26 Gennaio 2015

La fusione fredda

di Michele D’Agnolo
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Sempre più frequentemente gli studi professionali italiani si aggregano tra di loro mediante percorsi di fusione o di acquisizione. In entrambi i casi il processo viene spesso gestito in maniera poco pianificata, forse perché raramente la complessità di queste operazioni viene compresa. La fusione è come la vendetta, va gustata fredda. Una unione tra studi andrebbe invece correttamente metabolizzata perché non è la giustapposizione di corpi morti ma l’integrazione di persone e strutture che hanno una loro cultura, loro abitudini, rituali e idiosincrasie. Per amalgamare più studi professionali serve un ingente investimento di tempo e risorse.
Sottovalutare o ignorare questi processi porta a lunghi periodi digestivi, che sovente possono concludersi con un rigetto e financo con la dissoluzione dell’aggregazione professionale o con la regressione della stessa a mero condominio. Non sono pochi gli studi che dopo un tentativo maldestro di aggregazione finiscono con lo stare separati in casa. È chiaro che la aggregazione professionale riuscita è quella che condivide i clienti, servendoli al meglio, e le risorse umane, specializzandole.
A differenza di quanto si possa pensare, non è tanto e solo l’individualismo che fa fallire questi progetti quanto l’improvvisazione.
Uno dei motivi per i quali questo avviene è che il processo di aggregazione avviene concentrandosi solo sugli aspetti giuridici. Grande attenzione viene posta nella contrattualizzazione dell’operazione, mentre vengono accuratamente bollate come dettagli da affrontare “strada facendo” le cose realmente importanti. Nel paese che è la culla del diritto l’economia è sempre vissuta come una conseguenza e mai come una determinante.
E così molti professionisti nel mettersi assieme non ritengono assolutamente necessario che ci siano figure manageriali o di coordinamento, anche se la somma di più persone rende la complessità organizzativa esponenziale. Moltissimi ritengono che in uno studio di molte persone ci si possa auto-organizzare come nello studio precedente, e vivono come mera sovrastruttura la quantità di nuove attività che si rendono necessarie invece per il coordinamento di una struttura molto più ampia e complessa.
La complessità organizzativa di più strutture che si fondono si rispecchia nella diversa gestione delle persone.  
E così persone che prima avevano un solo riferimento devono rispondere a una molteplicità di soci senza che venga stabilita una gerarchia, finendo per disperdersi in un mondo multi-boss come tanti arlecchini servi di molti padroni.
Persone che prima dell’annessione avevano un solo compito vengono incaricate di punto in bianco di una pluralità di incombenze, di solito senza una appropriata formazione ed addestramento e pertanto si sentono dispersive e disorientate.
Altri addetti che prima dell’inciucio avevano compiti vari ed appaganti vengono relegati ad un solo compito ripetitivo, distruggendone la motivazione e la dedizione.
Le persone, messe fianco a fianco cominciano a confrontarsi e scoprono che a parità di funzioni hanno strutture retributive completamente diverse e livelli di produttività completamente diversi. E che i loro capi, che avevano uno stile direzionale completamente diverso, continuano a utilizzare il loro modus operandi. Il capo di Gina lascia sempre fare, si rintana nella sua stanza perché non vuole problemi. Il capo di Mario, invece, gli alita sul collo dalla mattina alla sera. Immaginate cosa succede quando nella fusione dello studio si cambiano il capo. Gina, che dopo lustri di autogestione è diventata ormai un’anarchica, finisce tra le grinfie del capo di Mario, che la microgestisce. Contemporaneamente Mario, diretto – a distanza – dal capo di Gina, si sente completamente abbandonato a sé stesso e non è più in grado di chiudere una pratica.
Spesso anche il livello di coinvolgimento dei professionisti e l’avvalersi delle figure para-professionali differisce tra professionista e professionista. Ci sono studi in cui il professionista vuole fare tutto e delega solo operazioni ancillari e marginali e altri studi dove il dipendente o collaboratore gestisce la massima parte possibile del processo di erogazione del servizio. Mescolando le strutture senza una pianificazione, non sarà più chiaro qual è il modello che viene utilizzato.
Anche a livello tecnologico ci possono essere diversi problemi di integrazione. La scelta dei software e delle attrezzature per l’intrapresa comune può creare altri traumi e magari favorire uno schieramento rispetto all’altro, creando la premessa di scontento e potenziali ritorsioni. Tanto che in alcuni progetti di aggregazione si è arrivati a scegliere perfino un software terzo. Per non accontentare qualcuno, tanto vale scontentare tutti. Pensate a quale spreco di know how.
Per quanto concerne l’organigramma, non sempre sono ridisegnate in modo chiaro le funzioni e ricalcolati adeguatamente i carichi di lavoro. In ogni caso spesso le nuove autorità e responsabilità spesso non sono effettive ma solo teoriche, perché tutti continuano a portare le cattive abitudini anche nel nuovo studio.
Anche dove si crede di aver gestito questi problemi, si pretende che persone che per venti o trent’anni hanno lavorato in un certo modo cambino le loro inveterate abitudini solo perché glielo si è chiesto in una o due riunioni di studio. Il risultato in questione è alla portata, ma richiede una ben maggiore perseveranza.
Sovente, il modo di lavorare degli addetti dei singoli studi differisce in modo significativo. Ognuno dei dipendenti, dei praticanti e dei professionisti collaboratori si è formato alla scuola di un professionista diverso e quindi si interfaccia con i clienti e con i colleghi in modo differente. Ognuno ha priorità di lavoro, modalità di esecuzione dei controlli, gradi di autonomia nella gestione del lavoro e delle non conformità, modi di archiviazione completamente diversi. Mescolare insieme tutte queste modalità in assenza di un paziente lavoro di ricucitura tende a creare moltissimo rumore organizzativo e l’occasione di conflittualità rilevantissime tra gli addetti e tra i professionisti.
Anche quando viene stabilita una gerarchia, gli impiegati dello studio professionale manifestano una sorta di imprinting per cui “il primo capo non si scorda mai” e tutti gli altri sono e saranno sempre molto meno capi di lui. Inoltre i clienti storici creano più affezione negli addetti rispetto ai nuovi clienti che non hai conquistato ma ti sono stati obtorto collo affibbiati.
Anche dal lato della relazione con i clienti giustapporre più strutture professionali può creare notevoli perplessità e problemi. I clienti possono avere prezzi e modalità di fatturazione e di recupero crediti completamente diversi. Altrettanto eterogenei possono essere i criteri di valutazione dei rischi, di accettazione e formalizzazione degli incarichi. Completamente difformi possono essere i rischi professionali che i singoli studi generalmente accettano. I singoli professionisti possono inoltre avere modalità consulenziali e di coinvolgimento diverse.
I singoli studi potrebbero apportare alla comune iniziativa livelli di competenza relazionale del personale del tutto disallineati. E quindi magari in uno studio ci sono persone molto brave tecnicamente ma un po’ ruvide, mentre nell’altro sono tutti dei lacchè ma non sanno fare assolutamente nulla. Portandoli in pool sul cliente, il cocktail potrebbe essere esplosivo. Uno splendido lavoro di squadra dove chi non sa far nulla prende in mano il lato tecnico e chi è rustico presidia la relazione con i clienti.
Peraltro, clienti di più ampia dimensione che sono tra di loro competitors e che erano di pertinenza di due diversi studi convergenti, potrebbero non gradire che lo studio segua anche il più acerrimo nemico.
Una ulteriore causa di complessità nelle integrazioni di studi professionali deriva dalla suddivisione su più aree geografiche. Nel Paese dei Campanili, diverse sedi geografiche possono portare con sé diversi “fusi orari” e diverse abitudini e culture personali e professionali.
 
Effettuare una integrazione tra studi professionali è come mangiare un abbondante piatto di melanzane alla parmigiana alle dieci del mattino. Delizioso, ma un po’ impegnativo. La cartina di tornasole della riuscita di una acquisizione, il sommesso ruttino che sottolinea la conclusione di un lento e difficile processo digestivo è rappresentata dalla semplice frase “
il mio cliente”, che deve diventare a prima risposta
“uno dei nostri clienti” e “il mio collaboratore” che devono diventare d’istinto
“il nostro collaboratore”. Parimenti,
“la nuova socia del mio capo” deve diventare
“una dei miei titolari”. La metafora gastrica è utile anche per capire che la modalità terapeutica più adatta è la ginnastica e non l’alka seltzer. È molto importante pianificare e gestire a monte i percorsi di allineamento se si vogliono evitare più ampi costi successivi e potenzialmente enormi spargimenti di sangue. Buona digestione.