1 Ottobre 2018

La dubbia tassazione della caparra ritenuta a seguito di inadempimento

di Fabio Garrini
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Le compravendite immobiliari sono spesso precedute da un contratto preliminare nel quale le parti pattuiscono, accanto al contenuto tipico relativo all’assunzione dell’obbligo a contrarre il definitivo atto di trasferimento, anche la dazione di una somma di danaro; capita talvolta che, per inadempimento dell’acquirente, al preliminare non faccia seguito l’atto con il quale avviene il materiale trasferimento dell’immobile, fatto che comporta il diritto a favore del promittente acquirente di trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra.

Quando il promittente cedente è persona fisica non esercente attività d’impresa si pongono dubbi circa l’inquadramento reddituale della somma definitivamente acquisita.

La caparra

La caparra confirmatoria pagata contestualmente alla sottoscrizione di un contratto preliminare (ovvero, in un minor numero di casi, anche successivamente), avendo funzione risarcitoria del danno in caso di inadempimento ingiustificato, non costituisce corrispettivo dell’operazione fino a quando non venga imputata al prezzo; non assume, pertanto, alcuna rilevanza ai fini delle imposte dirette fino al momento in cui sia imputata in conto prezzo, originando solo in tale momento redditi tassabili e solo nella misura in cui lo fosse l’intero corrispettivo conseguito.

Questo si traduce nel fatto che, se la plusvalenza riguardasse fabbricati posseduti da oltre cinque anni, la caparra, trasformatasi in corrispettivo, non risulterebbe tassata.

Più articolate sono le riflessioni nel caso in cui la compravendita non vada a buon fine e il promittente cedente acquisisca il diritto a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra.

Con la risoluzione 1856/1982 l’Amministrazione finanziaria aveva ritenuto non imponibile la ritenzione, ancorché in presenza di un fatto economicamente rilevante, in quanto avente carattere meramente risarcitorio non configurabile ai fini fiscali come incremento di ricchezza.

Consta però un più recente precedente relativo al contratto di rent to buy (fattispecie contrattuale volta a conferire al conduttore l’immediato godimento dell’immobile, rinviando al futuro il trasferimento della proprietà del bene, con imputazione di una parte dei canoni al corrispettivo del trasferimento) relativamente al caso di risoluzione per inadempimento del conduttore; in tal situazione il concedente ha diritto alla restituzione dell’immobile e fa propri, in via definitiva, e per l’intero, i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto dal contratto (articolo 23, comma 5, D.L. 133/2014).

Nella circolare AdE 4/E/2015, con riferimento al caso di mancato trasferimento dell’immobile quando il concedente è persona fisica, si afferma che le quote dei canoni imputate ad acconto del prezzo, trattenute dal concedente a titolo di indennità, costituiscono, per quest’ultimo, redditi diversi derivanti dall’assunzione di obblighi riconducibili a quelli di fare, non fare e permettere di cui all’articolo 67, comma 1,  lett. l), Tuir, atteso che, anche in questo caso, viene comunque remunerato il diritto di acquisto concesso al conduttore.

Volendo proporre un’assimilazione, si potrebbe ritenere in ogni caso fiscalmente rilevante tale caparra al momento della definitiva acquisizione, ovvero nel momento in cui spira il termine per procedere alla stipula del rogito o comunque alla data in cui il promittente acquirente decide di rinunciare in maniera esplicita all’acquisto.

Occorre comunque evidenziare come vi siano anche posizioni diverse, certamente fondate, che confermano l’irrilevanza della caparra definitivamente acquisita.

Nello studio del notariato 32-2017/T si legge inoltre quanto segue: “Se alla luce delle nuove interpretazioni [la citata circolare 4/E/15, n.d.a.] si volesse comunque ritenere imponibile la fattispecie, occorrerebbe collocare l’eventuale reddito, anziché nella lettera L), più correttamente nella lett. a) o nella lett. b) dell’art. 67 Tuir, a seconda della natura dei beni che avrebbero dovuto essere trasferiti.”

La motivazione di tale esonero da tassazione risiede nel fatto che, avendo la caparra natura di risarcimento per il venditore che non ha concluso l’affare, anche qualificandola come sostitutiva di reddito, ai sensi dell’articolo 6, comma 2, Tuir risulterebbe imponibile con le stesse regole previste per il provento non conseguito.

Quindi, poiché la cessione, se fosse andata a buon fine, avrebbe generato una plusvalenza detassata (per il possesso quinquennale ai sensi dell’articolo 67, lett. b), Tuir) anche la caparra acquisita che va a sostituire tale reddito dovrebbe essere qualificata come detassata.

Sul punto viene richiamata una sentenza della Cassazione – sentenza n. 11307 del 31.05.2016 – nella quale si afferma che: “la penale è assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la prestazione principale rimasta ineseguita (cessione dell’immobile) avrebbe costituito reddito ai sensi dell’articolo 67, comma l, tuir. Il Collegio condivide quindi le asserzioni dell’Ufficio circa la caparra incamerata costituendo la stessa il risarcimento della perdita di proventi che, per loro natura e in base a quanto sopra considerate avrebbero generato redditi tassabili per un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi dell’art. 67 del tuir.”

Nella sentenza non viene esplicitato, ma la cessione doveva riguardare necessariamente un immobile posseduto da meno di cinque anni visto che se ne presume la tassazione in sede di cessione (si trattava di un terreno non edificabile).

Il fatto che si utilizzi il termine “plusvalenza” corrobora la tesi dell’inquadramento di tale provento nell’articolo 67, lett. b), Tuir, con conseguente detassazione nel caso di possesso ultraquinquennale dell’immobile.

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