31 Luglio 2014

La miniera d’oro nascosta

di Michele D’Agnolo
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Forse non lo sapevate, ma in tutti i nostri studi professionali c’è una miniera d’oro nascosta.

Pensate di poter guadagnare il dieci – quindici per cento più di quanto ritraete oggi dalla vostra attività professionale senza dover acquisire nuovi clienti, né nuovi incarichi. Senza giubilare nessuna impiegata anziana e senza aumentare i prezzi. Dove sta il miracolo? E’ presto detto.

In tutti i nostri studi siamo costretti a sostenere, da sempre, rilevanti costi di non qualità. Pensiamo a quanto tempo perdiamo quando un cliente non ci porta i documenti necessari all’incarico, nonostante i solleciti nostri e dei nostri collaboratori e dipendenti. Ricordiamo anche quanto tempo serve per riprendere in mano molte volte la stessa pratica o per tornare a concentrarci dopo una sequela di interruzioni.

Ma la mente va anche agli errori dei nostri dipendenti e collaboratori, di cui ci accorgiamo facendo i controlli. Attività che richiedono poi una paziente attività di rifacimento e di ricontrollo.

Per non dire delle dichiarazioni integrative e dei piccoli e meno piccoli ravvedimenti che di tanto in tanto tocca pagare in luogo del cliente e per inquali certamente non vale la pena di attivare la polizza assicurativa.

Ma l’effetto più nefasto degli errori sono le figuracce che facciamo quando dobbiamo confessare al cliente qualcuna di queste piccole defaillances. Anche qui, ore di lavoro per convocare il cliente, gestire reclami o rimostranze, rassicurarlo, coccolarlo fino a fargli riacquistare la fiducia perduta.

L’effetto reputazionale che può avere anche un errore banalissimo sul cliente è potenzialmente devastante. Possiamo forse evitare di perdere il nostro cliente ma di certo avremo inibito per un bel po’ il passaparola positivo che avrebbe potuto farci. E, nel peggiore dei casi, quando per esempio ad un errore ne segue subito un altro, avremo accorciato il valore a vita del cliente depauperando il principale intangibile dello studio: l’avviamento.

Ma l’aspetto più subdolo e strisciante di questo modo di lavorare è il danno sul morale dello studio causato da reclami, errori e rifacimenti. Specie se ripetuti. A ben vedere, nemmeno il più lavativo degli impiegati viene a lavorare per sbagliare. A tutti piace fare bella figura.

Secondo uno studio – nemmeno recentissimo – dell’Ifac, international federation of accountants i costi della non qualità, categoria invisibile del conto economico di ogni studio, possono raggiungere perfino il trenta per cento del totale dei costi.

Appartengono ai costi della non qualità:

  • le gestioni di reclami,
  • i rifacimenti,
  • i pagamenti di sanzioni,
  • i risarcimenti
  • e ogni altro onere che dobbiamo sostenere perché non abbiamo fatto un buon lavoro al primo colpo.

Aggredire e ridurre i costi della non qualità significa non solo migliorare in modo tangibile il conto economico dello studio ma anche migliorare il clima interno dello studio.

Certo, non è semplice capire come rendere più efficaci i controlli senza bloccare l’attività dello studio perché verifichiamo tutto o andare sottocosto perché vogliamo rifare tutto almeno due volte. E non si educano certo i clienti a compartecipare meglio alla prestazione professionale con una circolare o due. Serve comunicare molto e in modo coerente, con riunioni, telefonate e adeguata formazione. Occorre spiegare il perché si necessita della collaborazione dei clienti e quali sono le conseguenze, per esempio,di un ritardo nell’elaborazione.

Allo stesso modo occorre investire per abituare i collaboratori a gestire correttamente le non conformità tanto sul piano della comunicazione al cliente che della gestione interna, che dell’analisi delle cause e non delle colpe fa il suo punto centrale.

C’e’ da lavorare, ma alla fine la miniera, se ben coltivata, vi ripagherà con i suoi frutti.