12 Maggio 2025

La comunicazione dell’omessa o irregolare fatturazione con il codice “TD29”

di Marco Peirolo
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Dal 1° settembre 2024, in luogo dell’obbligo di regolarizzazione, da parte del cessionario/committente, dell’omessa o irregolare fatturazione da parte del cedente/prestatore, è stato introdotto l’obbligo, per il cessionario/committente, di comunicare all’Agenzia delle entrate l’omessa o irregolare fatturazione da parte del cedente/prestatore.

Dal 1° aprile 2025, la comunicazione deve essere effettuata, attraverso il SdI, utilizzando il nuovo TipoDocumento “TD29”.

 

Disciplina in vigore prima del 1° settembre 2024 – Obbligo di regolarizzazione delle fatture da parte del cessionario/committente

Fermo restando l’obbligo del cedente/prestatore di emettere fattura, al quale è condizionata l’attuazione del rapporto privatistico avente a oggetto l’esercizio del diritto di rivalsa, al cessionario/committente è imposto di verificare la regolarità formale dell’operazione in relazione:

  • alla mancata ricezione della fattura;
  • alla ricezione di una fattura irregolare.

In particolare, il comma 8, articolo 6, D.Lgs. 471/1997, sostanzialmente identico nella sua formulazione anche a seguito della Riforma delle sanzioni tributarie non penali operata dal D.Lgs. 158/2015, prevede l’applicazione di un’autonoma sanzione nei confronti del cessionario/committente che, nell’esercizio d’impresa, arte o professione, abbia acquistato beni/servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini previsti dalla legge o con emissione di fattura irregolare.

La violazione in esame non si realizza nello stesso istante in cui si perfeziona quella del cedente/prestatore, ma nel momento successivo in cui siano inutilmente scaduti i termini stabiliti dalla norma affinché il cessionario/committente, in veste di operatore economico, provveda a regolarizzare l’operazione.

Più nel dettaglio, il comma 8, articolo 6, D.Lgs. 471/1997, dispone che, per evitare di essere sanzionato, il soggetto che acquista beni/servizi deve:

  • se non ha ricevuto la fattura entro 4 mesi dalla data di effettuazione dell’operazione, presentare all’ufficio competente nei suoi confronti, previo pagamento dell’imposta, entro il 30° giorno successivo, un documento in duplice esemplare dal quale risultino tutte le indicazioni prescritte dall’articolo 21, D.P.R. 633/1972, relativo alla fatturazione;
  • se ha ricevuto una fattura irregolare, per tale intendendosi quella recante un’imponibile oppure un’imposta inferiore[1], presentare allo stesso ufficio, entro il 30° giorno successivo a quello della sua registrazione, un documento integrativo in duplice esemplare recante le indicazioni medesime, previo versamento della maggiore imposta eventualmente dovuta.

Osservati i suddetti adempimenti, il successivo comma 9, articolo 6, D.Lgs. 471/1997, stabilisce che un esemplare del documento, con l’attestazione dell’eseguita regolarizzazione, viene restituito dall’ufficio al contribuente, che è tenuto ad annotarlo sul registro degli acquisti (di cui all’articolo 25, D.P.R. 633/1972).

La procedura descritta deve intendersi modificata a seguito dell’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica, tant’è che il provvedimento dell’Agenzia delle entrate n. 89757 del 30 aprile 2018 ha stabilito che, ai fini della regolarizzazione dell’operazione, il cessionario/committente trasmette l’autofattura al SdI, compilando, nel file fattura elettronica, il campo “TipoDocumento” con il codice “TD20” e le sezioni anagrafiche del cedente/prestatore e del cessionario/committente rispettivamente con i dati del cedente/prestatore e i propri. La trasmissione dell’autofattura al SdI sostituisce l’obbligo, di cui all’articolo 6, comma 8, lettera a), D.Lgs. 471/1997, di presentazione dell’autofattura in formato analogico all’ufficio competente.

Dal momento che il cessionario/committente, in sede di regolarizzazione, versa la maggiore imposta eventualmente dovuta per l’operazione posta in essere, deve escludersi il potere dell’ufficio di pretendere il pagamento della medesima imposta (anche) dal cedente/prestatore[2]; questa conclusione, peraltro, vale a prescindere dalla circostanza che il cessionario/committente possa esercitare la detrazione dell’imposta stessa, in quanto l’operazione non può subire una doppia tassazione che sarebbe contraria con il principio di neutralità. Invece, in assenza di regolarizzazione nei termini previsti, si applica solo la sanzione (pari al 100% dell’imposta, con un minimo di 250 euro), ma non anche l’imposta o la maggiore imposta, che l’Amministrazione finanziaria può esigere dal cedente/prestatore, oltre all’applicazione della sanzione, pari al 30% ai sensi dell’articolo 13, comma 1, D.Lgs. 471/1997.

Se, nei confronti del cessionario/committente che regolarizzi l’operazione, la duplice imposizione deve essere esclusa ancorché il debitore dell’imposta relativa alla cessione/prestazione sia il cedente/prestatore, a maggior ragione appaiono corrette le indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate in merito agli effetti della constatazione della violazione del regime dell’inversione contabile a seguito dell’introduzione delle disposizioni riguardanti il diritto di rivalsa e di detrazione dell’imposta accertata di cui all’articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972.

L’inversione contabile presuppone, infatti, che il debito d’imposta sia assolto dal cessionario/committente mediante l’annotazione dell’Iva nei registri di cui agli articoli 23 e 25, D.P.R. 633/1972 e, in tale evenienza, salvo casi di indetraibilità oggettiva o soggettiva, l’assolvimento dell’imposta mediante il suddetto regime non dà origine a un esborso finanziario in capo al cessionario/committente.

Nello specifico, laddove sia constatata la violazione del regime di reverse charge che comporti, in quella sede, l’assolvimento del tributo da parte del contribuente, è stato chiarito che, contestualmente all’accertamento del debito, deve essere riconosciuto il diritto alla detrazione della medesima imposta, con la conseguenza che il contribuente non sarà tenuto a versare alcun ammontare a titolo d’imposta all’Erario, qualora sia riconosciuta la spettanza integrale della detrazione[3].

In altre parole, in considerazione dei criteri che regolano il sistema dell’inversione contabile, la compensazione dell’imposta a debito e dell’imposta a credito è operata direttamente in sede di accertamento, senza che sia necessario procedere al pagamento dell’imposta accertata e alla sua successiva detrazione. Di contro, il cessionario/committente che provveda alla regolarizzazione dell’operazione nelle ipotesi di omesso ricevimento della fattura e di ricevimento di fattura irregolare è comunque tenuto a versare all’Erario l’imposta o la maggiore eventualmente dovuta, per poi recuperarla, con l’esercizio della detrazione, in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione Iva annuale, sempreché – come detto – la detrazione sia ammessa e non preclusa per limitazioni di ordine oggettivo o soggettivo[4].

 

Segnalazione dell’errore o irregolarità al cedente/prestatore

Come rilevato dalla norma di comportamento Aidc n. 209, il principio di correttezza e buona fede deve indurre il cessionario/committente che riceva una fattura errata o irregolare a segnalarlo al cedente/prestatore affinché quest’ultimo possa emettere una nota di credito per eliminare o correggere la fattura.

In tal senso si è espressa anche l’Agenzia delle entrate[5], secondo cui l’applicazione della procedura di regolarizzazione delle fatture, di cui all’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997, presuppone che il committente/cessionario abbia preventivamente comunicato, ove possibile, al prestatore/cedente l’errore commesso, affinché quest’ultimo proceda alla sua correzione mediante emissione di una nota di variazione ex articolo 26, D.P.R. 633/1972, a storno della fattura errata ed emissione di una nuova fattura corretta.

La regolarizzazione da parte del cessionario/committente risulta, pertanto, richiesta qualora le parti, dopo la segnalazione dell’irregolare fatturazione, non trovino una soluzione condivisa, nel qual caso il cessionario/committente deve versare l’imposta o la maggiore imposta dovuta, che potrà essere detratta nel rispetto dei presupposti e secondo le modalità previste dall’articolo 19, D.P.R. 633/1972.

 

Obbligo di regolarizzazione per le operazioni non imponibili o imponibili ma con aliquota errata

Secondo la prassi amministrativa, l’omessa regolarizzazione deve intendersi realizzata anche se l’infrazione riguardi operazioni non imponibili o esenti, nel qual caso l’adempimento del cessionario/committente consiste semplicemente nella presentazione del documento in duplice copia all’ufficio[6]. In tal caso, la sanzione dovrebbe essere applicata nella misura fissa di 250 euro, in difetto della base di ragguaglio della sanzione proporzionale, rapportata all’imposta dovuta, ma un chiarimento ufficiale sarebbe utile sul punto.

Questo orientamento non è, però, condiviso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha osservato che, ai fini della regolarizzazione[7]:

  • nell’ipotesi di omessa ricezione della fattura, l’articolo 6, comma 8, lettera a), D.Lgs. 471/1997, presuppone che il cessionario/committente “nell’esercizio di imprese, arti o professioni, abbia acquistato beni o servizi”, e cioè presuppone l’incontestata riconducibilità del rapporto intercorso tra le parti a una delle operazioni (astrattamente) assoggettabili a Iva, venendo a essere in conseguenza limitato il controllo del cessionario/committente all’osservanza da parte del cedente/prestatore del termine entro il quale la fattura deve essere rilasciata;
  • nell’ipotesi di ricezione di una fattura irregolare, il controllo richiesto al cessionario/committente è intrinseco al documento, in quanto limitato alla “regolarità formale” della fattura e, dunque, alla verifica dei requisiti essenziali individuati nell’articolo 21, D.P.R. 633/1972, tra cui i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e servizi, l’ammontare del corrispettivo, l’aliquota, l’ammontare dell’imponibile e dell’imposta o, se si tratta di operazione detassata, il titolo in base al quale l’imposta non è applicata.

Secondo i giudici di legittimità, dal tenore letterale della norma sanzionatoria deve escludersi che al destinatario della fattura sia richiesto anche un controllo di natura sostanziale in ordine alla corretta qualificazione fiscale dell’operazione, tenuto conto che il riferimento alla “maggiore imposta eventualmente dovuta”, ex articolo 6, comma 8, lettera b), D.Lgs. 471/1997, quale condizione cui è subordinata la regolarizzazione della fattura ai fini della disapplicazione della sanzione in capo al cessionario/committente, induce a ritenere che questa condizione sia collegata all’irregolarità dei dati – dai quali dipende l’irregolare liquidazione, in misura inferiore al dovuto, dell’imposta – risultanti dallo stesso documento, quali l’aliquota, la base imponibile e l’ammontare dell’imposta.

La norma in esame, del resto, non prevede che l’applicazione della sanzione sia esclusa anche nell’ipotesi del pagamento dell’intera imposta non versata dal cedente/prestatore, laddove questa specifica previsione sarebbe stata necessaria qualora si fosse voluto estendere il controllo del cessionario/committente anche alla valutazione della qualificazione fiscale dell’operazione e, quindi, alla valutazione giuridica della cessione/prestazione illegittimamente fatturata dall’emittente con il titolo di “non imponibilità”, “esenzione”, etc..

Anche per questa tipologia di operazioni trova, pertanto, applicazione il principio di diritto costantemente sancito dalla Suprema Corte, in base al quale la regolarizzazione richiesta al destinatario della fattura: “implica l’obbligo di supplire alle mancanze commesse dall’emittente in ordine all’identificazione dell’atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fiscalmente rilevanti, non anche di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse dall’emittente medesimo, quando, in fattura recante l’annotazione di tutti i suddetti estremi, inserisca l’esplicita dichiarazione di non debenza dell’imposta …, indipendentemente dalla questione della tassabilità o meno dell’operazione[8].

Nel contesto in esame, quindi, al fine di escludere la responsabilità del cessionario/committente per l’omessa regolarizzazione, assume fondamentale rilevanza la circostanza che la fattura – erroneamente considerata non imponibile, esente o non soggetta – riporti l’indicazione del titolo in base al quale l’imposta non è stata addebitata.

Infatti, come puntualizzato dalla Corte di Cassazione: “il cessionario/committente che riceva una fattura senza l’indicazione dell’ammontare dell’imposta, mentre non è certamente tenuto a valutare la congruità della eventuale annotazione sostitutiva rispetto all’operazione posta in essere, poiché tale valutazione si tradurrebbe in un apprezzamento critico della natura giuridica dell’operazione (apprezzamento che, come detto, non è esigibile dal cessionario), è invece chiamato a verificare se la fattura stessa contenga una delle annotazioni sostitutive e, in mancanza, a procedere alla regolarizzazione[9].

Tale principio vale anche per le operazioni imponibili, ma erroneamente assoggettate a una aliquota inferiore rispetto a quella applicabile per lo specifico bene o servizio oggetto di fatturazione.

La regolarizzazione richiesta al cessionario/committente consiste, infatti, nel fornire le indicazioni dell’articolo 21, D.P.R. 633/1972, il quale elenca gli elementi da inserire nella fattura, per cui l’inclusione, fra i compiti del cessionario/committente, di un apprezzamento critico sul contenuto del documento, per ciò che riguarda specificamente la base imponibile e l’aliquota, in esito a una ricognizione critica del rapporto giuridico sottostante: “trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario, e, dunque, andrebbe oltre la ratio di assicurare all’ufficio medesimo la conoscenza piena dei fatti rilevanti ai fini impositivi, introducendo una sorta di accertamento privato in rettifica della dichiarazione del debitore d’imposta[10].

Del resto, osservano i giudici: “una dilatazione delle incombenze in discorso, nel senso voluto dall’Amministrazione, non sarebbe del resto coerente con il contestuale obbligo del soggetto tenuto alla regolarizzazione della fattura altrui di pagare l’imposta non versata o versata in misura insufficiente. La tesi porterebbe ad esigere quel versamento prima che l’ufficio abbia controllato ed eventualmente rettificato la suddetta dichiarazione in ordine a misura ed estensione della soggezione ad imposta, e quindi ad imporre il soddisfacimento di un credito non ancora accertato e fatto valere nel rapporto con il soggetto passivo, sulla mera base della prefigurabilità di una successiva iniziativa dell’ufficio stesso; il risultato sarebbe anomalo, e non scevro da dubbi di compatibilità con i precetti di cui agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, in quanto si richiederebbe al cessionario o committente, solo perché debitore finale in esito alla rivalsa, una solutio di tipo anticipatorio e cautelativo rispetto al credito d’imposta non ancora esercitato[11].

 

Facoltà di regolarizzazione in caso di errori che non incidono sulla determinazione dell’imposta

La regolarizzazione da parte del cessionario/committente può riguardare anche gli errori che non rilevano ai fini della determinazione dell’imponibile e dell’imposta, essendo relativi al contenuto informativo della fattura previsto dall’articolo 21, D.P.R. 633/1972 (ad esempio, errori relativi ai dati anagrafici del cessionario/committente, alla generica descrizione del bene ceduto o del servizio reso, all’errata indicazione del codice di esclusione o di non imponibilità Iva).

In queste ipotesi, la norma di comportamento Aidc n. 209 ha evidenziato che il cessionario/committente può chiedere al cedente/prestatore l’emissione di una nota di credito per stornare la fattura ricevuta tramite il SdI e l’emissione di una fattura corretta. Se il cedente/prestatore non aderisce alla richiesta, il cessionario/committente è legittimato alla regolarizzazione della fattura ricevuta, ma se non vi provvede e registra la fattura, ha comunque diritto a esercitare la detrazione dell’imposta effettivamente dovuta a prescindere dalle indicazioni errate contenute nel documento.

Disciplina in vigore dal 1° settembre 2024 – Obbligo di comunicazione dell’omissione o irregolare fatturazione da parte del cessionario/committente

A seguito della riformulazione dell’articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997 a opera dell’articolo 2, comma 1, D.Lgs. 87/2024, al cessionario/committente è applicata la sanzione del 70% dell’imposta, con un minimo di 250 euro, qualora non provveda a comunicare l’omissione o l’irregolarità all’Agenzia delle entrate entro 90 giorni dal termine in cui doveva essere emessa la fattura o da quando è stata emessa la fattura irregolare.

La novità intende recepire l’orientamento giurisprudenziale sopra esposto, secondo cui, oltre alla verifica che la fattura sia stata emessa, il controllo richiesto al cessionario/committente è intrinseco al documento, in quanto limitato alla regolarità formale della fattura e, dunque, alla verifica dei requisiti essenziali individuati dall’articolo 21, D.P.R. 633/1972, tra i quali rilevano i dati relativi alla natura, alla qualità e alla quantità dei beni/servizi, all’ammontare del corrispettivo, all’aliquota e all’ammontare dell’imponibile e dell’imposta.

Ne consegue che il cessionario/committente non è più obbligato a regolarizzare l’operazione versando l’imposta o la maggiore imposta, ma solo a segnalare la violazione all’Agenzia delle entrate:

− entro 90 giorni dal termine in cui doveva essere emessa la fattura o da quando è stata emessa la fattura irregolare;

− tramite gli strumenti che saranno messi a disposizione da quest’ultima, secondo le apposite modalità successivamente individuate.

Rispetto all’attuale articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997, la nuova norma riduce i tempi a disposizione del cessionario/committente per regolarizzare l’omessa o irregolare fatturazione da parte del cedente/prestatore senza incorrere nell’applicazione di sanzioni, in quanto:

  • da un lato, in caso di omessa fatturazione, il termine di 4 mesi dalla data di effettuazione dell’operazione è sostituito dal temine di 90 giorni decorrente dalla data in cui doveva essere emessa la fattura;
  • dall’altro, in caso di irregolare fatturazione, il termine di 30 giorni dalla data di registrazione della fattura è sostituito dal termine di 90 giorni decorrente dalla data in cui è stata emessa la fattura irregolare.

In ogni caso, come stabilito dal riformulato articolo 6, comma 8, D.Lgs. 471/1997, viene escluso l’obbligo del cessionario/committente di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche compiute dal cedente/prestatore, riferite ai titoli di non imponibilità, esenzione o esclusione dall’imposta derivati da requisiti soggettivi del predetto emittente non direttamente verificabili con la dovuta diligenza.

Si tratta di una previsione allineata alla posizione della giurisprudenza, ma con attribuzione al cessionario/committente di una responsabilità che, di fatto, dipende dalla valutazione dell’ufficio e che, quindi, in un’ottica precauzionale, ben potrebbe spingere il cessionario/committente a segnalare le potenziali violazioni.

 

Decorrenza del nuovo obbligo comunicativo

Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, D.Lgs. 87/2024, il nuovo obbligo comunicativo da parte del cessionario/committente si applica alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024.

Nell’ambito della videoconferenza del 5 febbraio 2025, l’Agenzia delle entrate ha osservato che la violazione commessa dal cessionario/committente è direttamente correlata alla prodromica violazione dell’omessa o irregolare fatturazione compiuta dal cedente/prestatore, tant’è che la violazione punita dall’articolo 6, comma 8, DLgs. 471/1997, non può configurarsi qualora non si sia verificata la predetta omissione o irregolarità.

Di conseguenza, ha chiarito l’Agenzia delle entrate, per le violazioni a cavallo del 1° settembre 2024, la disciplina sanzionatoria è quella applicabile alla data di commissione della violazione commessa dal cedente/prestatore.

 

Introduzione del TipoDocumento “TD29

Il cessionario/committente, per non essere punito con la sanzione amministrativa pari al 70% dell’imposta, con un minimo di 250 euro, deve comunicare l’omessa o irregolare fatturazione all’Agenzia delle entrate entro 90 giorni dal termine in cui doveva essere emessa la fattura o da quando è stata emessa la fattura irregolare.

A tal fine, la versione 1.9 delle specifiche tecniche per la fatturazione elettronica, pubblicata il 31 gennaio 2025, ha introdotto, a partire dal 1° aprile 2025, il nuovo TipoDocumento “TD29”.

Le istruzioni sono state aggiornate con la successiva versione 1.10 del 1° aprile 2025, secondo cui il TipoDocumento “TD29”:

  1. non ha alcuna rilevanza ai fini dell’imposta, nel senso che non consente di esercitare la detrazione dell’Iva relativa all’acquisto;
  2. deve contenere alcuni degli elementi previsti dall’articolo 21, comma 2, D.P.R. 633/1972, tra cui la natura, la qualità e la quantità dei beni e dei servizi acquistati, l’ammontare del corrispettivo, l’aliquota e l’ammontare dell’imposta e dell’imponibile;
  3. deve riportare:
  • nel blocco <CedentePrestatore>, i dati dell’effettivo cedente/prestatore che ha emesso la fattura originale o non ha emesso alcun documento;
  • nel blocco <CessionarioCommittente>, i dati del cessionario/committente che comunica l’omissione o l’irregolarità;
  • nel campo <CodiceDestinatario>, il codice convenzionale di 7 zeri (“0000000”), senza valorizzare il campo <PECDestinatario>;
  • nel campo <Data> della sezione <DatiGenerali> la data di effettuazione dell’operazione di cessione o di prestazione di servizi, come previsto dall’articolo 21, comma 2, D.P.R. 633/1972;
  • nel corpo del documento, l’indicazione dell’imponibile non fatturato dal cedente/prestatore o dell’imponibile non indicato nella fattura inviata dal cedente/prestatore e della relativa imposta calcolata dal cessionario/committente che effettua la comunicazione. Si ricorda che, in caso di non imponibilità o esenzione Iva, deve essere indicato anche il relativo codice natura;
  • nel campo <DatiFattureCollegate>, l’indicazione della fattura di riferimento, solo nel caso di emissione di una fattura irregolare da parte del cedente/prestatore;
  • nel campo <Numero> si può inserire una numerazione progressiva ad hoc.

La rettifica di una comunicazione trasmessa con il TipoDocumentoTD29” può essere effettuata trasmettendo via SdI un nuovo “TD29”, indicando gli importi con segno positivo o negativo a seconda del tipo di errore che si vuole correggere.

 

Nuovo ambito applicativo del TipoDocumento “TD20

A seguito dell’introduzione del TipoDocumento “TD29”, la versione 1.9 delle specifiche tecniche ha modificato l’ambito applicativo del TipoDocumento “TD20”, che dal 1° aprile 2025 può essere utilizzato esclusivamente:

− in caso di omessa o irregolare fatturazione da parte del cedente/prestatore nelle operazioni soggette a reverse charge ex articolo 6, comma 9-bis, D.Lgs. 471/1997; e

− nelle ipotesi di regolarizzazione delle fatture di cui all’articolo 46, comma 5, D.L. 331/1993, prevista per gli acquisti intracomunitari di beni e gli acquisti interni di beni soggetti a reverse chargeesternoex articolo 17, comma 2, D.P.R. 633/1972.

Il cessionario/committente, laddove l’omissione o irregolarità riguardi una cessione o prestazione soggetta a reverse charge “interno”, può regolarizzare la violazione mediante il TipoDocumento “TD20”, che riporti l’imponibile e un codice natura del gruppo N6 (relativo all’operazione cui l’autofattura si riferisce) e l’invio del TipoDocumento “TD16” con l’indicazione della relativa imposta.

Analogamente, per le ipotesi di cui all’articolo 46, comma 5, D.L. 331/1993 e assimilate, oltre al TipoDocumento “TD20” possono essere trasmessi i TipiDocumento “TD17”, “TD18” o “TD19”, che consentono di adempiere anche all’obbligo comunicativo di cui all’articolo 1, comma 3-bis, D.Lgs. 127/2015 (c.d. esterometro).

 

[1] Cfr. circolare n. 23/E/1999 (capitolo II, § 2.7).

[2] Cfr. Cassazione n. 15394/2001.

[3] Cfr. circolare n. 35/E/2013 (§ 3.4).

[4] Per esempio, nelle ipotesi, rispettivamente, degli articoli 19, comma 2, e 19-bis1, comma 1, D.P.R. 633/1972 (indetraibilità oggettiva) e degli articoli 19, comma 5, e 36-bis dello stesso Decreto (indetraibilità soggettiva).

[5] Cfr. risposta a interpello n. 133/E/2020.

[6] Cfr. circolare n. 23/E/1999 (capitolo II, § 2.7), cit..

[7] Cfr. Cassazione n. 26183/2014 e n. 19743/2013.

[8] Si vedano, tra le altre, Cassazione n. 1841/2000 e n. 7681/2003.

[9] Così, Cassazione sentenza n. 14275/2020.

[10] Così Cassazione n. 15302/2015.

[11] Cfr. Cassazione n. 15302/2015, cit..

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Iva in pratica”.