13 Gennaio 2020

La continuità aziendale come finalità del concordato preventivo

di Roberto Giacalone
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Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza interviene in modo organico sulla disciplina del concordato preventivo, con lo scopo di rendere chiara la finalità di attuazione dell’istituto, ribadendo la centralità del concordato in continuità rispetto a quello liquidatorio.

L’innovazione legislativa iniziata nel 2012 con l’introduzione dall’articolo 186-bis L.F., mutava la finalità del concordato fino ad allora circoscritto soltanto a quella liquidatoria, come unico strumento di regolazione della crisi e introduceva, indirizzo confermato dall’articolo 4 Direttiva UE 2019/1023, la tutela della finalità della continuità dell’impresa.

La Direttiva UE, di fatto, obbliga gli Stati membri a provvedere, in presenza di una possibile insolvenza, che il debitore abbia accesso a un quadro di ristrutturazione preventiva che gli consenta la ristrutturazione al fine di impedire l’insolvenza e assicurare la sostenibilità economica, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l’impresa.

Tali principi sono stati trasfusi nel nuovo CCII nell’articolo 84, rubricato Finalità del concordato preventivo.

Al primo comma, la norma prevede che il debitore realizzi il soddisfacimento dei crediti mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio.

Viene in tal modo attribuita una tutela giuridica alla salvaguardia dell’impresa come entità economica, e, di conseguenza, la tutela dei posti di lavoro che ad essa è strettamente correlata.

L’articolo 84, comma 2, CCII, nell’ambito della continuità introduce la distinzione tra:

  • continuità diretta: quando essa è posta in capo all’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, la cui finalità deve essere quella di assicurare il rispristino dell’equilibrio economico e finanziario nell’interesse prioritario dei creditori;
  • continuità indiretta: quando sia prevista la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di un soggetto diverso dal debitore in forza di un contratto di cessione, di usufrutto o di affitto, che può essere stipulato anche anteriormente rispetto alla domanda di concordato, purché in funzione della presentazione del ricorso. La condizione posta dal legislatore alla continuità indiretta è che sia previsto dal contratto o dal titolo il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori che sia pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall’omologazione.

La norma, quindi, inserisce la condizione di tutela dell’occupazione, il cui mancato rispetto però non determina necessariamente una risoluzione per inadempimento del concordato in continuità, in quanto non interferisce sulla finalità primaria del concordato, ossia la miglior soddisfazione dei creditori, condizione posta invece a carico del debitore.

La norma, così come è stata redatta, pone in antitesi il fine della tutela dell’occupazione con la finalità propria del concordato preventivo ossia la soddisfazione degli interessi dei creditori.

L’articolo 84, comma 3, CCII, completa l’ipotesi della continuità aziendale anche nei concordati misti, quelli in cui viene prevista oltra la continuità aziendale, anche la liquidazione dei beni che non sono funzionali all’impresa.

La norma stabilisce, nel concordato preventivo misto, l’applicazione della condizione di prevalenza, che sussiste a condizione che i creditori possano essere soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale, compresa anche la cessione del magazzino.

Inoltre, la condizione di prevalenza viene sempre rispettata quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività d’impresa, alla quale sono addetti un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi precedenti al momento del deposito del ricorso.

Infine l’articolo 84, comma 4, CCII regola l’ipotesi del concordato liquidatorio, ritenendolo ammissibile solo nel caso in cui ai creditori vengano messe a disposizioni risorse ulteriori rispetto a quelle individuate nel patrimonio del debitore, fermo restando l’obbligo previsto dalla norma di soddisfazione minima del 20% dell’ammontare complessivo dei crediti chirografari.

La gestione della crisi d’impresa dopo l’introduzione del nuovo codice della crisi e dell’insolvenza