La disciplina fiscale dei conferimenti di partecipazioni di minoranza post riforma
di Luciano SorgatoPaolo Meneghetti - Comitato Scientifico Master Breve 365Il prossimo 31.12.2024 entrerà in vigore il D.Lgs. 192/2024 (Decreto Ires/Irpef) che ribadisce, senza l’apporto di modifiche rispetto alla versione letterale rinvenibile nel precedente Decreto legislativo del 30 aprile 2024, che: “Quando la società conferitaria non acquisisce il controllo di una società ai sensi dell’art 2359, primo comma, n. 1), del codice civile ……le disposizioni di cui al comma 2 dell’art.177 (che prevedono il regime fiscale del cd realizzo controllato) trovano comunque applicazione se sussistono entrambe le seguenti condizioni:
a)le partecipazioni conferite rappresentano una percentuale di d Il iritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20% oppure una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento…..
b) le partecipazioni sono conferite in uan società esistente o di nuova costituzione, partecipata unicamente dal confereente o nel caso il conferente sia una persona fisica, dal conferente e dai familiari di cui all’art 5, comma 5 Tuir.
Con l’articolo 11 bis, D.L. 34/2019, il legislatore ha proceduto ad estendere, anche ai conferimenti di partecipazioni non di controllo, il regime fiscale del “realizzo controllato” attraverso l’introduzione nell’articolo 177, comma 2bis, Tuir.
Dal riportato testo è preliminarmente chiaro come la norma (comma 2 bis) s’incastri in quella che la precede (comma 2) relativa ai conferimenti delle partecipazioni di controllo di diritto, venendo a costituire una sorta di tracciato normativo unitario con una complessiva più ampia latitudine di fattispecie di conferimento riconducibili al regime fiscale del c.d. “realizzo controllato”.
Venendo alle peculiarità del comma 2 bis, sul piano oggettivo le partecipazioni conferite devono contrassegnarsi come partecipazioni qualificate di minoranza, secondo lo spartiacque, ora abrogato, a seguito dell’introdotta uniformità di applicazione della ritenuta alla fonte su tutti i capital gain, vigente in materia di plusvalenze da cessione di partecipazioni.
Prima della modifica prevista nel testo sopra riportato, la società conferitaria, già esistente o di nuova costituzione doveva risultare interamente partecipata dal solo conferente. Era, quindi, ammessa la sola configurazione della società a socio unico.
Il nuovo testo consente ora anche la coesistenza nella qualità di soci dei familiari, di cui all’articolo 5, comma 5, Tuir.
Tale estensione di base sociale consente di ritenere risolto il problema del conferimento della partecipazione intestata ad un solo coniuge che la detiene, però, in regime di comunione legale , ai sensi dell’articolo 177, cod. civ.
L’articolo 177 cod. civ., nel disciplinare il regime civilistico della comunione legale, raccorda ad ognuno dei due coniugi una quota ideale del diritto di proprietà, senza però che si renda riferibile ad una porzione individuata del bene (nel caso in questione della partecipazione). Trattasi, infatti, di un paradigma di comunione senza quote, dal momento che il riparto del diritto della proprietà s’interseca con la particella infinitesimale del bene, senza consentire alcuna percepibile divisione. Per la Corte di Cassazione (sentenza n. 19689/2014), nonché per il documento IRDCEC n. 26/2013, le partecipazioni in società di capitali vanno incluse nella comunione immediata dei due coniugi, ad ognuno dei quali spetta una quota ideale del diritto di proprietà sulla partecipazione non riferibile ad una porzione individuata della medesima, ma che consente ad entrambi di esercitare il proprio diritto di proprietà sull’intera quota.
In ordine alla questione se una partecipazione intestata ad un unico socio, ma in regime di comunione legale, poteva essere ritenuta, se conferita, allineata al requisito di legge in ordine alla configurazione unipersonale della società conferitaria, chi scrive riteneva di dover sottolineare che doveva essere considerato che una quota di partecipazione di una società di capitali riunisce una doppia prerogativa giuridica:
1) lo status di socio e
2) il diritto di proprietà sull’asset patrimoniale.
Lo status contrattuale di socio verso la società (in ordine alla quale si deve accertare la rispondenza al requisito di legge) è esercitabile solo dal socio intestatario della partecipazione, come esso risulta dall’apposita pubblicità presso il Registro delle Imprese territorialmente competente. L’articolo 2470, cod. civ., è chiaro nel raccordare il fondamento costitutivo dello status di socio nei confronti della società al regine di pubblicità del Registro delle imprese, per cui va ritenuto che un conto è la convergenza unitaria del diritto di proprietà sull’asset patrimoniale, ed altro è la specifica connotazione dello status di socio nei confronti della società. Quest’ultima è tenuta alla rispondenza dei diritti sociali nei soli confronti del soggetto che ha esternato attraverso l’esclusiva modalità di legge (’iscrizione nel Registro delle Imprese) lo status di socio.
La condivisione dei diritti di proprietà sull’asset patrimoniale va, quindi, ritenuta estranea all’espressione contrattualistica della partecipazione esperibile verso la società. Trattasi di una prerogativa che gode il solo coniuge intestatario della partecipazione e che, quindi, a parere di chi scrive, non consente di configurare la società come una società a base sociale pluralistica. Neppure sulla questione in esame può incidere il riparto paritetico dei dividendi distribuiti dalla società, in quanto esso attiene alle dinamiche giuridiche del regime della comunione sull’asset patrimoniale della partecipazione e sulla misura legale del riparto dei suoi frutti, ma non attiene al diritto sociale che promana dallo status di socio il quale, nei confronti della società, rimane unico ed esclusivamente incentrato in capo al coniuge intestatario della partecipazione.
Si tratta di due situazioni giuridiche che, pur intersecandosi su un unico bene, rimangono del tutto autonome sul piano delle relative prerogative giuridiche verso la società ed in ordine al regime della comunione legale. Ora, con la nuova previsione che consente l’inclusione nella base sociale anche dei familiari di cui all’articolo 5, comma 5, Tuir, la questione, al di là delle rappresentate riflessioni civilistiche, può dirsi definitivamente risolta.