18 Giugno 2015

La Cassazione nega la piena deducibilità delle sponsorizzazioni

di Carmen MusuracaGuido Martinelli
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Pericolosa per il mondo sportivo la posizione assunta dalla Cassazione in materia di sponsorizzazione: a fronte delle spese di sponsorizzazione delle locali squadre di calcio e di pallavolo, nonché della locale sagra di paese non può essere accolta la tesi della integrale deducibilità dei costi sostenuti dalla società in veste di sponsor in ragione del fatto che l’attività imprenditoriale dalla medesima svolta si rivolge prevalentemente ai mercati esteri.

È quanto recentemente stabilito dalla con la sentenza n. 10914 del 27 maggio 2015 attraverso cui la Suprema Corte ha riformato la decisione assunta dalle commissioni di merito accogliendo la tesi dell’Ufficio secondo cui, in ipotesi di rapporti di sponsorizzazione non è sufficiente che l’azienda affermi di aver sostenuto i relativi costi al fine di incrementare le vendite o acquisire nuova clientela ma è necessario che fornisca specifica prova in merito all’inerenza dello strumento promozionale scelto rispetto alle caratteristiche dell’attività svolta sia sotto il profilo territoriale che della tipologia di clientela interessata.

Il giudizio nasceva, infatti, dall’impugnazione da parte dell’azienda di un avviso di accertamento attraverso cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indeducibilità dei costi afferenti alla sponsorizzazione di sodalizi sportivi e di manifestazione fieristiche, ritenendo che fossero qualificabili come spese di rappresentanza e non come spese di pubblicità.

Entrambi i giudizi di merito si erano conclusi con pronunce favorevoli alla contribuente dovendo prendersi atto, secondo le Commissioni Tributarie, dell’evoluzione intervenuta nel tempo del concetto di pubblicità, che comprende anche quei costi che pur non essendo imputabili in modo diretto ai ricavi vengono comunque sostenuti per incrementare le vendite, essendo in grado di far acquisire all’impresa nuova clientela o di ampliare il fatturato nei confronti della clientela già esistente. D’altro canto, osservavano ancora i giudici di appello, costituisce “una scelta che compete all’imprenditore, non potendo l’ufficio sostituirsi per valutare e sindacare le strategie commerciali nello specifico mercato” quali soggetti sponsorizzare, non essendo sostenibile che le sponsorizzazioni a livello locale siano meno proficue di quelle di livello superiore.

Avverso dette pronunce proponeva ricorso alla Suprema Corte l’Ufficio sostenendo, tra gli altri motivi, che fosse onere della contribuente “dimostrare che, alla luce delle concrete circostanze del caso, le spese di sponsorizzazione delle locali squadre di calcio e di pallavolo, nonché della locale sagra di paese, non erano solo finalizzate a dare di sé un’immagine pubblica positiva e prospera, ma più specificatamente proseguivano l’obiettivo, coerente e ponderato con la politica commerciale effettivamente perseguita dalla società di procurarsi nuovi clienti ovvero incrementare i volumi di fatturato con quelli già esistenti“, non ravvisandosi simili elementi nelle ragioni istruttorie dell’azienda, i costi in questione dovevano essere riqualificati quali spese di rappresentanza e, dunque, non interamente deducibili.

Secondo la Cassazione il motivo di impugnazione è da ritenersi fondato.

Insistono, i Giudici, sulla necessaria dimostrazione da parte dello sponsor dell’inerenza del costocon particolare riferimento al carattere locale delle iniziative finanziate rispetto ad un’attività imprenditoriale che si rivolgeva prevalentemente ai mercati esteri.

Sarebbe stato più esattamente onere della parte, dimostrare non solo la congruità dei costi sostenuti a fini di sponsorizzazione in rapporto all’attività caratteristica e al volume d’affari che ne costituiva il risultato, ma pure la loro idoneità ad ampliare le prospettive di crescita dell’impresa nell’ambito territoriale beneficiato dalle attività di sponsorizzazione, in questa ottica non essendo sufficiente che la spesa fosse debitamente documentata, ma occorrendo altresì che ne fosse comprovata l’inerenza sotto lo specifico profilo del concreto vantaggio che nello specifico contesto territoriale ne avrebbero potuto ritrarre le attività della contribuente in termini di allargamento della clientela e di incremento dei ricavi”.

Si ribadisce il consolidato convincimento della Corte, affermato in ripetute occasioni, per cui il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e di pubblicità va individuato nella diversità, anche strategica, degli obiettivi, atteso che costituiscono spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio e l’immagine della società e per potenziarne le possibilità di sviluppo, senza dar luogo ad una aspettativa di incremento delle vendite, mentre sono spese di pubblicità o propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque al fine diretto di incrementare le vendite; in ragione di ciò “le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza […] ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale” (Cass. n. 27482/14; 14252/14; 3433/12).