20 Gennaio 2014

La difficile prova delle cessioni intracomunitarie

di Adriana Padula
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L’Amministrazione finanziaria, con risoluzione 25 marzo 2013, n. 19/E, espone nuove soluzioni operative per dipanare il problema della difficile prova delle cessioni intracomunitarie. Nel regime temporaneo degli scambi comunitari, le cessioni realizzate con controparti residenti in altro Paese membro costituiscono operazioni non imponibili ai fini IVA, ai sensi dell’art. 41 del d.l. n. 331/1993. Tuttavia, affinché il regime di esenzione possa essere riconosciuto in capo al cedente legittimato alla emissione della fattura senza applicazione della imposta, è necessario che lo stesso possa dimostrare l’avvenuto trasferimento delle merci che hanno formato oggetto della transazione ad altro Stato della Comunità.

La prova dell’avvenuto trasferimento è posta a carico del cedente residente, il quale, in ossequio ai principi espressi dalla Corte di giustizia europea e ripresi dagli ultimi interventi della Cassazione, è liberato da ogni responsabilità solo nel caso in cui possa dimostrare che è “stato tratto in inganno (dal cessionario non residente) nonostante avesse adottato le opportune cautele per evitare tale aggiramento” (Cass. sent. 24 maggio 2013, n. 12964).

La problematica si presenta con maggiore pregnanza nel caso in cui la cessione intracomunitaria avvenga con clausola “franco fabbrica”, ovvero quando il trasporto è effettuato dal cessionario estero mentre l’operatore italiano si limita a mettere le merci cedute nella disponibilità di questi. Al ricorrere delle predette condizioni, il venditore non esercita alcun controllo sulla movimentazione fisica dei beni e potrebbe essere chiamato a versare l’IVA qualora, in sede di verifica, emerga che detti beni non hanno abbandonato l’Italia e siano stati, invece, immessi al consumo nel territorio dello Stato.

Con la citata risoluzione 25 marzo 2013, n. 19/E, l’Agenzia ha avallato la soluzione prospettata dal contribuente il quale, per le cessioni con clausola “franco fabbrica” riteneva che potesse costituire valido elemento di prova della cessione intracomunitaria equipollente alla lettera di vettura internazionale (CMR), un insieme dei documenti da cui si possano ricavare tutti gli elementi presenti nel CMR e, più ne dettaglio, le firme dei soggetti coinvolti, ovvero: il cedente, il vettore incarico dall’acquirente per presa in carico, e il cessionario per ricevimento. A tale proposito, l’istante ha proposto a titolo esemplificativo una elencazione di documenti utili a sostituire, nel loro complesso, i contenuti esplicitati nella lettera di vettura, e in particolare:

  • DDT con presa in carico della merce da parte del trasportatore, firmato o meno per ricezione da parte del cliente;
  • lettera del trasportatore di presa in carico della merce e estratti dal registro dello stesso che dimostrano l’avvenuta consegna;
  • ordine o contratto d’ordine del cliente;
  • pagamento della merce da parte del cliente;
  • attestazione del cliente che conferma l’avvenuta ricezione della merce.

L’Agenzia si è quindi pronunciata in favore della valenza probatoria di tali documenti che, in virtù di quanto esplicitato nella precedente risoluzione 28 novembre 2007, n. 345/E, devono essere conservati unitamente alla fattura di vendita, alla documentazione bancaria attestante il pagamento della fornitura, gli elenchi riepilogativi Intrastat e alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti.

Quanto alla tempistica con cui il contribuente deve adoperarsi per procurarsi i mezzi di prova della cessione intracomunitaria, l’Amministrazione, pur riportando il principio espresso dalla Corte di giustizia europea secondo cui non sussiste un termine perentorio in tal senso, precisa che il contribuente debba provvedere comunque “senza indugio”, osservando il principio dell’ordinaria diligenza dell’operatore commerciale.

Assonime con propria circolare del 1° luglio 2013 n. 20 a commento della risoluzione 25 marzo 2013, n. 19/E, sempre con riferimento alle cessioni “franco fabbrica”, appronta alcune soluzioni operative consistenti nell’apposizione, nei rapporti negoziali tra cedente nazionale e cessionario comunitario, di una serie di vincoli contrattuali a tutela del buon fine dell’operazione. In forza di tali clausole, il cessionario comunitario, ad esempio, si obbligherebbe a comunicare al venditore il mancato ricevimento dei prodotti ovvero la consegna di questi in un luogo diverso da quello originariamente pattuito.

La questione della prova della cessione comunitaria, non può considerarsi, tuttavia, risolta con l’ultimo contributo di prassi amministrativa. Il clima di incertezza in cui i contribuenti operano scaturisce dalla mancata specificazione sul piano legislativo dei mezzi di prova considerati giuridicamente rilevanti. Le soluzioni prospettate da Assonime, d’altro canto, operano a tutela della posizione del contribuente italiano nei rapporti privatistici che lo vincolano alla controparte non residente, senza risolvere il problema sul lato delle contestazioni che potrebbero essere mosse dagli organi verificatori. Si capisce che il legislatore dovrebbe farsi onere di individuare delle soluzioni inequivoce e di semplice attuabilità, in ossequio al principio di proporzionalità nelle misure tributarie.