21 Dicembre 2018

La conoscenza del dissesto non scrimina l’omessa Iva del liquidatore

di Angelo Ginex
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Ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento dell’Iva, non rileva come causa di forza maggiore, idonea a scriminare la condotta del liquidatore, la presenza di uno stato di dissesto imputabile alla precedente gestione, quando risulta che al momento dell’accettazione dell’incarico il reo fosse consapevole della crisi di liquidità e potesse fronteggiarla mediante idonee iniziative. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 52851 del 23.11.2018.

La vicenda muove dalla condanna del liquidatore di una società per omesso versamento dell’Iva ex articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000, confermata poi in appello dai giudici di seconde cure.

Avverso detto provvedimento di condanna il reo proponeva, dunque, ricorso in Cassazione, ex articolo 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., per erronea applicazione dell’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000 e per illogicità della motivazione, sull’assunto che quanto statuito dai giudici del gravame contrasterebbe con i principi generali in tema di colpevolezza ed elemento soggettivo, uniformanti l’ordinamento penale.

In particolare, stando alle doglianze del ricorrente, il giudice d’appello avrebbe ravvisato una rimproverabilità del fatto assolutamente irrintracciabile nel caso concreto e contrastante con la finalità della fase liquidatoria, ossia quella di reperire liquidità atta a sanare i debiti sociali, tra i quali figurano anche quelli tributari.

Infatti, pur avendo curato la redazione dei bilanci dell’ultimo triennio in qualità di commercialista della società e avendo, dunque, acquisito compiuta consapevolezza dello stato patrimoniale della società, il reo non avrebbe potuto evitare la commissione del reato, a causa del dissesto procurato dalla precedente gestione.

Pertanto, secondo il ricorrente, il giudice avrebbe errato nel ritenere la fattispecie di omesso versamento dell’Iva come frutto di una scelta deliberata da parte del liquidatore, e non quale effetto di una scelta obbligata, imposta dalla mala gestio dei precedenti amministratori.

I Supremi giudici, tuttavia, rigettando il ricorso del reo, hanno nel merito ribadito i rapporti tra il reato di omesso versamento dell’Iva, di cui all’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000, e la causa di esclusione della responsabilità della forza maggiore, ex articolo 45 c.p.

Più precisamente, da valorizzarsi sarebbe la circostanza dell’esecuzione dell’incarico di commercialista, dal quale deriverebbe la conoscenza della reale situazione patrimoniale dell’impresa.

Dunque, accettando la nomina di liquidatore ed assumendosene gli oneri, il reo avrebbe consapevolmente e deliberatamente distratto le somme destinate al pagamento dei debiti tributari, anteponendo la risoluzione di problematiche interne inerenti al pagamento dei dipendenti.

È detta ultima circostanza, nella specie, a non rivestire i connotati di scriminante del reato di cui all’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000, in quanto, stando agli ultimi approdi giurisprudenziali, lo stato di forza maggiore, disciplinato dall’articolo 45 c.p., presuppone l’esistenza di un evento imprevedibile ed imponderabile che non è dato scorgere nello stato di dissesto, allorché il liquidatore, conscio dello stesso, sia stato nella possibilità di compiere delle operazioni per fronteggiare detta situazione (cfr. Cass., sent. n. 43599/2015).

Inoltre, al fine dell’accertamento della fattispecie criminosa sarebbe sufficiente la sola presenza del dolo generico, integrato dalla volontà di porre in essere la condotta omissiva, essendo completamente irrilevante l’elemento psicologico che ha condotto il reo all’omesso versamento.

Pertanto, nel caso di specie, a nulla rileva la comprensibile necessità di doversi occupare di altre impellenze, al fine della commissione del reato di omesso versamento dell’Iva.

Da ultimo, i giudici di legittimità hanno avuto cura di precisare che ai fini dell’accertamento della responsabilità penale del soggetto ha inciso la durata della sua gestione aziendale, la quale ha ricompreso sia il momento della dichiarazione fiscale, sia quello dell’inadempimento del versamento.

Da ciò si è desunta, dunque, la presenza del dolo che ha condotto il soggetto a pretermettere integralmente il versamento dell’imposta e a non prendere in considerazione l’ipotesi di pagarla, pur parzialmente.

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