19 Febbraio 2018

La contitolarità dello studio professionale fa scattare l’Irap

di Alessandro Borgoglio
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Il professionista contitolare di uno studio con il coniuge è responsabile di un’autonoma organizzazione, atteso l’apporto del coniuge professionista e contitolare dello studio alla sua attività professionale, risultando, pertanto, quest’ultima assoggettabile ad Irap. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza 1089/2018.

Si ricorda che, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite, deve ormai ritenersi pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui il requisito dell’autonoma organizzazione, presupposto impositivo dell’Irap, ricorre quando il contribuente:

  1. a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  2. b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (cfr. UU. 9451/2016, Cassazione 20796/2017).

Per quanto concerne, in particolare, la condizione di cui alla sopra riportata lett. b), riguardante l’impiego di personale, si rileva che, nell’ambito del mondo professionale, essa può prestare il fianco a diverse problematiche interpretative, perché i professionisti spesso si avvalgono di altri professionisti, il cui apporto lavorativo si integra ed anzi potenzia la prestazione professionale.

La Suprema Corte, occupandosi di queste problematiche, ha reiteratamente stabilito che lo studio associato configura di per sé, per gli immanenti effetti sinergici di accrescimento della capacità produttiva, presupposto di autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio dell’attività e rendendo, pertanto, tali studi associati soggetti all’Irap (ex pluris, Cassazione 3585/2017).

Che cosa accade, invece, se, anziché di una associazione professionale, si tratti di uno studio in contitolarità tra i due coniugi entrambi professionisti?

Di ciò si è occupata la Cassazione, con la sentenza in commento, affrontando il caso di due coniugi, entrambi avvocati, che, appunto, detenevano lo studio in contitolarità.

I Giudici di piazza Cavour hanno ricordato, innanzitutto, un loro precedente arresto, con cui era già stato stabilito che il presupposto dell’autonoma organizzazione, richiesto dall’articolo 2 D.Lgs. 446/1997, ricorre quando il professionista responsabile dell’organizzazione si avvalga, pur senza un formale rapporto di associazione, della collaborazione di un altro professionista (nella specie, del coniuge), stante il presumibile intento di giovarsi delle reciproche competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio  (Cassazione 1136/2017).

Nel caso oggetto della pronuncia in commento, il contribuente aveva cercato di opporsi alla pretesa, adducendo che, invero, il Fisco non aveva dimostrato in alcun modo la sussistenza di un’associazione professionale, che avrebbe potuto essere – questa sì – assoggettata ad Irap, trattandosi invece di uno studio in contitolarità (in sostanza, uno studio condiviso).

Gli Ermellini, però, non hanno avallato tale tesi, stabilendo che il professionista non aveva invero dimostrato l’irrilevanza di tale fattore (la contitolarità dello studio) rispetto alla sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione; né poteva revocarsi in dubbio che siffatto onere probatorio, incombendo sul contribuente, avrebbe dovuto sostanziarsi nella piena dimostrazione dell’assenza di rilevanza dell’attività del coniuge avvocato rispetto alla produzione di reddito e, conseguentemente, dell’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione, invece indubbiamente conclamato dalla presenza, all’interno del medesimo studio, di un altro legale capace di rafforzare, attraverso le proprie competenze, l’offerta dell’altro collega con il quale operava in regime di contitolarità. Da qui la decisione a favore del Fisco.

La pronuncia, in effetti, non stupisce più di tanto, se si considera che, proprio recentemente, gli stessi Supremi Giudici hanno stabilito che, addirittura, la sola collaborazione di un praticante nello studio professionale può determinare l’assoggettamento ad Irap, qualora la valutazione in concreto effettuata consenta di desumere un apporto ulteriore da parte di tale praticante all’attività individualmente esercitata dal professionista presso il quale questi svolga il tirocinio (Cassazione 1723/2018; conf., Cassazione 21563/2010; contra, Cassazione 8834/2009 e circolare AdE 45/E/2008, § 5.4.1).

Infine, sempre in relazione al caso di un avvocato, ancora recentemente i Supremi Giudici hanno statuito che non integra il requisito dell’autonoma organizzazione il sol fatto che un legale abbia corrisposto compensi per le domiciliazioni presso colleghi e per le procuratorie, se le stesse, rapportate all’ammontare dei suoi compensi, non indicano un significativo apporto di terzi (Cassazione 26332/2017).

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