7 Novembre 2014

La distinzione tra autotutela “sostitutiva” e autotutela “integrativa”

di Niccolò Di Bella
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L’esercizio del
potere di autotutela, disciplinato dalla L. 241/1990, rappresenta quella generale capacità della Pubblica Amministrazione di
risolvere in maniera autonoma eventuali “conflitti” conseguenti l’emissione di provvedimenti, nel tentativo di realizzare quell’interesse pubblico che la stessa ha il dovere di tutelare, assicurando al tempo stesso equità e trasparenza nella propria azione.
In ambito tributario si riscontra parimenti un generale potere di annullamento d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di auto accertamento – introdotto con il D.M. 37/1997 –
esercitabile sia spontaneamente che su istanza del contribuente, anche in pendenza di giudizio o nei casi di non impugnabilità dell’atto,
fin tanto che non intervenga una sentenza passata in giudicato in favore dell’Amministrazione Finanziaria.  Accanto a tale potere di autotutela, per così dire “negativa”, è possibile individuare altre due forme di esercizio di correzione di errori e/o omissioni in cui possa essere incorsa l’A.F.:
  • quello di autotutela c.d. “sostitutiva”;
  • quello di autotutela “integrativa”.
Identificare
le differenze tra le suddette forme di rettifica degli atti emessi dagli Uffici
può risultare di non poca importanza in sede di difesa del contribuente, in quanto può capitare di registrarne un utilizzo lesivo del
diritto di difesa.
Attraverso l’esercizio del potere di
autotutela sostitutiva, infatti, l’Ufficio non fa altro che ritirare un atto affetto da carenze formali (e non sostanziali), provvedendo alla
correzione dei vizi determinanti il ritiro, per poi procedere
all’emanazione di un nuovo atto che dovrà tassativamente riprodurre gli elementi sostanziali contenuti nel precedente. Diversamente,
il potere di integrare un avviso di accertamento già emanato – in ossequio a quanto disposto dall’art. 43, comma 4, del D.P.R. 600/1973 in materia di II.DD. e dall’art. 57, comma 4, del D.P.R. 633/1972 in materia IVA – si basa sull’assunto che il nuovo avviso debba
contenere elementi non solo rinvenuti in epoca successiva al primo accertamento, ma altresì che siano
tali da modificare, nella sostanza, l’oggettività del presupposto d’imposta.
A pena di nullità, quindi, i fatti su cui deve basarsi l’integrazione possono essere considerati “nuovi” solo e soltanto se, al momento dell’emissione del primo accertamento, non erano conosciuti né conoscibili in base all’attività istruttoria svolta.
L’unica caratteristica che accomuna le due fattispecie di autotutela è dato dal rispetto dei termini decadenziali per l’accertamento, in quanto nessuna delle due tipologie di atto (né quello “sostitutivo” né quello “integrativo”) può consentire una riapertura di termini già spirati ai sensi dell’art. 43, commi 1-3, del D.P.R. 600/1973.
Proprio con riguardo al rapporto tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo, è possibile in questa sede citare un passaggio della Sentenza n. 4372/2011, in occasione della quale la Suprema Corte ebbe modo di affermare che “
…il potere di accertamento integrativo ha per presupposto un atto (l’avviso di accertamento originariamente adottato) che continua ad esistere e non viene sostituito dal nuovo avviso accertamento, il quale, nella ricorrenza del presupposto della conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio, integra e modifica l’oggetto ed il contenuto del primitivo atto cooperando all’integrale determinazione progressiva dello’oggetto dell’imposta, conservando ciascun atto la propria autonoma esistenza ed efficacia… L’atto di autotutela (che noi abbiamo definito “sostitutiva”)
, al contrario, assume ad oggetto un precedente atto di accertamento che è illegittimo, ed al quale si sostituisce con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell’atto…”.
Ecco che allora
in sede di difesa potranno contestarsi, nel caso:
  • l’emissione di un nuovo atto sostitutivo di quello originario, ma nel quale siano state inserite modifiche sostanziali e/o vi sia una diversa valutazione del medesimo materiale probatorio;
  • l’integrazione di accertamento attraverso un secondo atto che non si fondi su elementi nuovi o non conosciuti/conoscibili al momento del precedente accertamento;
  • l’illegittima riapertura dei termini per l’accertamento tramite tali atti sostitutivi o integrativi.
Tutto questo, come sancito dai giudici della CTP Lecce con la Sentenza n. 145del 29/01/2013, anche e soprattutto nel tentativo di ribadire la necessità di “
…salvaguardare la concentrazione delle attività di verifica e accertamento, scongiurando uno stillicidio di iniziative inquisitorie…”.