5 Maggio 2025

La contabilizzazione degli investimenti in vigneti

di Emanuele Arrighetti
Scarica in PDF

La viticultura rappresenta probabilmente, nel contesto del settore primario, l’attività maggiormente conosciuta in Italia e all’estero.

Nonostante la continua espansione e crescita del settore, derivante anche dall’afflusso di capitali dall’estero, il settore primario, ivi compreso quello enologico, continua a rimanere privo di uno specifico Principio contabile che possa guidare il redattore del bilancio in una corretta rappresentazione della realtà.

Tale necessità rappresenta ormai un passaggio ineludibile per rendere il settore maggiormente competitivo e performante.

In assenza di una guida certa, non è nemmeno possibile procedere con certezza a un’analisi comparativa nonché complessiva del settore.

 

Dal “diritto di reimpianto” alle “autorizzazioni all’impianto

La normativa di riferimento per l’impianto dei vigneti ha subito una sostanziale Riforma a seguito del Regolamento 1308/2013/UE, con effetto dal 1° gennaio 2016. La principale modifica introdotta ha comportato il passaggio da un sistema di “diritti di reimpianto” al sistema di “autorizzazioni all’impianto”.

Senza entrare nel merito del Regolamento citato, in questa sede basta osservare che le modifiche introdotte hanno correlato la concessione della facoltà di espianto al possesso del terreno (proprietà o affitto) e, quindi, all’utilizzatore. L’imprenditore agricolo può procedere a un nuovo impianto sulla stessa particella di terreno espiantata o su una diversa, purché di proprietà o comunque condotta dallo stesso soggetto.

L’autorizzazione è concessa a titolo gratuito e non può in alcun modo essere oggetto di scambio, neanche a titolo gratuito.

Il venir meno dei diritti d’impianto ha avuto un effetto anche sul bilancio delle società vitivinicole, in quanto gli stessi, avendo un proprio valore patrimoniale[1], erano capitalizzati fra le immobilizzazioni immateriali. Il passaggio al sistema delle autorizzazioni ha comportato l’impossibilità d’iscrizione del diritto fra le immobilizzazioni immateriali; conseguentemente, il valore residuo del diritto è stato in genere ammortizzato interamente a Conto economico già nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2016. Da un punto di vista fiscale, si ritiene che tale passaggio non dovesse comportare una variazione dei criteri di ammortamento[2].

Per quanto sopra, a oggi, sembrerebbe che quando si parla di vigneti e impianti degli stessi il concetto di “valore” collegato al diritto/autorizzazione all’espianto sia assolutamente da non considerare; ma è davvero così?

Si pensi alla contrattazione per l’acquisto di un terreno (o per il suo affitto) su cui insista un vecchio vigneto da espiantare. La parte acquirente (o affittuaria) potrebbe essere interessata all’operazione non tanto per il terreno in quanto tale, ma per l’autorizzazione all’espianto da esso richiedibile alla pubblica Autorità[3].

Appare, quindi, chiaro come nell’ambito delle contrattazioni fra le parti, in particolare negli atti di compravendita o di concessione in affitto di terreni con vigneti, venga ancora riconosciuto un plusvalore al terreno derivante dall’autorizzazione all’impianto.

 

Aspetti contabili degli impianti di vigneto

Anche in riferimento a quanto sopra, ogni singolo appezzamento vitivinicolo potrebbe essere idealmente scomposto in una componente materiale e in una immateriale, aventi entrambe un proprio valore, quantomeno in una fase di contrattazione con preponderanza di una o l’altra parte a seconda delle singole specificità dell’appezzamento stesso e del suo stato di conservazione.

La componente materiale a sua volta può essere suddivisa fra la quota correlata al terreno e quella all’impianto di vigneto sovrastante il terreno stesso. Ne consegue che il valore complessivo di un vigneto dipende da 3 fattori:

  1. terreno;
  2. impianto; e
  3. autorizzazione all’impianto.

Per quanto riguarda il terreno sicuramente 2 dei principali fattori per la sua valorizzazione sono la posizione geografica e la sua appartenenza o meno a una certa zona produttiva geograficamente ben delineata[4]. A completare il valore del terreno naturalmente concorrono, inoltre, le proprietà chimiche e fisiche dello stesso, l’esposizione e il clima, tutti fattori che hanno un riflesso diretto sul grado di qualità del vino ottenibile dalla superficie coltivata.

Come detto, almeno in linea teorica, l’analisi delle componenti di un vigneto può portare a una separata individuazione del valore correlato all’impianto, inteso come la coltivazione sovrastante la superficie.

Senza dubbio la preparazione di un terreno per la coltivazione vitivinicola richiede un ingente impegno sia in termini di tempo sia di mezzi finanziari: scasso del terreno, acquisto e messa a dimora delle barbatelle, allestimento di un impianto di irrigazione (ed eventualmente costruzione di un pozzo) sono lavorazioni che costituiscono, complessivamente considerati, un investimento materiale dai contorni ben definiti e che si protrae generalmente per circa 2 anni.

Infine, come anticipato, anche in un impianto di vigneto completamente da dismettere in una zona non particolarmente vocata vi può essere ancora un valore intrinseco immateriale, collegato alla possibilità di richiedere l’autorizzazione all’espianto dello stesso. Questa variabile è sicuramente la più difficile da individuare, essendo collegata non solo a elementi oggettivi (ad esempio, localizzazione) ma anche soggettivi (soprattutto in capo all’acquirente/affittuario) che possono anche variare nel tempo. La componente immateriale può, quindi, non esistere affatto, così come, invece, potrebbe essere la principale motivazione alla formalizzazione di un accordo contrattuale fra le parti.

Quanto sopra delinea una cornice ampia e articolata nella definizione di “vigneto”, che però non sembra immediatamente inquadrabile nell’ambito dei Principi contabili italiani. Per contro, alcuni riferimenti sono, invece, riscontrabili nell’ambito dei Principi contabili internazionali, in particolare lo Ias 41 “agricoltura” e lo Ias 16 “immobili, impianti e macchinari[5]. Secondo lo Ias 16, le attività biologiche costituite da piante fruttifere[6] sono considerate immobilizzazioni materiali, alla stregua di qualsiasi altro impianto e macchinario, e pertanto sono ammortizzabili nel tempo, mentre non è ammortizzabile il terreno “nudo” (ovvero, il puro suolo) in quanto si presuppone l’assenza di una perdita nel tempo di utilità e valore.

Tale impostazione si può perfettamente adattare alla scomposizione precedentemente ipotizzata del vigneto fra terreno e vitigno sovrastante.

Volgendo l’attenzione ai Principi contabili italiani si può osservare che tale separazione contabile sembra percorribile almeno nei casi in cui siano oggettivamente scindibili i 2 valori (si pensi all’allestimento del vigneto su un terreno già di proprietà). Nel caso di acquisto di terreno agricolo con impianto di vigneto già presente, invece, occorre evidenziare che tale scissione, sebbene auspicabile[7], potrebbe essere messa in discussione sulla base del principio di accessione, secondo il quale la proprietà del suolo si estende verticalmente allo spazio sovrastante e pertanto l’acquisto del terreno agricolo sembra attrarre anche quello delle piante innestate[8].

Occorre infine sottolineare che, mentre nei Principi contabili italiani vi è un riferimento esplicito ai terreni agricoli fra gli esempi di voci classificabili fra i “terreni e fabbricati”, nessun richiamo viene fatto al vigneto inteso come impianto[9], benché la definizione di immobilizzazione materiale[10] fornita dall’Oic 16 potrebbe adattarsi anche alla realtà dei vigneti.

In assenza di linee guida, quanto sopra ha comportato che in passato ci si è chiesti se i costi per gli impianti di vigneto non fossero da inquadrare non come immobilizzazioni materiali, bensì quali oneri pluriennali (quindi, fra le immobilizzazioni immateriali). Tale dubbio sembra adesso chiarito anche in ambito dei Principi contabili domestici in virtù di quanto affermato, seppur in ambito fiscale, con la risoluzione n. 27/E/2003. L’Agenzia delle entrate ha, infatti, affrontato la tematica della riconducibilità degli investimenti in vigneti al beneficio della c.d. “Tremonti bis”, affermando che il beneficio in questione non potesse applicarsi all’acquisto dei terreni ma che, invece, operasse con riferimento all’impianto di nuovi vigneti e alle spese sostenute per l’ammodernamento di quelli preesistenti. Con riferimento agli stessi, l’Agenzia delle entrate ha, inoltre, specificato che “il complesso[11] dei suddetti beni così organizzati … costituisce un impianto …”.

La classificazione degli impianti di vigneto fra le immobilizzazioni materiali anche in applicazione dei Principi contabili italiani consente di riallineare il loro trattamento contabile domestico a quello internazionale.

Tuttavia, le tabelle dei coefficienti di ammortamento di cui al D.M. 31 dicembre 1988 ancora non ricomprendono gli impianti di vigneto. Per tale motivo, la risoluzione n. 27/E/2003[12] ricordata faceva salva la regola già espressa nella circolare n. 11/1991, in base alla quale, in virtù dell’assenza di un’aliquota di ammortamento, a tali costi si considerano applicabili le regole previste per le spese relative a più esercizi e, pertanto, sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio.

A ciascun redattore del bilancio di una società vitivinicola è pertanto richiesto di individuare un criterio per ripartire nel tempo il costo dell’investimento. Generalmente, a investimento concluso, si attendono almeno 2/3 anni prima di considerare il vigneto in produzione e, pertanto, in tale periodo non si procede a imputare a Conto economico alcun costo per ammortamento. Successivamente, la vita utile del vigneto può essere stimata contabilmente attorno ai 15 anni, anche se alcune stime potrebbero superare anche i 20 anni. La valutazione è rimessa alla singola realtà aziendale sulla base dell’esperienza maturata e nell’ottica di un’applicazione duratura nel tempo del medesimo criterio[13].

L’aliquota di ammortamento, definita sulla base della vita utile, rappresenta di fatto una sintesi applicata all’investimento “vigneto” considerato nel suo insieme, vale a dire al complesso di beni organizzati a tale scopo, come ha anche avuto modo di evidenziare l’Agenzia delle entrate. Tuttavia, barbatelle, pali, fili, tubi per l’irrigamento, etc., possono avere vite utili anche molto diverse fra loro e può capitare che alcune di queste componenti vengano sostituite prima che siano completamente ammortizzate, oppure, al contrario, che la vita utile del singolo bene si protragga anche successivamente al termine dell’ammortamento. Questa seconda ipotesi, soprattutto nei casi in cui sia provata una costanza nell’adozione del medesimo criterio di ammortamento, non dovrebbe creare potenziali rischi di disconoscimento fiscale del comportamento contabile adottato.

La prima ipotesi offre, invece, la possibilità di affrontare un ulteriore aspetto: l’eventuale sostituzione di pali, filari, etc., assume il connotato di manutenzione ordinaria o straordinaria e quali riflessi comporta rispetto al cespite “vigneto” originario[14]?

Il Principio Oic 16, in tema di manutenzione ordinaria e straordinaria, richiama il concetto di “rinnovo[15] che sembra potersi applicare al nostro caso. In particolare, si può ritenere che il costo per la sostituzione di alcune componenti dell’investimento iniziale sia compatibile con l’intento di “mantenerne l’integrità” e pertanto sia corretto gestire tali interventi come manutenzione ordinaria da imputare a Conto economico. Medesimo trattamento dovrebbe applicarsi anche alla sostituzione di alcune barbatelle (ad esempio, non sopravvissute all’impianto). Questa impostazione consentirebbe anche di superare il dubbio se l’investimento complessivo nel vigneto possa o meno considerarsi una unità economico-tecnica così come trattata dal Principio Oic 16 al § 45 e, quindi, la necessità di individuare diversi orizzonti temporali di vita utile.

Diverso sarebbe, invece, il caso di un evento straordinario che comporti – per scelta aziendale[16] o per necessità imposta[17] – un intervento sostitutivo massivo di barbatelle e/o filari: in questi casi sembrerebbe più corretto stralciare il valore contabile residuo dell’investimento originario e successivamente capitalizzare i costi per la sostituzione.

Gli interventi sui vigneti possono, tuttavia, anche essere frutto di migliorie e incrementi effettuati nel corso degli anni. Si pensi per semplicità all’impianto di un vigneto e successivamente, a distanza di qualche anno, alla costruzione di reti di recinzione per fronteggiare, ad esempio, il rischio arrecato dagli ungulati o altri animali selvatici alla coltivazione.

In tali casi è lecito domandarsi quale sia il corretto trattamento contabile da riservare alla recinzione: considerata la sua probabile utilità pluriennale la spesa non andrebbe considerata come corrente. Tuttavia, vi potrebbe essere qualche dubbio sulla capitalizzazione e, in particolare, se considerarla a diretto incremento dell’investimento “vigneto” originariamente effettuato o se, invece, come voce autonoma. Nella generalità dei casi la prima opzione dovrebbe essere quella che maggiormente soddisfa la rappresentazione contabile dell’utilità della recinzione, per sua natura asservita a tutela delle viti.

Un’altra fattispecie interessante da analizzare da un punto di vista contabile è legata agli impianti di vigneto detenuti in virtù di contratti di affitto o di leasing: l’impianto di un nuovo vigneto su un terreno detenuto, ad esempio, in virtù di un contratto di affitto di fondo rustico come può essere contabilmente rilevato?

Il Principio Oic 24 e l’Appendice A dello stesso indicano come capitalizzabili fra le altre immobilizzazioni immateriali le spese per migliorie su beni presi in locazione se non sono separabili dai beni stessi. È indubbio che nell’ipotesi in cui si proceda a un reimpianto su un terreno condotto in affitto lo stesso possa rientrare in tale fattispecie, in quanto non separabile dal suolo. Per questi costi è previsto che, in quanto migliorie su beni di terzi, l’ammortamento sia effettuato nel periodo minore tra quello di utilità futura delle spese sostenute e quello residuo della locazione, tenuto conto dell’eventuale periodo di rinnovo, se dipendente dal conduttore.

Il riferimento al periodo residuo della locazione apre ipoteticamente lo scenario a tempistiche di ammortamento anche molto brevi che però ben difficilmente dovrebbero trovare riscontro nella realtà: generalmente, infatti, il conduttore che decida di impiantare un vigneto su un terreno non di sua proprietà dovrebbe averne assicurato l’utilizzo[18] per un arco di tempo almeno sufficiente per il ritorno economico dell’investimento stesso e, quindi, un orizzonte temporale quantomeno paragonabile alla vita utile futura del vigneto. Non di rado, dunque, il medesimo criterio di riparto visto per gli impianti effettuati su terreni in proprietà dovrebbe potersi applicare anche ai vigneti costruiti su terreni detenuti in affitto.

Precedentemente si è accennato alla possibilità che anche il “diritto” di impianto possa avere ancora un “valore” all’interno di una contrattazione fra le parti, benché, come detto, tale valore non possa più in alcun modo essere separato dal terreno. Prima della modifica normativa, i “diritti di impianto” potevano essere compravenduti e, pertanto, non vi erano dubbi sulla possibilità di capitalizzarli fra i beni immateriali ammortizzandone il relativo costo. Il passaggio al concetto di autorizzazione e alla gratuità della stessa ha comportato il venir meno di tale possibilità, e quindi, l’impossibilità di procedere a capitalizzazioni e ammortamenti. Pertanto, in caso di compravendita/affitto di un terreno vitato, si ritiene che l’ipotetico valore collegato all’autorizzazione all’espianto sia, a oggi, da attrarre al costo del terreno e in quanto tale non ammortizzabile[19]. La rappresentazione in bilancio delle autorizzazioni al reimpianto sembra essere uno dei principali temi che potrebbero essere approfonditi e resi omogenei e confrontabili grazie a un Principio contabile di settore.

Un ultimo aspetto che merita di essere ricordato è il trattamento contabile da riservare ai contributi ottenuti dalle imprese a parziale copertura dei costi sostenuti per la ristrutturazione dei vigneti. Si ritiene che tali contributi debbano essere inquadrati come in conto impianti e pertanto contabilizzati alternativamente a diretta riduzione dei costi dell’investimento, oppure, riscontati a Conto economico proporzionalmente alle quote di ammortamento, tenuto conto anche in questo caso, naturalmente, del periodo necessario affinché l’investimento possa considerarsi “entrato in funzione”. Il Principio Oic 16 stabilisce che la rilevazione del contributo in conto impianti possa avvenire quando esiste una ragionevole certezza che le condizioni previste per il riconoscimento siano soddisfatte. In merito, si può evidenziare che generalmente i bandi a cui partecipano le aziende agricole sono caratterizzati da una prima fase di istruttoria e di approvazione da parte dell’ente preposto. Il requisito della ragionevole certezza comporta la necessità di interrogarsi ulteriormente su quale sia il momento in cui il contributo possa ritenersi acquisito e se in particolare occorra attendere il momento del “collaudo” da parte dell’Autorità preposta al controllo. Nel caso specifico dei contributi a fronte di lavori su impianti di vigneto si può ritenete che la realizzazione degli stessi a fronte e nel rispetto di un piano di investimento già approvato in fase istruttoria possa già prefigurare il requisito di “ragionevole certezza” sulla spettanza[20]. Su questo aspetto è comunque utile ricordare che per sua natura l’ammortamento dell’investimento in vigneti non inizia al termine dei lavori ma, come visto, solo successivamente, vale a dire al momento dell’entrata in produzione del vigneto (e, quindi, di norma almeno 2 anni dopo la conclusione dei lavori). L’arco di tempo intercorrente fra l’ultimazione dei lavori e la rilevazione dell’ammortamento potrebbe anche essere sufficiente affinché sopraggiunga la verifica finale da parte dell’Autorità preposta al controllo.

 

 

[1] Il diritto di impianto poteva, infatti, essere oggetto di una specifica compravendita a terzi.

[2] Di conseguenza, il valore residuo ammortizzabile poteva essere ancora dedotto come spesa pluriennale, con una correlata ripresa in aumento del reddito nel primo anno (quello di abbattimento contabile del costo) e successive riprese in diminuzione del reddito negli esercizi successivi.

[3] Tale valutazione può essere fatta nel rispetto dei vincoli imposti in tema di trasferibilità delle autorizzazioni all’espianto a livello regionale e/o fra “denominazioni aperte” e “denominazioni chiuse”: in caso di denominazioni aperte è possibile trasferire l’autorizzazione all’espianto da un terreno all’altro seppur geograficamente lontani.

[4] Negli ultimi anni il valore delle superfici a vite ha superato quello dei frutteti evidenziando altresì una differenza fra le diverse denominazioni del nostro Paese, basti citare il territorio del Barolo che costituisce certamente la punta di diamante in Italia in termini di valore a ettaro (circa 1,5 milioni, con alcune punte che sono arrivate a cifre assimilabili alla Borgogna francese).

[5] Come risaputo, i Principi contabili internazionali prediligono la sostanza economica degli eventi aziendali, rispetto alla pura forma degli stessi.

[6] Una pianta fruttifera è definita come pianta viva usata per la produzione o fornitura di prodotti agricoli da cui ci si attende che produca per più di un esercizio e con una remota possibilità di essere venduta come prodotto agricolo, fatta eccezioni per le vendite residuali di cascami (Ias 16 e Ias 41, definizioni).

[7] Una possibile perizia tecnica di stima potrebbe scomporre il valore fra terreno e vigneto confrontandolo, ad esempio, con il prezzo di mercato di un terreno agricolo “nudo” paragonabile. Anche così, tuttavia, la scomposizione potrebbe non essere ancora del tutto soddisfacente, stante il fatto che parte del valore di compravendita di un terreno vitato è collegato anche ad altri fattori, fra cui il collegamento diretto del vitigno con una etichetta di vino pregiato, in un legame pressoché inscindibile fra terreno e marchio.

[8] Cfr. F. Crovato, “La disponibilità dei terreni agricoli per l’esercizio dell’attività: terreni in proprietà, leasing e affitto di fondo rustico” in La fiscalità del Food and Beverage, Rimini, 2021.

[9] E in particolare fra gli impianti specifici, in quanto legato alle tipiche attività produttive dell’azienda.

[10] Le immobilizzazioni materiali sono beni tangibili di uso durevole costituenti parte dell’organizzazione permanente delle società, la cui utilità economica si estende oltre i limiti di un esercizio. Il riferirsi a fattori e condizioni durature non è una caratteristica intrinseca ai beni come tali, bensì alla loro destinazione. Esse sono normalmente impiegate come strumenti di produzione del reddito della gestione caratteristica e non sono, quindi, destinate alla vendita, né alla trasformazione per l’ottenimento dei prodotti della società.

[11] La risoluzione specifica che la predisposizione di un vigneto comporta la realizzazione di investimenti in fattori produttivi di una certa complessità, come, ad esempio, le barbatelle (piantine di vite), pali di legno o di cemento, filari di acciaio, tubi per l’irrigazione.

[12] Medesima impostazione è stata confermata anche con la circolare n. 98/E/2000.

[13] In linea di massima, generalmente l’arco temporale in cui si ammortizzano i costi sostenuti per un vigneto è, comunque, più ristretto alla vita biologica della pianta.

[14] La sostituzione di alcuni elementi dell’investimento originario può derivare da diversi fattori, non per ultima la qualità dei materiali utilizzati.

[15] Il rinnovo comporta una sostituzione e può riguardare uno specifico cespite, ovvero, un’immobilizzazione materiale che costituisce un’unità economico-tecnica. La sostituzione di un’immobilizzazione comporta la capitalizzazione del costo di acquisizione della nuova unità, mentre il valore netto contabile dell’unità sostituita è stornato, imputando l’eventuale minusvalenza alla voce B14 “oneri diversi di gestione” del Conto economico. Il rinnovo può tuttavia riguardare anche solo parte di un’immobilizzazione materiale per mantenerne l’integrità originaria. In questo caso i costi sostenuti a tale scopo sono costi di manutenzione ordinaria.

[16] Ne potrebbero essere un esempio i sovrainnesti di una nuova varietà.

[17] Si pensi per semplicità a un evento atmosferico che distrugga parzialmente il vigneto.

[18] È appena il caso di ricordare che il contratto di affitto di fondo rustico prevede una durata minima predeterminata per legge di almeno 15 anni, salvo diversi patti in deroga. Ipotizzando che l’investimento possa avvenire subito dopo la stipula del contratto di affitto ecco che durata residua dello stesso e vita utile del vigneto (che abbiamo visto poter essere individuata in un arco temporale di circa 17 anni, comprendendo il periodo non produttivo) già tenderebbero a somigliarsi.

[19] Il mancato ammortamento di una quota di costo almeno teoricamente correlato alle autorizzazioni risulta comunque coerente anche in ottica gestionale, in quanto altrimenti confluirebbe fra i costi di produzione di poche annate vitivinicole.

[20] La suddetta impostazione comporterebbe, quindi, l’adozione preferenziale del principio della competenza anziché di quello per cassa.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Bilancio, vigilanza e controlli”.