27 Luglio 2015

La legge di delegazione europea riscrive la direttiva madre – figlia

di Davide De Giorgi
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La legge di delegazione europea è uno dei due strumenti (insieme alla legge europea) utilizzati dal Legislatore interno al fine di adeguare l’ordinamento giuridico nazionale all’ordinamento dell’Unione europea. I due strumenti sono stati introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea (la legge di delegazione europea deve essere presentata alle Camere entro il 28 febbraio, mentre per la legge europea non viene stabilito un termine specifico di presentazione).

In particolare, ai sensi dell’articolo 30, comma 2, con la legge di delegazione europea viene conferita al Governo la delega legislativa per dare attuazione alle direttive europee e alle decisioni quadro, nonché agli obblighi direttamente riconducibili al recepimento di atti legislativi europei.

Il 5 febbraio 2015 il Governo ha presentato il disegno di legge di delegazione europea 2014, approvato dal Senato il 14 maggio e successivamente trasmesso alla Camera dei deputati il 18 maggio. Concluso l’esame in sede referente il 30 giugno, il testo è stato approvato, senza modificazioni, il 2 luglio.

Il disegno di legge di delegazione europea 2014 consta di 21 articoli ed è corredato degli allegati A e B. Gli articoli del disegno di legge contengono disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l’adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti (UE), nonché per l’attuazione di 10 decisioni quadro.

Nell’allegato B sono riportate le direttive sui cui schemi di decreto è previsto il parere delle competenti commissioni parlamentari. Al punto n. 40) dell’allegato B, è prevista l’adozione della direttiva 2014/86/UE del Consiglio, dell’8 luglio 2014, che ha modificato la direttiva 2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle societàmadri” e “figlie” di Stati membri diversi, per evitare situazioni di doppia non imposizione, o, come nella situazione specifica della nuova previsione, a meccanismi di deduzione-esenzione derivanti da incongruenze nel trattamento fiscale delle distribuzioni di utili tra Stati membri.

Le ragioni di tale modifica sono sotto gli occhi di tutti. Si stima infatti, che ogni anno nell’Unione vadano perduti – a causa della frode, dell’evasione e dell’elusione fiscale nonché della pianificazione fiscale aggressiva – mille miliardi di EUR di potenziale gettito fiscale, il che rappresenta un costo annuo di circa 2.000 EUR per ogni cittadino “europeo”.

Occorre brevemente chiarire che la “vecchia” direttiva 2011/96/UE (nella quale è stata refusa la direttiva 90/435/CEE) è stata adottata con il fine ultimo di eliminare la doppia tassazione sugli utili distribuiti in forma di dividendi dalle società figlie, stabilite in uno Stato membro, alle corrispondenti società madri, stabilite in un altro Stato membro, dovuta all’esercizio congiunto del potere impositivo di due Stati membri differenti.

Per questo è stato previsto che quando una società madre, in veste di socio, riceve dalla società figlia utili distribuiti, lo Stato membro della società deve astenersi dal sottoporre tali utili a imposizione, oppure sottoporli a imposizione, autorizzando però detta società madre a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta pagata dalla società figlia a fronte di detti utili.

Inoltre, per garantire la neutralità fiscale, è stato ritenuto opportuno esentare da ritenuta alla fonte, salvo in taluni casi particolari, gli utili conferiti da una società figlia alla propria società madre.

 

Prima dell’entrata in vigore della direttiva 90/435/CEE, le disposizioni fiscali che disciplinavano le relazioni tra società madri e società figlie di Stati membri diversi variavano sensibilmente da uno Stato membro all’altro ed erano, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro.

La direttiva però, pensata, tra l’altro, per agevolare l’aggregazione di imprese su scale europea, si è rivelata foriera di utilizzi non proprio aderenti alla ratio dell’introduzione.

Perciò, dal 31 dicembre 2015 (termine ultimo per il recepimento della “nuovadirettiva 2014/86/UE) non sarà più possibile beneficiare di tale esenzione in maniera, per così dire “automatica”. Questo perché, con la modifica all’articolo 4, paragrafo 1, lettera a) della direttiva 2011/96/UE è stato previsto che gli Stati “si astengano dal sottoporre tali utili a imposizione nella misura in cui essi non sono deducibili per la società figlia e sottopongono tali utili a imposizione nella misura in cui essi sono deducibili per la società figlia (…)”. In altre parole, lo Stato membro della società madre e lo Stato membro della sua stabile organizzazione non devono permettere a tali società di beneficiare dell’esenzione fiscale applicata agli utili distribuiti/ricevuti nella misura in cui tali utili siano deducibili per la società figlia.

Le modifiche intendono, quindi, porre un freno alle asimmetrie impositive esistenti tra i diversi ordinamenti nazionali che possono aprire la strada a fenomeni abusivi o comunque a fenomeni di involontaria doppia non imposizione.

In particolare, gli schemi che si tende a contrastare sono quelli basati sull’utilizzo di strumenti finanziari ibridi, c.d. hybrid financial instrument.

Le costruzioni finanziarie ibride sono strumenti finanziari che presentano caratteristiche sia del finanziamento del debito che del conferimento di capitale. Gli Stati membri, fino al varo della nuova direttiva, applicano trattamenti fiscali diversi ai finanziamenti ibridi (debito o capitale), e pertanto i pagamenti effettuati nell’ambito di un finanziamento ibrido transfrontaliero sono considerati spese fiscalmente deducibili in uno Stato membro (Stato membro del pagatore) e distribuzioni di utili esenti da imposta nell’altro Stato membro (Stato membro del beneficiario). A seguito della nuova direttiva quindi, gli Stati membri dovrebbero seguire il trattamento fiscale assegnato ai pagamenti di finanziamenti ibridi dallo Stato membro della fonte (senza concedere nessuna esenzione fiscale ai pagamenti di finanziamenti ibridi che sono deducibili nello Stato membro della fonte), e per questo, è stato circoscritto l’obbligo per gli Stati membri di esentare dalla tassazione le distribuzioni di utili che le società madri hanno ricevuto dalle società figlie situate in un altro Stato membro.

Sullo sfondo rimane l’introduzione di una clausola generale anti-abuso all’interno della direttiva, la cui discussione, per ragioni politiche, è stata rimandata.