25 Marzo 2022

La motivazione apparente della sentenza tributaria

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

Le SS.UU. della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 8053/2014, hanno chiarito che “la riformulazione dell’articolo 360, n. 5) c.p.c. disposta con l’articolo 54 del D.L. n. 83/2012, secondo cui è deducibile esclusivamente “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile.

Pertanto, a seguito della riforma del 2012, la rilevanza del vizio di motivazione della sentenza, quale oggetto del sindacato di legittimità, è limitato alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’articolo 132, n. 4), c.p.c. e dall’articolo 36, comma 2, n. 4), D.Lgs. 546/92, la nullità della sentenza per mancanza della motivazione.

Al riguardo la Corte di Cassazione, in ordine alla “mancanza di motivazione” e con riferimento al requisito di cui all’articolo 132, n. 4), c.p.c., ha precisato che tale “mancanza” si configura quando la motivazione “manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero quando essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum” (cfr. Cassazione, sentenza n. 20112/2019).

Pertanto, a seguito della riforma del 2012, scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

La mancanza di motivazione come motivo di nullità della sentenza ricorre, pertanto, anche nel caso di apparenza della motivazione che – come chiarito dalla recente giurisprudenza della Corte di Cassazione – sussiste “allorquando il giudice di merito ometta di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo in tale modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tale ipotesi la motivazione della sentenza è apparente perché non controllabile nel suo iter logico, disancorata da precisi riferimenti al quadro probatorio e astrattamente idonea ad essere applicata ad un numero indefinibile di fattispecie”. (cfr. Cassazione, ordinanza n. 7852/2020).

In sostanza, poiché la sentenza, sotto il profilo della motivazione, consiste nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze.

L’implausibilità delle conclusioni può risolversi tanto nell’apparenza della motivazione, quanto nell’omesso esame di un fatto che interrompa l’argomentazione e spezzi il nesso tra verosimiglianza delle premesse e probabilità delle conseguenze ed assuma, quindi, nel sillogismo, carattere di decisività: l’omesso esame è il tassello mancante alla plausibilità delle conclusioni rispetto a premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario.

Questo, tuttavia, non significa – come sancito dalla Corte di Cassazione a SS.UU. nella sentenza n. 8053/2014 – che possa darsi ingresso in sede di legittimità ad una revisione del giudizio di merito, in quanto “in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice di merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio – massima di esperienza – fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione”.