23 Ottobre 2019

La Cassazione ribadisce la validità degli studi di settore

di Luigi Ferrajoli
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La scheda di FISCOPRATICO

In materia di accertamento del reddito d’impresa, qualora il contribuente, regolarmente invitato a prendere parte al contraddittorio precontenzioso, scelga di non avvalersi della facoltà, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento anche esclusivamente sulle risultanze del confronto tra il reddito dichiarato e quello invece calcolato facendo applicazione degli studi di settore, salvo il diritto del contribuente di allegare e provare in sede contenziosa, anche per la prima volta, elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario è fondato.

L’omessa partecipazione al contraddittorio predibattimentale del contribuente, pertanto, non impedisce al contribuente di far valere le proprie ragioni in fase contenziosa, ma deve allegare e provare elementi che siano sufficienti a vincere le presunzioni che, nelle circostanze descritte, assistono l’operato dell’Ente impositore, e sono comunque idonee a fondare, anche da sole, la validità dell’accertamento.

Questo principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione nella ordinanza n. 24330 del 30.09.2019.

In particolare la Corte di Cassazione ha richiamato la propria giurisprudenza in materia di accertamenti fondati sugli studi di settore e affermato che i parametri o studi di settore previsti dall’articolo 3, commi da 181 a 187, L. 549/1995, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo di cui all’articolo 39, comma 1, lett. d), D.P.R. 600/1973, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, così da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato. All’ente impositore fa invece carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, l’onere della prova fra le parti, nel caso di accertamenti fondati sugli studi di settore, deve essere così ripartito:

  • all’Ente impositore spetta la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto dell’accertamento,
  • mentre al contribuente compete fornire la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui l’accertamento si riferisce, che imponga la necessità di una correzione dei parametri.

È, quindi, onere del contribuente allegare e contestare la non riferibilità dello studio di settore alla specifica attività dallo stesso svolta, ovvero l’esistenza di condizioni particolari e rilevanti dell’attività in concreto esercitata, che rendano scarsamente significative le risultanze statistiche degli studi di settore.

Inoltre, nella sentenza in rassegna, la Corte di Cassazione ha ribadito l’importanza del contraddittorio nell’accertamento da studi di settore sotto il profilo della rilevanza probatoria del comportamento del contribuente che non partecipi a tale contraddittorio.

Infatti, afferma la Suprema Corte, la procedura di accertamento da studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.

In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento.

Tuttavia, ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato ed il contribuente ometta di parteciparvi ovvero si astenga da qualsivoglia attività di allegazione, l’ufficio non è tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri.

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