18 Giugno 2019

La gestione delle rettifiche inventariali in azienda

di Marco Bargagli
Scarica in PDF

Nel corso di una verifica fiscale, l’Amministrazione finanziaria potrebbe attivare mirati controlli in relazione alle quantità di merce presente presso nei magazzini aziendali.

In particolare, uno dei profili di maggiore criticità riguarda la contabilizzazione delle c.d. “rettifiche inventariali di magazzino”, nelle ipotesi in cui la giacenza contabile non corrisponda a quella fisica dei prodotti.

Le cause che tecnicamente determinano la rilevazione delle citate differenze inventariali sono generalmente riconducibili a:

  • cali di peso della merce;
  • scarti di lavorazione o individuazione di pezzi difettosi acquistati;
  • errori nel carico scarico contabile e/o malfunzionamenti del codice a barre;
  • distruzioni accidentali, ammanchi, furti;
  • infedeltà dipendenti;
  • merce scaduta, non più commercializzabile.

Sul punto, la normativa sostanziale di riferimento (articolo 1 D.P.R. 695/1996) prevede l’obbligo di istituzione e conservazione delle scritture ausiliarie di magazzino a partire dal secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui, per la seconda volta consecutivamente, l’ammontare dei ricavi  ed il valore complessivo delle rimanenze sono superiori rispettivamente ad € 5.164.568 ed € 1.032.913.

Di conseguenza, la corretta tenuta della contabilità di magazzino implica la rilevazione, in maniera sistematica, di tutte le movimentazioni fisiche (carico/scarico), dei beni presenti in azienda (ex articolo 14,  comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973).

Sullo specifico punto, la circolare 31/E/2006 dell’Agenzia delle entrate ha chiarito che le differenze inventariali vengono rilevate dalle imprese obbligate alla tenuta della relativa contabilità e sono  finalizzate al periodico adeguamento del magazzino contabile rispetto a quello effettivo per ragioni “fisiologiche” (es. per cali fisici, erroneo utilizzo dei codici identificativi nel carico o nello scarico delle merci, furti o distruzioni accidentali).

In merito, il citato documento di prassi ha richiamato l’attenzione del verificatore ad operare un’attenta valutazione dei termini di concreta applicazione delle presunzioni legali di cessione e acquisto, da effettuarsi nel quadro di un’analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda controllata.

In particolare nei casi in cui, nel corso dell’attività ispettiva, si riscontrino rettifiche contabili di magazzino da parte dello stesso operatore, sarà cura del verificatore non limitarsi alla ripresa a tassazione “sic et simpliciter” degli importi corrispondenti al valore delle predette differenze, ma occorrerà attentamente esaminare il processo di formazione delle stesse e la loro natura fisiologica o patologica in relazione all’attività in concreto svolta dall’impresa e in relazione agli elementi ed alle informazioni eventualmente forniti dal contribuente (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 1 “Le metodologie di controllo basate su prove presuntive”, pag. 39 e ss.).

Ciò posto, qualora il contribuente ispezionato non riesca a giustificare le eccedenze o gli ammanchi di merce all’interno dei locali aziendali che generano le rettifiche inventariali sopra descritte, si rendono applicabili le c.d. “presunzioni legali di acquisto e cessione senza fattura”, che possono riguardare tutti i prodotti commercializzati dall’impresa.

Infatti:

  • ai sensi dell’articolo 1 D.P.R. 441/1997 si presumono ceduti “in evasione d’imposta” i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti. Tra tali luoghi rientrano anche le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi ed i mezzi di trasporto nella disponibilità dell’impresa;
  • ai sensi dell’articolo 3 D.P.R. 441/1997 i beni che si trovano in uno dei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono “acquistati senza fattura” qualora non venga dimostrato che il medesimo contribuente non li ha ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanza, ossia sulla scorta di uno degli altri titoli previsti dalla Legge.

Tuttavia, si possono superare le presunzioni legali relative sopra indicate fornendo ai verificatori la prova che i beni non sono stati né ceduti né acquistati “in nero”.

Anzitutto, la presunzione di cessione senza fattura non opera se il contribuente dimostra che i beni:

  • sono stati impiegati per la produzione;
  • sono stati perduti o distrutti;
  • sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà.

L’articolo 2, comma 3, D.P.R. 441/1997 prevede che la perdita di beni dovuta ad eventi fortuiti, accidentali o comunque indipendenti dalla volontà del contribuente può essere provata da idonea documentazione rilasciata da un organo della Pubblica Amministrazione o, in mancanza, da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio – da rendersi entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza – dalla quale risulti il valore complessivo dei beni mancanti, salvo l’obbligo di fornire, a richiesta dell’Amministrazione finanziaria, i criteri e gli elementi in base ai quali detto valore è stato determinato.

Di contro, qualora la distruzione dei beni avvenga su base volontaria, perché ad esempio gli stessi non sono più utilizzabili nel processo produttivo per obsolescenza, occorrerà seguire un preciso iter procedurale che attesti l’effettività e la consistenza dei beni oggetto della distruzione (articolo 2, comma 4, D.P.R. n.441/1997).

In merito, occorre predisporre una specifica comunicazione scritta da rilasciare all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza territorialmente competenti, che deve pervenire almeno 5 giorni prima del giorno fissato per l’inizio delle procedure di smaltimento.

Nella citata comunicazione dovrà essere indicato il luogo, la data e l’ora in cui verranno poste in essere le operazioni, le modalità di distruzione o di trasformazione, la natura, qualità e quantità, nonché l’ammontare complessivo, sulla base del prezzo di acquisto, dei beni da distruggere o da trasformare e l’eventuale valore residuale che si otterrà a seguito della distruzione o trasformazione dei beni stessi.

Successivamente, i soggetti che hanno partecipato alla distruzione della merce (pubblici funzionari, Ufficiali della Guardia di Finanza o, in loro assenza, i notai), descriveranno le operazioni compiute in apposito verbale.

Infine, nel caso in cui il costo complessivo dei beni da distruggere non sia superiore a 10.000 euro, la distruzione dei prodotti potrà risultare anche da una dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa direttamente dal contribuente.

Giova da ultimo ricordare che, per superare la presunzione di acquisto dei beni senza fattura, il contribuente può dimostrare di averli ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanza e, contestualmente, fornire anche idoneo titolo di provenienza degli stessi beni attraverso uno dei seguenti documenti fiscali:

  • fattura, scontrino o ricevuta fiscale;
  • documento di trasporto, progressivamente numerato dal ricevente o altro valido documento di trasporto.
La gestione delle liti con il fisco