7 Settembre 2017

La declinazione dell’onere della prova nel processo tributario

di Angelo Ginex
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Il processo tributario ha carattere dispositivo in quanto la materia del contendere è delineata dalle parti e non può essere ampliata dal giudice.

Infatti, ai sensi dell’articolo 7 D.Lgs. 546/1992, i poteri istruttori del giudice si esplicano nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, potendo soltanto integrare gli elementi probatori dalle medesime offerti, ma non svolgere un ruolo sostitutivo o supplente.

Pertanto, esiste, nel processo tributario, un onere di allegazione dei fatti che incombe sulle parti, con la conseguenza che il giudice non può fondare la decisione su fatti da esse non dedotti.

In linea generale, l’Amministrazione finanziaria è tenuta alla allegazione dei fatti costitutivi della maggiore pretesa vantata, cui adempie motivando adeguatamente l’atto impositivo. Invece, il contribuente deve allegare (e, successivamente, provare, se contestati) i fatti modificativi, impeditivi ed estintivi della pretesa fiscale o i fatti che fondano i propri diritti.

In tema di onere della prova, l’articolo 2697 cod. civ. stabilisce che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

Conseguentemente, deve ritenersi che nel processo tributario l’onere della prova è declinato come segue:

  1. l’onere di provare il fatto costitutivo della pretesa tributaria spetta all’Amministrazione finanziaria, la quale assume il ruolo di attore in senso sostanziale dal momento che vanta una maggiore pretesa fiscale;
  2. l’onere di provare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi della pretesa tributaria spetta invece al contribuente, che è attore in senso formale.

A tal proposito, si rileva che la parte deve valutare attentamente la prova dei fatti che offre, in quanto il documento, una volta depositato, non può più essere ritirato, anche se pregiudizievole. Nel processo tributario, trova applicazione infatti il principio di acquisizione probatoria, secondo cui i fatti sono valutabili se dedotti, a prescindere da quale parte lo abbia fatto.

In ogni caso, se l’ente impositore non dimostra la fondatezza della pretesa avanzata, è opportuno che il contribuente, pur non essendovi tenuto, offra diligentemente la prova dell’infondatezza della stessa, qualora ne sia in possesso.

Inoltre, bisogna tenere presente che la regola di giudizio sopra indicata vale quando l’oggetto del giudizio sia un diritto dell’ente impositore. Al contrario, vale la regola opposta quando l’oggetto del giudizio sia un diritto del contribuente (è il caso, ad esempio, delle liti di rimborso o di crediti d’imposta).

Al di là della situazione ordinaria sopra prevista, è possibile altresì che nel processo tributario trovino applicazione le presunzioni legali, che sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato ex articolo 2727 cod. civ..

Le presunzioni legali dispensano da qualunque prova coloro a favore dei quali sono stabilite ex articolo 2728 cod. civ., con la conseguenza che, in tali ipotesi, si realizza una inversione dell’onere della prova, in quanto la prova di un determinato fatto viene posta a carico di una delle parti.

A tal proposito, si evidenzia infine che le presunzioni legali si distinguono in:

  1. relative, quando l’ente impositore si limita alla dimostrazione del c.d. fatto base del meccanismo presuntivo ed al contribuente spetta fornire la prova contraria;
  2. assolute, quando il c.d. fatto noto è equiparato al c.d. fatto presunto e non è ammessa alcuna prova contraria.
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