5 Febbraio 2015

La confisca degli utili della società per la responsabilità “231”

di Luigi Ferrajoli
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Con la pronuncia n. 53430 depositata in data 22.12.2014, la sesta Sezione della Suprema Corte ha affermato che il
profitto del reato presupposto confiscabile ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs. n. 231/2001 non va identificato con l’intero valore del rapporto contrattuale, ma deve essere limitato all’effettivo incremento del patrimonio dell’ente
conseguito illegittimamente.
Nel caso di specie, veniva contestato a carico di una società il reato di
truffa ai danni dello Stato per avere – il rappresentante legale della medesima -, tramite artifizi e raggiri, posto in essere condotte di
turbativa d’asta attraverso l’assegnazione di
incarichi di consulenza in assenza della procedura selettiva prevista per Legge.
Il Gip di Milano aveva pertanto disposto il
sequestro preventivo per un valore complessivo pari ad euro 560.000,00, poi confermato dal Tribunale delle Libertà della medesima città, a cui aveva fatto seguito il ricorso in Cassazione da parte della società in questione. Con la sentenza in esame, la Suprema Corte ha tuttavia annullato l’ordinanza di sequestro ex
art. 53 prevista dal citato
D. Lgs. n. 231/2001 accogliendo il ricorso proposto.
Come noto, il citato decreto prevede che, a carico delle società, possa essere ascritta la responsabilità penale per alcuni reati (c.d.
reati presupposto) commessi da soggetti in posizione apicale (amministratori, dirigenti) ovvero sottoposti alla direzione o vigilanza di questi, nell’interesse o a vantaggio delle società stesse.
In particolare, in forza dell’
art. 19, il giudice, in sede di condanna, può disporre nei confronti dell’ente stesso la
confisca non solo
del prezzo o del profitto del reato, ma anche – qualora ciò non sia possibile – delle
somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente a tale prezzo o profitto (c.d. confisca per equivalente). L’
art. 53 stabilisce, inoltre, che il giudice, nel corso del processo e prima di giungere alla sentenza di condanna, può disporre il
sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’art. 19 (e, quindi, anche per equivalente, del prezzo o profitto del reato).
Nell’articolata motivazione in esame, la Suprema Corte ha analizzato la
natura e i
parametri per l’assoggettamento
a confisca (e relativo sequestro)
del profitto.
Nel ribadire il principio stabilito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 26654/08, secondo cui il
profitto del reato si sostanzia nel “
complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti”, la Corte ha tracciato un netto
discrimen fra profitto conseguente da un ”
reato contratto” e profitto derivante da un ”
reato in contratto“.
Nel primo caso – “
in cui la legge qualifica come
reato unicamente la stipula di un contratto
– quest’ultimo risulta integralmente contaminato da illiceità, tant’è vero che il relativo profitto (conseguenza immediata e diretta della medesima), risulta assoggettabile a confisca; nel secondo caso – in cui “
il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto, ma rileva solo sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale” – è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, poiché il contratto è assolutamente lecito e valido
inter partes (ed eventualmente solo annullabile ex artt. 1418 e 1439 Cod. Civ.), con la conseguenza che “
il corrispondente profitto tratto dall’agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente”.
In quest’ultima ipotesi, il profitto oggetto di confisca ex art. 19 del D. Lgs. n. 231/2001 dovrà essere determinato tenendo in considerazione che “
da un lato, potranno essere assoggettati ad ablazione tutti i vantaggi di natura economico patrimoniale che costituiscano diretta derivazione causale dell’illecito (c.d. concezione causale del profitto)”, così che la confisca avrà ad oggetto esclusivamente l’effettivo incremento del patrimonio dell’ente conseguito illegittimamente; “
dall’altro lato, non potranno essere aggrediti i “
vantaggi
eventualmente conseguiti dall’ente in conseguenza di prestazioni lecite effettivamente svolte a favore del contraente nell’ambito del rapporto sinallagmatico”, quindi pari alla
utilitas di cui si sia giovata la controparte.
La Cassazione ha quindi concluso ritenendo che il Tribunale milanese avesse errato considerando che fosse oggetto di confisca (e, dunque, di sequestro)
l’intero valore dei contratti stipulati dall’ente in persona del proprio rappresentante, dovendo da esso – in applicazione dei sopra delineati criteri di determinazione del profitto del reato in caso di “reato in contratto”-
defalcarsi il corrispettivo incamerato dell’ente a fronte delle prestazioni lecite eseguite in favore della controparte, pur nell’ambito di un affare che aveva trovato la sua genesi in un illecito.
 
 
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