenziale dell’operazione.

Con risoluzione 93/E/2016 (totalmente ripresa nei contenuti nella successiva risoluzione AdE 101/E/2016) l’Agenzia delle Entrate ha chiarito come un’operazione non possa essere considerata abusiva qualora non vengano identificati e provati congiuntamente tutti e tre i presupposti costitutivi.

È tuttavia necessario evidenziare come la giurisprudenza (sentenze della Corte di Cassazione: sezione III penale, del 7 ottobre 2015, n. 40272 e V civile del 30 dicembre 2015, n. 26060) e la prassi (circolare Assonime del 4 agosto 2016, n. 21, par. 2.2) abbiano affermato, peraltro in coerenza con quanto contenuto anche nella relazione illustrativa al D.Lgs. 128/2015, che la disciplina dell’abuso del diritto trovi un’applicazione «residuale» rispetto all’evasione (nella quale vengono ricomprese anche la simulazione, l’anti-economicità, l’esterovestizione e l’interposizione) e alla frode, posto che tali fattispecie devono essere perseguite con gli strumenti già previsti dall’ordinamento tributario.

Per essere abusiva è comunque necessario che l’operazione posta in essere dal contribuente (e che ha determinato l’indebito beneficio) conduca al medesimo risultato che si sarebbe realizzato adottando la «soluzione alternativa» ritenuta fiscalmente corretta.

In tal senso, si sono espresse sia la prassi (R.M. 117/1999) che la giurisprudenza (sentenza della Corte di Cassazione del 16 marzo 2016, n. 5155). In particolare, quest’ultima ha osservato come si renda necessario “indagare se vi sia reale fungibilità con le soluzioni eventualmente prospettate dal fisco”, non ritenendo quindi sufficiente, per la contestazione di un abuso, l’esistenza di un rapporto di mera similitudine o di asserita equivalenza sul piano sostanziale tra queste e l’operazione concretamente realizzata.

Mancanza di sostanza economica

Il comma 2, lettera a), dell’articolo 10 bis chiarisce come per «operazioni prive di sostanza economica» debbano intendersi “i fatti, gli atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”.

La norma stabilisce che “la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento del loro insieme” e la “non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” siano indicatrici della mancanza di sostanza economica dell’operazione, tuttavia si deve ritenere (come peraltro sostenuto dalla giurisprudenza nella menzionata sentenza della Corte di Cassazione n. 40272/2015 in coerenza con quanto riportato nella relazione illustrativa al D.Lgs. 128/2015) che le stesse siano delle fattispecie meramente esemplificative che non esauriscono tutte le possibili circostanze atte a provare l’abuso del diritto.

La non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento del loro insieme si realizza (cfr. par. 2.2.2 della circolare Assonime n. 21/2016) qualora “il collegamento negoziale tra atti astrattamente autonomi non consente di considerare la sequenza alla stregua di un unico negozio cui attribuire un determinato nomen iuris.

Nella sostanza, dunque, lo scopo dei singoli atti non coincide con l’effetto prodotto dalla loro combinazione né si realizza, attraverso quest’ultima, uno scopo pratico ulteriore.

Tali circostanze devono, peraltro, essere considerate come dei meri «segnali», non essendo di per sé stesse sufficienti per provare l’abuso del diritto, posto che l’operazione potrebbe comunque essere fondata su valide ragioni di natura extra fiscale.

Nel contributo di domani verranno analizzati i concetti di indebito vantaggio fiscale e di prevalenza dei vantaggi fiscali rispetto ad altri fini.

Nella Scheda di studio pubblicata su Dottryna sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

Dottryna