8 Luglio 2014

La gestione (attenta) dei costi black list

di Sergio Pellegrino
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Quando ci troviamo di fronte a clienti che hanno rapporti con soggetti black list, sappiamo bene come le spese e gli altri componenti negativi correlati alle operazioni poste in essere debbano essere analizzati con grande attenzione.

Vanno innanzitutto “evidenziati” nella compilazione del quadro RF del modello Unico attraverso una variazione in aumento (da effettuare nel rigo RF29 per le società di capitali); poi, come se vi fosse un automatismo, nella stragrande maggioranza dei casi a fronte di questa rettifica ne viene fatta una corrispondente in diminuzione (nel rigo RF54 di UnicoSC), di modo che le due si sterilizzano e l’effetto “netto” è quello di dedurre i componenti negativi in questione.

Se però la variazione in aumento è “dovuta”, perché ha la funzione di segnalare all’amministrazione una situazione di potenziale rischio, non altrettanto può dirsi per quella in diminuzione, che dovremmo andare a effettuare soltanto nel momento in cui ricorrono le esimenti previste dall’articolo 110 del Tuir, esimenti che saremo chiamati a provare nel momento in cui vi fosse un controllo da parte dell’ufficio.

Molto spesso sorgono proprio in sede di verifica dei problemi e ci sembrava quindi opportuno soffermarci su questa tematica, partendo dal ripercorrere gli aspetti essenziali della disciplina, necessariamente “propedeutici” all’analisi delle esimenti che rinviamo ad un successivo contributo.

Le disposizioni contenute nei commi 10, 11 e 12 bis dell’articolo 110 del Tuir sanciscono infatti, in prima battuta, l’indeducibilità dei componenti negativi derivanti da operazioni con controparti black list per tutti i soggetti residenti che svolgono attività imprenditoriale, indipendentemente dalla loro natura giuridica. Rientrano in questa accezione, pertanto, anche le stabili organizzazioni in Italia di imprese non residenti.

Per quanto riguarda l’individuazione della controparte “paradisiaca”, fanno scattare la presunzione di indeducibilità le imprese residenti o localizzate in Paesi e territori a regime fiscale privilegiato, così come i professionisti ivi domiciliati.

Dobbiamo fare grande attenzione però ai termini utilizzati dal legislatore, che sono stati interpretati dall’agenzia in modo decisamente estensivo.

Il riferimento ai professionisti, innanzitutto, va inteso in senso ampio, come categoria residuale rispetto a quella delle imprese, di modo che tutti i soggetti che svolgono un’attività economica, e che siano situati in paesi black list, fanno “innescare” il regime di cui all’articolo 110.

L’impresa può essere residente o localizzata nello Stato estero, e quindi anche una stabile organizzazione in un paese black list di una società italiana ne è interessata. Per quanto concerne i professionisti, la norma fa riferimento a quelli domiciliati nel paese black list, ma anche in questo caso per l’agenzia è sufficiente un “collegamento” con esso, come potrebbe essere nel caso della base fissa che il professionista utilizza per effettuare le proprie prestazioni.

Per l’individuazione degli Stati o territori a fiscalità privilegiata, in attesa dell’emanazione della white list prevista dall’articolo 168 bis, va fatto riferimento ancora alla black list di cui al D.M. 23/1/2002, che ci propone una “tripartizione”: i paesi da considerarsi paradisi fiscali in senso assoluto, elencati nell’articolo 1, come ad esempio Hong Kong; quelli di cui all’articolo 2, che sono tali con alcune esclusioni espressamente individuate, come avviene per il Principato di Monaco che vede escluse le società che realizzano almeno il 25% del fatturato al di fuori di Monaco; infine, gli Stati e territori individuati dall’articolo 3, in relazione ai quali si considerano black list soltanto i soggetti (o le attività) espressamente menzionati (e quanto avviene ad esempio per le società svizzere non soggette a imposte cantonali e municipali).

Anche la definizione dell’ambito oggettivo non richiede minore attenzione.

Il riferimento all’indeducibilità dei “costi black list” può essere da questo punto di vista fuorviante perché, in realtà, qualsiasi componente negativo di reddito collegato a operazioni poste in essere con controparti “paradisiache” è interessato dalla disciplina.

Secondo l’interpretazione dell’agenzia, che desta non poche perplessità, anche componenti quali le perdite su crediti nei confronti di questi soggetti o gli ammortamenti e le eventuali minusvalenze realizzate su cespiti acquistati da fornitori black list soffrono la presunzione di indeducibilità fissata dall’articolo 110, che può essere “vinta” soltanto dimostrando lo svolgimento di un’attività commerciale effettiva della controparte ovvero l’effettivo interesse economico e la concreta esecuzione delle operazioni.

Ed è proprio sulla “ricerca” delle esimenti che concentreremo il prossimo contributo.